Vivere non è un gioco da ragazzi, se gli adolescenti parlano al pubblico dei genitori: la recensione
La rappresentazione dei giovani, ben lontani dai protagonisti di Mare Fuori, sembra voler parlare soprattutto ai genitori, ma in ogni caso giovani e adulti si confrontano con la ricerca della verità
Vivere non è un gioco da ragazzi arriva dagli stessi produttori di Mare Fuori, ma non è affatto un altro Mare Fuori. Sebbene in fase di lancio Raiuno abbia giustamente insistito sulla forte presenza di un cast di giovanissimi e su una trama che li vede centrali nel suo sviluppo, la fiction già disponibile interamente su RaiPlay (questo sì un punto in comune con Mare Fuori) non parla allo stesso pubblico della serie ambientata all’Istituto di Pena Minorile di Napoli.
La storyline giovane, con il gruppo di adolescenti che deve affrontare prima il dolore per la perdita di un amico e poi le conseguenze delle bugie ma anche della verità destinata ad emergere, più che parlare ai ragazzi parla agli adulti. Vivere non è un gioco da ragazzi sembra infatti pensato per essere un prodotto familiare, con particolare attenzione al pubblico dei genitori, sicuramente più attenti alle produzioni targate Rai.
Lontana dai toni comedy (anche se a Claudio Bisio va il merito di interpretare un poliziotto capace di smorzare la tensione) o totalmente drama delle serie familiari a cui siamo abituati Vivere non è un gioco da ragazzi porta in tv dei ragazzi e delle ragazze che parlano al pubblico dei genitori, come se l’urgenza del racconto fosse quello di esplicare al pubblico più grande le condizioni di una generazione con cui il divario è inevitabile.
Va però detto che il prevedibile scontro genitori-figli, un classico nei racconti di questo genere, resta privo di stereotipi. Alle classiche dinamiche “Finché vivi in questa casa segui le nostre regole/Voi non mi capite davvero” prende spazio una più scomoda ma realistica messa in scena. Perché Rolando Ravello, nel dirigere giovani e adulti, fa chiara la missione della storia: trovare la verità.
Che sia quella di un adolescente che vede davanti a sé ostacoli insormontabili o quella di una madre che deve tenere unita la propria famiglia o di un padre che vuole riavvicinarsi alla figlia allontanata anni prima, ogni personaggi deve affrontare la verità verso se stessi e verso gli altri.
Ecco che, allora, Vivere non è un gioco da ragazzi parte da un punto -la piaga della droga- per raggiungerne un altro -la necessità del confronto inteso come costruzione di un futuro condiviso-, creando un percorso più vicino alle sensazioni di un pubblico maturo. Quello stesso pubblico di Raiuno che conosce Mare Fuori solo perché ne parlano i figli.