Vita da Carlo, ovvero la Grande Bellezza secondo Verdone (ma peccato per i difetti): la recensione
Una serie fatta di situazioni -alcune ben riuscite, altre meno- in cui spicca soprattuto il rapporto tra l’attore e regista e la sua Roma
Fonte: Gianfilippo De Rossi
Carlo Verdone non ha mai tradito se stesso, ed in Vita da Carlo (dieci episodi disponibili da venerdì 5 novembre 2021 su Amazon Prime Video) lo conferma. Per la sua prima serie tv, l’attore, regista e sceneggiatore romano mette in scena una rappresentazione della propria vita che altro non è ciò che il suo pubblico affezionato immagina.
Vita da Carlo, recensione
Il Verdone mostrato nella serie si ritrova con la giacchetta tirata da più parti: c’è il produttore Cantalupo (Stefano Ambrogi) che esige che faccia un altro “film con i personaggi”; c’è il politico Signoretti (Andrea Pennacchi) che spinge affinché quella che all’inizio è solo una suggestione -ovvero Verdone candidato sindaco di Roma- diventi realtà e poi c’è lo sceneggiatore Nuchi (Pietro Ragusa), con cui Carlo ha scritto un film d’autore che potrebbe segnare la svolta della sua carriera, ma anche decretarne la fine.
Intorno a queste tre possibili direzioni Verdone resta fermo a guardare o, meglio, a riflettere ed aspettare: Vita da Carlo non è una di quelle serie tv in cui la trama avanza senza sosta, ma gli episodi sono scritti determinando alcune situazioni -non chiamiamoli sketch- in cui Verdone si ritrova, spesso e volentieri accompagnato dall’amico e collega Max Tortora (che lo si può tranquillamente considerare il co-protagonista, considerato il numero di scene in cui compare).
Ne viene fuori una comedy che non sempre brilla per umorismo, in cui alcuni episodi sembrano saltare il filo logico per arrivare alla conclusione a cui puntano, ma in cui Verdone sembra essere davvero libero di poter interpretare se stesso.
Certo, l’attore si trasforma anche in padre di Maddalena (Caterina De Angelis) e Giovanni (Filippo Contri), nonché ex marito di Sandra (Monica Guerritore), così come spasimante della farmacista Annalisa (Anita Caprioli), giusto per dare alla trama anche una componente familiare e sentimentale dentro cui far scattare dinamiche utili a rivelare, però, l’animo bonario e rassegnato di Verdone, quello che ormai conosciamo bene grazie ai suoi film.
Quello che emerge in questi dieci episodi è però, soprattutto, il rapporto di Carlo Verdone con la “sua” Roma e l’amore dei suoi cittadini nei confronti dell’attore e regista. Ed è questo l’aspetto più interessante della serie: i momenti meglio riusciti sono proprio quelli in cui Verdone esce dal suo appartamento e viaggia dentro la Capitale, conoscendo i personaggi che la popolano, dalla fan in fin di vita alla prostituta, fino al “farmacista abusivo” interpretato da Rocco Papaleo o ad un Alessandro Haber qui in una versione allo sbando di se stesso.
Così Vita da Carlo si trasforma in un continuo confronto con una città e con le nuove generazioni che la vivono (oltre ai figli, divertono i siparietto con Chicco, l’ex di Maddalena interpretato da Antonio Bannò), dando a Verdone la possibilità di attraversare la romanità nella maniera più pura possibile e, come detto all’inizio, fedele a se stesso.
Verdone pensa, insomma, a come sarebbe la sua “Grande Bellezza”: diventa un Jep Gambardella alle prese però con una Roma più scanzonata e caotica, dove tutti vogliono qualcosa da colui che è ormai stato eletto a simbolo e rappresentante degli abitanti della Città Eterna. Un viaggio, il suo, che gli permette di togliersi lo sfizio della serialità ma che avrebbe potuto offrire molto di più. Se da una parte Vita da Carlo è godibile grazie alle interpretazioni ed ai momenti di interazione tra Verdone ed i romani, dall’altra spiace che il potenziale che questa idea avrebbe potuto esprimere non sia stato pienamente colto.