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Vieni via con me ci ha portati via

Vieni via con me – Seconda puntata del 15 novembre 2010 Seconda puntata di Vieni via con me da passare ai raggi X. Non tanto per gli ascolti – enormi, record – o per la forma, che si consolida, quanto per i contenuti. Perché ieri il programma di Fazio e Saviano ci ha portati via

pubblicato 16 Novembre 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 11:05


Vieni via con me – Seconda puntata del 15 novembre 2010
Vieni via con me - Seconda puntata del 15 novembre 2010
Vieni via con me - Seconda puntata del 15 novembre 2010
Vieni via con me - Seconda puntata del 15 novembre 2010
Vieni via con me - Seconda puntata del 15 novembre 2010

Seconda puntata di Vieni via con me da passare ai raggi X.

Non tanto per gli ascolti – enormi, record – o per la forma, che si consolida, quanto per i contenuti. Perché ieri il programma di Fazio e Saviano ci ha portati via verso un’aria un po’ più respirabile rispetto a quella che ci aveva regalato la settimana scorsa: e appena si alza un po’ il tiro, be’, la gente il programma lo guarda lo stesso, anzi, gli spettatori erano persino più della prima puntata, ieri, incollati a RaiTre. E soprattutto, arrivano le reazioni politiche.

E’ bastato che Saviano, in un lungo monologo – forse anche troppo lungo – raccontasse il mito fondativo delle mafie, lo mettesse in scena con il supporto di Antonio Albanese e poi raccontasse dell’invasione della ‘ndrangheta al nord, non con i toni dell’inchiesta – quelli li si lascia a Riccardo Iacona, che nel suo Presadiretta fece benissimo, proprio sulla ‘ndrangheta, in un’ottima puntata d’apertura di stagione -, per generare reazioni politiche. Fra cui la presa di posizione di Maroni, che chiede il diritto di replica. Ma Mazzetti ha già replicato: non lo invitiamo.

Eppure, il racconto di Saviano era basato su fatti, nemmeno sconosciuti a chi si informa, di certo, finalmente, deflagranti se portati in una prima serata record. E sulla questione della ‘ndrangheta al Nord ha parlato di “dialogo degli ‘ndranghetisti con la Lega Nord”. E ha citato una frase di Gianfranco Miglio, in vita padre putativo della filosofia della Lega. E’ bastato questo per scatenare la bagarre. Basta gridare che il re è nudo.

E’ la prova definitiva: non serve fare lo show, non serve il grande ospite ad ogni costo (anche se di ospiti grandi, ieri sera, ce n’erano eccome. Da un Don Gallo in gran forma a Antonio Albanese, da Cristiano De Andrè alla vedova Welby): il pubblico ha fame anche di quei contenuti lì.

I temutissimi Bersani e Fini si sono esibiti nei loro elenchi-monologhi sui valori della sinistra e della destra, ma sembravano ingessati, fuori posto, per nulla a loro agio. E alla fine, non erano certo il punto di forza della puntata.
Il monologo di Paolo Rossi, che durante il live ho definito duro e difficile, probabilmente non sarà arrivato a tutti, ma quell’è colpa mia, quell’invito a interessarsi a ciò che accade nel paesello, be’, quello almeno sarà arrivato.

Insomma, il risultato ottenuto da una puntata che comincia ad avvicinarsi ai fasti di Dall’inferno alla bellezza è la prova che si può osare, che si può fare di più, che si può essere meno ingessati e più duri.

Certo, si rischia sempre di incorrere nell’impiccio della mitizzazione del singolo, e ogni tanto il programma ci casca. Si potrebbe obiettare che senza Saviano mitizzato il programma non farebbe quegli ascolti. Può anche darsi, ma ora importa poco. Importa il fatto che la seconda puntata cresce, rispetto alla prima. E le reazioni del giorno dopo, che entrano nel merito dei contenuti e non si limitano a stigmatizzare le battute di turno – molto più pesanti, quelle di Rossi e Albanese, rispetto al Benigni dell’esordio – ne sono la prova.

Alzare il tiro è quello che questo programma può fare. Ha ancora altre due puntate, e la strada sembra essere diventata quella giusta.

Rai 3Roberto Saviano