Vincenzo Salemme a TvBlog: “Il teatro è realtà assoluta, più della tv”
“Il teatro svela i sentimenti che si celano dietro le cose”: Vincenzo Salemme torna in diretta tv nel prime time di Rai 2 lunedì 17 aprile con “Napoletano? E famme ‘na pizza!”, un gioco sui luoghi comuni che affonda le sue radici nella tradizione nobile della cultura partenopea.
Abbiamo fatto ‘Una Festa Esagerata‘ con lui la sera dell’ultimo Natale davvero sereno degli ultimi anni (correva il 2019) e ora, superata una Pasqua che ha avuto un sapore di normalità, Vincenzo Salemme riporta il suo teatro in diretta tv: va in onda questa sera, lunedì 17 aprile, in prima serata su Rai 2 “Napoletano? E famme ‘na pizza!“, pièce teatrale tratta dal suo ultimo e omonimo libro, reduce da 180 repliche con cui l’aitore, protagonista e regista ha girato l’Italia negli ultimi due anni. Più di 200mila gli spettatori che hanno voluto (perché dopo la Pandemia ogni uscita di casa è un atto di pura e cosciente volontà) tornare in teatro e non rinunciare al piacere di vedere Salemme in scena.
Del resto il teatro è per definizione stessa ‘diretta’, caratteristica peraltro condivisa con la televisione stessa il cui linguaggio – vale ogni tanto la pena di ricordarlo – ha come specifico proprio il live. Questo live² rende il ritorno del teatro in diretta di Salemme un vero e proprio evento tv, che il pubblico di Rai 2 potrà seguire con un punto di vista assolutamente privilegiato sull’Auditorium Domenico Scarlatti del CPTv Rai di Napoli, fresco del suo 60esimo compleanno. La regia tv è di Barbara Napolitano e la sfida non è semplice; dall’altra parte però si ha a che fare con un maestro del palcoscenico, di cui conosce ogni dettaglio e di cui lima tutto, dalle angolazioni delle singole posizioni alla profondità dello sguardo, dalla ‘virgola’ che si traduce in una pausa provata al millimetro al movimento che cattura pubblico, risata e telecamera.
Abbiamo avuto il piacere di fare con lui una breve e piacevolissima chiacchierata – per la quale lo ringraziamo subito – e che non poteva che aprirsi con una richiesta, quella di chiamarlo ‘Maestro‘. Non per quella tendenza, molto meridionale va detto, alla condiscendenza che talvolta nasconde solo piaggeria: per me l’appellativo ha ragioni squisitamente teatrali, dal momento che Salemme si inserisce in quella nobile e riconosciuta tradizione del teatro partenopeo che affonda sì le radici nella farsa, che ha cari gli equivoci, propria della scrittura di Eduardo Scarpetta, ma che ha anche carpito la capacità di leggere la società che fu di De Filippo, senza tralasciare quello sguardo talvolta obliquo che guarda ai margini tipico di Annibale Ruccello, ma che in Salemme hanno trovato una sintesi e un linguaggio del tutto peculiare. A questo si aggiunga anche che “Napoletano? E famme ‘na pizza!” lavora su un tema caro proprio ai predecessori, quello del superamento dei luoghi comuni, dello smascheramento e del disinnesco degli stereotipi che avvolgono Napoli, la sua gente, la sua cultura, così come hanno fatto coloro che ancora oggi sono considerati un’avanguardia della tradizione partenopea come Massimo Troisi nel cinema e Pino Daniele nella musica. E se pensate che siano essi stessi rappresentanti dell’oleografia, allora non avete mai avuto a che fare con i loro anni ’70 e ’80. Tornando a Salemme, la pièce prende in prestito una battuta tratta da “E fuori nevica”, altra sua commedia, nella quale uno dei personaggi chiede al fratello di dimostrare la sua presunta napoletanità facendogli una pizza. Un grande classico, insieme al caffè e alle canzoni…
Maestro?! Ma via! A meno che non si intenda come ‘mestiere’, come ‘mastro artigiano’, come un falegname… io non ho una scuola, io non insegno, io mi ritengo un attore, ecco…
dice con quella modestia propria dei veri professionisti, di chi il mestiere lo possiede e lo conosce, di chi non ha bisogni di piedistalli per sostenersi e che azzera le distanze chiedendo un ‘tu’ che il rispetto
Beh, per dirla tutta attore senza dubbio, ma anche autore, regista…
Sì, ma sempre di cose ‘mie’… diciamo che sono un attore che scrive, un attore che fa la regia: dietro a tutti questi mestieri c’è sempre l’attore. Il fatto che io reciti mi fa scrivere in un certo modo…
E questo si sente nella sua costruzione delle battute, dei tempi, delle storie, che portano una firma sempre riconoscibile: essere attore, dunque, è la cosa più importante per fare teatro?
