VII – Il vil denaro e i neuroni
Ci sono periodi della vita del videomaker in cui si cullano i sogni e intanto si accettano lavori che vanno a rimpolpare un po’ il portafogli – ma a novanta giorni, non temete, niente ricchezza immediata, per carità. Un lavoro che potrebbe fare una scimmia ammaestrata, forse, ma non un computer, perché un computer non
24 Novembre 2005 13:00
Ci sono periodi della vita del videomaker in cui si cullano i sogni e intanto si accettano lavori che vanno a rimpolpare un po’ il portafogli – ma a novanta giorni, non temete, niente ricchezza immediata, per carità. Un lavoro che potrebbe fare una scimmia ammaestrata, forse, ma non un computer, perché un computer non capisce se un audio è basso perché si sussurra o perché è sbagliato (pare essere l’argomento del giorno, la rivincita dei neuroni). Un lavoro che accetti solo perché culli dei sogni.
Per esempio, io sto cullando due sogni due.
Uno è quello di un film che ho in testa da un paio di mesi, per il quale – chiamatemi pazzo – ho già registrato il dominio, tanto ci credo. L’altro è quello di una serie di format tv web based. Ma per farli ci vogliono i soldi. Non che i lavori accettati siano sufficienti a pagare progetti simili, ma almeno si mette qualcosa da parte per quando – quando? – finalmente si potrà dedicarsi a quel che si vuole fare veramente.
Ecco che in quei periodi capitano, puntualmente, lavori che sembrano una passeggiata e che invece nascondono tagliole e mostri di fine livello a ogni piccolo passo. Il lavoro che ho accettato – l’avrete già capito, non si può nascondere nulla a voi – è di questo genere, ma al cubo.
E’ allora che per il povero videomaker inizia lo scoramento e le notti insonni, e partono i countdown. Sì, una delle mie tecniche quando sto per iniziare una giornata di cui già prevedo i bioritmi e gli oroscopi senza bisogno di consultar Pizie, è quella di pensare tra dieci ore è finita. Solo che in questo caso mi tocca pensare tra un mese è finita. E dico mese perché contare le ore in questo caso sarebbe atroce, spaventoso e soverchiante.
Fatto sta che il videomaker all’occasione si fa montatore. E il montatore professionista non si occupa solo di fare i tagli. Li rifinisce, li riguarda, li coccola e soprattutto – come avrete inteso da un paio di post nei giorni passati – si occupa dell’audio.
Controlla che tutto moduli fra i -18 e i -6 dB, livella, fa in modo che i passaggi da una clip all’altra siano naturali e ben sfumati, separa gli stramaledettissimi canali e poi si avventura nel magico mondo dei keyframe.
Sapete come funziona? Si guarda la forma d’onda da una parte e i volumi dall’altra e ogni volta che c’è un picco o un audio troppo basso si agisce modellando, in qualche modo, la forma d’onda frase per frase, a volte parola per parola, a volte nel singolo frame in modo tale che la modulazione sia non solo nei range tecnici ottimali ma anche gradevole all’udito. E tutto ciò viene fatto quando in teoria il regista ha finito il suo. E porta via tempo, e ragione. Ragione e tempo. Perché lo devi fare per una puntata di cinquanta minuti. E per altre tre, dopo che avrai finito la prima. Il pensarci ti fa venir voglia di scriverci su, mentre stai attendendo che il tuo computer – che usi come un muletto da giorni, ormai – finisca di caricare le immagini – e l’audio. l’audio, perdio – della prossima puntata, e non riesci a partorire che un piccolo delirio insignificante che va a arricchire una nuova puntata del diario del videomaker. Una puntata in cui si voleva parlar di soldi e si è finiti per parlare di qualsiasi altra cosa, perché alla fine amo anche questo lato del lavoro, e cerco di applicare quelle nozioni che mi sono care del montaggio, il movimento, il battito degli occhi tanto caro a Murch, tutto quello che vorrei mettere un giorno in uno dei miei sogni.
Se poi a qualcuno pungesse vaghezza di vedere il risultato di queste farneticazioni, non dovrà fare altro che attendere le puntate 13, 14, 15 e 16 di Una Lunga Estate, in onda su Leonardo Tv
Alla prossima.
Per esempio, io sto cullando due sogni due.
Uno è quello di un film che ho in testa da un paio di mesi, per il quale – chiamatemi pazzo – ho già registrato il dominio, tanto ci credo. L’altro è quello di una serie di format tv web based. Ma per farli ci vogliono i soldi. Non che i lavori accettati siano sufficienti a pagare progetti simili, ma almeno si mette qualcosa da parte per quando – quando? – finalmente si potrà dedicarsi a quel che si vuole fare veramente.
Ecco che in quei periodi capitano, puntualmente, lavori che sembrano una passeggiata e che invece nascondono tagliole e mostri di fine livello a ogni piccolo passo. Il lavoro che ho accettato – l’avrete già capito, non si può nascondere nulla a voi – è di questo genere, ma al cubo.
E’ allora che per il povero videomaker inizia lo scoramento e le notti insonni, e partono i countdown. Sì, una delle mie tecniche quando sto per iniziare una giornata di cui già prevedo i bioritmi e gli oroscopi senza bisogno di consultar Pizie, è quella di pensare tra dieci ore è finita. Solo che in questo caso mi tocca pensare tra un mese è finita. E dico mese perché contare le ore in questo caso sarebbe atroce, spaventoso e soverchiante.
Fatto sta che il videomaker all’occasione si fa montatore. E il montatore professionista non si occupa solo di fare i tagli. Li rifinisce, li riguarda, li coccola e soprattutto – come avrete inteso da un paio di post nei giorni passati – si occupa dell’audio.
Controlla che tutto moduli fra i -18 e i -6 dB, livella, fa in modo che i passaggi da una clip all’altra siano naturali e ben sfumati, separa gli stramaledettissimi canali e poi si avventura nel magico mondo dei keyframe.
Sapete come funziona? Si guarda la forma d’onda da una parte e i volumi dall’altra e ogni volta che c’è un picco o un audio troppo basso si agisce modellando, in qualche modo, la forma d’onda frase per frase, a volte parola per parola, a volte nel singolo frame in modo tale che la modulazione sia non solo nei range tecnici ottimali ma anche gradevole all’udito. E tutto ciò viene fatto quando in teoria il regista ha finito il suo. E porta via tempo, e ragione. Ragione e tempo. Perché lo devi fare per una puntata di cinquanta minuti. E per altre tre, dopo che avrai finito la prima. Il pensarci ti fa venir voglia di scriverci su, mentre stai attendendo che il tuo computer – che usi come un muletto da giorni, ormai – finisca di caricare le immagini – e l’audio. l’audio, perdio – della prossima puntata, e non riesci a partorire che un piccolo delirio insignificante che va a arricchire una nuova puntata del diario del videomaker. Una puntata in cui si voleva parlar di soldi e si è finiti per parlare di qualsiasi altra cosa, perché alla fine amo anche questo lato del lavoro, e cerco di applicare quelle nozioni che mi sono care del montaggio, il movimento, il battito degli occhi tanto caro a Murch, tutto quello che vorrei mettere un giorno in uno dei miei sogni.
Se poi a qualcuno pungesse vaghezza di vedere il risultato di queste farneticazioni, non dovrà fare altro che attendere le puntate 13, 14, 15 e 16 di Una Lunga Estate, in onda su Leonardo Tv
Alla prossima.