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VENEZIA TV: QUANDO IL CINEMA PASSA PER IL VIDEO

Una giornata alla Mostra con un accostamento importante, significativo. Da un lato, “Il maestro” di Paul Thomas Anderson, americano, molto atteso. Dall’altro, il film di Daniele Ciprì, “E’ stato il figlio”. Il primo è un lungo, forse troppo lungo, racconto di un marine che entra in una sorta di setta e in essa plasma parte

1 Settembre 2012 13:54

Una giornata alla Mostra con un accostamento importante, significativo. Da un lato, “Il maestro” di Paul Thomas Anderson, americano, molto atteso. Dall’altro, il film di Daniele Ciprì, “E’ stato il figlio”.
Il primo è un lungo, forse troppo lungo, racconto di un marine che entra in una sorta di setta e in essa plasma parte della sua vita. Interessante comunque, Il film un impianto di sceneggiatura, di regia e di sceneggiatura di alto livello. Qualità sempre più in ribasso nel nostro cinema.
Per quel che ci interessa in questa sede, voglio privilegiare il film di Ciprì, che questa volta si presenta da solo e non in coppia con Maresco come ha fatto finora, fin dai tempi delle trasmissioni su Rai3 per iniziativa di Enrico Ghezzi.
Quella fu una provocazione che fu accolta da reazioni anche negative ma che aveva l’indubbio merito di rompere con gli schemi, e proporre una satira forte, fino alla ricerca del disgusto. Una linea che Ciprì e Maresco hanno proseguito per i debutti nel cinema.
Sulla base di questo, mi viene subito da formulare una domanda: che cosa è rimasto di quella esperienza, tramontata inevitabilmente, in questo film che pure ne risente?
Premetto, metto le mani avanti, ma non per attutire quel che sto per scrivere, che Ciprì e Maresco sono personalità notevoli e che aspettavo Ciprì alla prima prova in autonomia con interesse, non solo con curiosità. Purtroppo , ho provato delusione.
“E’ stato il figlio” è film stiracchiato, senza molte idee. Peraltro le idee di base rimandano esattamente a quel che si è già visto in passato, in tutto quello che Ciprì ha realizzato con Maresco, ma con un peggioramento. Il grottesco, stile dei due, si è trasformato in una sorta di chiassata ambientata negli anni Sessanta, in una vicenda che nasce dalla morte di una bambina che il tribunale decida venga risarcita con una grossa somma per le circostanze in cui è avvenuta.
Una chiassata nel senso che il racconto, appoggiato a una esile trama, lascia negli occhi e nel ricordo solo la interpretazione (un pò da gigione) di Toni Servello, e ricorda delle puntate in tv le ben note immagini al limite (personaggi disgustosamente obesi, macchiette dialettali).
Il passaggio dal piccolo al grande schermo ha apportato assai poco o nulla di incisivo e di convicente.
Peccato davvero perchè Ciprì, non lo scopro adesso, ha dimostrato talento nella fotografia e non solo, nella narrazione. Mi pare che sarebbe servito uno stacco netto dal passato tv, da una iconografia ben nota e superata. Peccato anche perchè le esperienze valide, anche nel contrasto di opinioni, hanno bisogno di trovare le giuste strade verso il cinema, ma questo è un altro discorso, che vorrei portare avanti in seguito.
Italo Moscati