Io penso di sì. Stare sul palco rende la scrittura meno ‘teorica’, più ‘pragmatica’: conosci meglio le caratteristiche, non voglio dire ‘regole’, del palcoscenico, sai come si sta davanti al pubblico… Tutto questo ovviamente influenza la scrittura che viene così costruita per avere un certo effetto.
Ci eravamo lasciati nel dicembre 2019 con “Una Festa Esagerata”…
(e qui il tono si fa ancora più gentile, quasi intenerito dal ricordo di quei giorni) Sì, che avventura bellissima che fu quella: era un piccolo ciclo di tre appuntamenti, tutti in diretta… Fu davvero una cosa bellissima…
… che riprende idealmente questa sera con Napoletano? E famme ‘na pizza!. Una serata-evento, così come viene presentata dalla Rai, ma di fatto è teatro tout court. Il teatro è per definizione ‘diretta’, no?
Assolutamente sì, è teatro a tutti gli effetti, La telecamera è come uno spettatore che ne ‘contiene’ molti altri, ma sta lì, in platea. La diretta tv restituisce il teatro per quello che è, un’esperienza irripetibile e in questo la registrazione non ne rende pienamente l’essenza. Va benissimo anche quella, per carità, ma per certi versi non è efficace come la messa in onda live.
La diretta tv cambia il tuo lavoro sul palcoscenico?
Di sicuro ci pensi alla tv. Pensi ai volumi della voce, pensi al fatto di avere una telecamera che stringe sulla faccia, che ti riprende da vicino e che quindi rischia di far diventare grotteschi i movimenti accentuati dalla necessità di farli arrivare anche a chi è in sala ma è lontano. Quindi si cerca di mantenere la qualità per l’appunto ‘teatrale’ della gestualità, dell’espressione, del movimento ma senza cadere nel grottesco, nell’esagerato, dovuto alla ‘vicinanza’ del telespettatore alla scena. Una vicinanza che è più lontana emotivamente, ma più ravvicinata esteticamente.
Direi che proprio la diretta è l’elemento che contraddistingue sia il teatro che la tv…
Sicuramente la caratteristica principale della tv è l’attualità. E la tv è attualità anche quando costruisce trasmissioni fatte di ricordi, di estratti, di memorie. Penso a Techetechetè: quella è attualità perché restituisce al pubblico di oggi il presente che fu, ripropone l’attualità di quell’epoca. Resta sempre un racconto di ‘attualità’.
Una affermata metafora, che non mi ha mai trovato particolarmente d’accordo, recita vuole che la tv sia ‘lo specchio della realtà’. A vedere però il lavoro dei grandi maestri, verrebbe da dire che sia piuttosto il teatro a poter mostrare la realtà per quel che è, o almeno ad avvicinarvisi di più…
Forse è vero… Anche io credo che la tv non sia ‘specchio’ della realtà: può essere un’ottima rivelatrice della realtà, un’ottima lettrice della realtà. Il teatro invece è realtà assoluta, anche quando è metaforico è realtà assoluta: ci sono persone che recitano, che stanno sul palco, che condividono tempo e spazio… Certo, anche in tv ci sono persone che ‘recitano’, che conducono, che interpretano parole, ma resta sempre un’esperienza mediata…
E a proposito di realtà, Napoletano? E famme ‘na pizza! gioca con la realtà: gioca con realtà che non esistono ma che si vogliono vedere per forza, gioca con quelle realtà che invece esistono ma non si vogliono vedere… Insomma, ruota intorno ai luoghi comuni che si legano a Napoli, seguendo una lunga – e nobile – tradizione che ha in Scarpetta, De Filippo, Ruccello alcuni dei maggiori esponenti e che nella cultura forse più pop ha come esponenti Troisi e Daniele…
… ma sì perché tutto è legato, tutto… Come dico alla fine dello spettacolo riprendendo le parole di un filosofo di mille anni fa, siamo nani sulle spalle di giganti e questo ci permette di guardare meglio, di guardare lontano. Ognuno deve essere se stesso, ma senza dubbio anche io vengo da quella scuola, da quel mondo…
Una tradizione teatrale e culturale nobile, dunque, che ha sempre cercato di mostrare la vita per quel che è, indipendentemente dal luogo, dall’oleografia legata a un certo modo di rappresentare un territorio…
Il punto è mostrare i sentimenti che ci sono dietro la realtà: il teatro dovrebbe svelare soprattutto i sentimenti che si nascondono dietro le cose, sia in positivo che in negativo. Credo che questo sia il compito, ammesso che ne abbia uno, del teatro, ovvero rendere manifeste le cose che non si possono vedere. Come? Attraverso la parola, o meglio attraverso la parola pronunciata dall’attore che riesce a mettere in essa i sentimenti che si vogliono far arrivare al pubblico. Ma per mettere i sentimenti nelle parole devi essere presente a te stesso nel momento in cui le dici: la disciplina per un attore è quella di mettere. L’attore deve imparare soprattutto a vivere, che sia a casa, per strada, sul palcoscenico: non c’è differenza scena e fuori scena, l’attore deve vivere quello che sta facendo, appieno, deve saper vivere l’emozione.
Teatro come svelamento di sentimenti vivi, viventi, vissuti, dunque. Sentimenti che sgretolano, quindi, il luogo comune: un’operazione che sa di anticonformismo, là dove il pop spesso si alimenta di stereotipi per arrivare facilmente…
Ma guarda, su Napoli si concentrano tantissimi, ma tantissimi luoghi comuni, di ogni tipo. Gli stereotipi sono propri di ogni cultura, ma da noi è come se si raccogliessero tutti quelli delle popolazioni che ci hanno vissuto, dai greci agli spagnoli, dai piemotesi agli aarabi, dai francesi agli americani. Ce ne sono di ogni tipo, poi, da quelli strettamente culturali a quelli politici, dai gastronomici ai filosofici. Ci sono alcuni aspetti che non sono, però, rubricabili come luoghi comuni, ma come peculiarità culturali: indubbiamente c’è una grande esigenza di comunicare, di manifestarci, di ‘fare teatro’: forse nasce dal modo in cui abbiamo affrontato le diverse dominazioni, cercando di accattivarci le simpatie dei potenti per non farci snaturare, nell’ottica però non di una ricerca di compiacimento passivo, ma di una ‘diplomazia sentimentale’. In questo ritroviamo Pulcinella…
Pulcinella è spesso ridotto a maschera debole, ma in realtà è una maschera complicatissima, stratificata…
Ma sì, perché Pulcinella sorride a chi lo domina, ma è pronto alla ribellione. Quella maschera ride con te, piange con te: è vero, è una cosa tipica di un po’ tutte le maschere, ma quegli zigomi sporgenti, quelle rughe così marcate la rendono profondamente malleabile e sfuggente.
Quanta parte abbiamo noi campani – mi metto nella conta – nel perpetuare stereotipi che finiscono per distorgliere lo sguardo dalla realtà delle cose?
Direi tanta… Ci facciamo prigionieri e ci facciamo imbrigliare dai luoghi comuni, ma perché inevitabilmente ci rendono più riconoscibili. Per certi versi ci fanno anche comodo. E invece non bisogna aver paura di venir fuori con la propria peculiare identità. La paura di ‘distinguersi’ può spingerci a stare ‘nel gruppone’ di quelli a cui piace la pizza, sa fare il caffè, ama cantare… (e qui mi risuona in mente la battuta sull’emigrante di Troisi in Ricomincio da tre, ndr). Può far comodo, ma alla lunga non aiuta. O si può fare in modo di giocare con i luoghi comuni, in modo da non renderli una prigione.
In questa chiacchierata emergono spesso, quasi come parole chiave, ‘Disciplina’ e ‘Sentimento’: che valore hanno nella tua vita, che sia professionale o privata?
Beh, dipende da quale sentimento (e ovviamente qui si sorride). Ognuno ne ha di preferiti: penso all’amicizia, come l’affetto, come il coraggio, o anche l’onestà, che poi è un mix tra sentimento e disciplina a mio avviso. Diciamo che mi piace tantissimo la disciplina che ha dietro un sentimento, la disciplina fatta di passione… Ecco, la disciplina serve per seguire la propria passione, magari eccellere: per diventare un ottimo falegname mi serve disciplina per poter fare ogni cosa con la giusta attenzione, con la necessaria pazienza…
… insomma per fare le cose a regola d’arte. E qui, dunque, tornano due aspetti da cui siamo partiti: l’arte e la maestria. Ma per chiudere, mi riallaccio idealmente a una intervista che rilasciasti a TvBlog qualche anno fa ormai, in cui ci dicesti che la cosa che più ti faceva emozionare era l’intelligenza. Sono passati anni, il Covid ha lasciato i suoi segni: cosa ti emoziona ancora?
(Ride e capisco di aver fatto una domanda quanto meno inutile…) Guarda, l’intelligenza mi emoziona sempre, ma non intendo quella ‘logica’, bensì quella emotiva, quella fatta di testa e cuore, quella propria di una persona aperta, audace, capace di comprendere le debolezze umane, capace di dare una seconda possibilità. Ecco, quel tipo di intelligenza mi piace! Mi piacerebbe che la società fosse talmente grande da poter far sentire al sicuro tutte le fragilità.
Sarebbe davvero una gran bella società. E non è un caso che le fragilità siano un tratto distintivo delle sue commedie. Noi cogliamo ancora l’occasione per ringraziare Vincenzo Salemme della sua disponibilità e per rinnovare l’appuntamento con “Napoletano? E famme na pizza!” in onda questa sera in diretta su Rai 2 dalle 21.15.