Una voce per San Marino: che delusione la seconda edizione…
Di Sanremo c’è già Sanremo: Una voce per San Marino imita il Festival di Amadeus senza averne mezzi, musica e storia.
La seconda edizione di Una voce per San Marino si è conclusa ieri, sabato 25 febbraio, e ha portato i Piqued Jacks a Liverpool per scelta insindacabile di una giuria di esperti, come abbiamo raccontato minuto per minuto su Soundsblog. Ed è stata una delusione.
Tutta la fragranza, la croccantezza, la rusticità che aveva conquistato e divertito lo scorso anno è svanita dietro alla ricerca di una ‘grandeur’ decisamente sovradimensionata, alla voglia di dimostrare di poter essere come Sanremo, prendendo peraltro a modello proprio il Sanremo meno telesivamente gestibile degli ultimi anni, quello di Amadeus. Sono riusciti ad andare più piano di Sanremo, con 5 cantanti esibitisi nella prima ora. E così si è finito per avere una serata infinita, senza ritmo, con una platea inanimata, un gelo favorito dai siparietti ideati dagli autori – e da uno scivolone del conduttore a inizio puntata che ha segnato poi la sua conduzione – il ricorso all’imitatore come negli show di piazza e 21 concorrenti spalmati tra le 21 di sera e l’1.15 di notte. Senza un perché. Neanche quello degli introiti di Rai Pubblicità.
Una voce per San Marino 2022: una prima edizione onesta, metadone per gli orfani di Sanremo
L’anno scorso Una voce per San Marino aveva conquistato tutti per la dimensione ‘casalinga’, la genuinità di una spettacolo che quasi faticava a credere di esistere, che quasi riteneva un ‘regalo’ esserci. Una opportunità televisiva per San Marino RTV che colse così una potenzialità, quella di offrire una ‘seconda chanche’ ad aspiranti ESC partecipants che magari avevano fallito una prima selezione, dal momento che sul Monte Titano non esistono limiti di nazionalità o di lingua. A far da traino alla scorsa edizione un Achille Lauro reduce da Sanremo 2022 alla ricerca di una seconda chance per salire sul palco del PalaOlimpico di Torino. Lauro vinse, partecipò a ESC 2022 e la sua Stripper ha finito per essere anche la colonna sonora della seconda edizione.
Nel 2022 assistemmo a uno spettacolo asciutto, una dose di metadone per gli orfani delle cinque serate monstre dei Sanremo di Amadeus. Fu uno spettacolo guardato con affetto, con quella bonarietà che si riserva – sì, con spocchia senza dubbio – ai parenti meno fortunati. Ma la dimensione molto local piacque: quel ‘Festival di San Marino’ voluto dal direttore Ludovico di Meo – scomparso improvvisamente poche settimane fa e ricordato nel corso della serata – si presentò al pubblico con una scaletta leggera, pochi finalisti, blocchi pubblicitari zeppi di spot locali che divertono sempre chi ama le piccole realtà tv. Che poi San Marino RTV di piccolo ha forse il budget ma non i riferimenti, che guardano direttamente a Viale Mazzini. Ma forse proprio quei riferimenti hanno tradito in questa seconda edizione.
Una voce stonata per San Marino
Per la seconda edizione si sono volute fare le cose in grande. Si è voluto forse dimostrare che non si è secondi a nessuno. Da qui un numero infinito di semifinali, una rosa di 22 finalisti per una Grand Finale che poteva filare liscia e animarsi della gara, per quanto condotta in un teatro senza grandi opportunità di messa in scena. Sul fronte strettamente tv, peraltro, chi l’ha seguita sul web ha sofferto di una qualità di streaming davvero bassa, che ricorda una volta di più quanto siano dati per scontati ormai certi livelli di qualità. Ma è stato lo show ad aver deluso: quattro ore costruite secondo lo schema dell’ultimo Sanremo, ovvero ‘una cantata e una riposata‘, che sfiancano chiunque, sopra e sotto il palco. E per di più tu non sei Sanremo.
Una scaletta senza ritmo, intervallata da momenti francamente imbarazzanti come le telefonate dell’imitatore (ho sperato che a un certo punto apparissero almeno Toti e Tata col loro Nomi, Cose e Città tanto amato in TeleDurazzo) o i due videomessaggi di Zucchero introdotti dalla Dea della Fortuna (vi rimandiamo al live di ieri sera). La conduzione ha visto un Jonathan Kashanian meno convincente dello scorso anno, per quanto abbia cercato di animare una serata a dir poco noiosa, e una Senhit con scarso senso della conduzione, cui è stato dato anche un mezzo compitino da monologo e soprattutto l’intermezzo musicale, in piena gara. Al Bano, per dire, è stato chiamato a cantare alle 00.50, come nei peggiori Sanremo: e il suo disappunto per la serata infinita non è mancato, tra battutine e frecciate. Per non farlo addormentare (supponiamo) è stato chiamato in causa in continuazione da Jonathan, con un effetto ancora più fastidioso per chi era a casa. Se si vuole fare uno show serve un conduttore vero e proprio, non basta un presentatore. E se quel presentatore scivola a inizio serata su un giro di scambi, più meccanici che pensati, su una ragazza di nome Ilenia (de Sena, ai social) coinvolgendo Al Bano, allora la sua concentrazione va a farsi benedire. Ci vuole lucidità, velocità di pensiero, capacità di gestire gli imprevisti se si vuole ‘fare Sanremo’ altrimenti l’effetto è un triste wannabe. Come è successo ieri sera.
Di Sanremo c’è già Sanremo
Il risultato è stato quello di riuscire a fare ‘peggio’ di Sanremo. Anzi, per certi versi è riuscito a far rivalutare il Festival anche ai più critici. “Almeno quello è Sanremo!” ho pensato più volte nel corso della serata: almeno ha offerto i ‘tre tenori del pop’, i Depeche Mode, una selezione musicale meno residuale. Insomma, almeno è Sanremo, che per come è adesso è pure troppo. Imitarlo nella sua versione meno digeribile sul fronte narrativo è quasi kamikaze, anche perché l’imitazione non è certo garanzia di successo. Una borsa falsa si riconosce a occhio nudo: puoi comprarla – compiendo un illecito – ma alla fine ti qualifica…
Eppure il modello di conduzione di coppia vera e inclusiva era già una nota positiva. Ma l’errore è stato quello di guardare all’Italia – così da vicino da fotocopiarne modello (e scalette) – e non al resto del Mondo: la Rocca dei Titani poteva approfittare della propria indipendenza e autonomia, del proprio orgoglio di ‘Festival internazionale’, per testare modelli più agili di selezione, per guardare a quanto si fa altrove, allontanandosi invece dai Paesi che, in una prospettiva ESC, restano ‘schiacciati’ dalla tradizione del Festival della Canzone (come l’Italia, come l’Albania o come la stessa Spagna con Benidorm).
Si sarebbe potuto guardare non dico a Stoccolma, ma al modello ESC in quanto tale – molto X Factor per la messa in scena ma anche molto più easy nella costruzione tv – che i vari paesi declinano in base ai propri budget: si va dalla maestosità del Melodifestivalen svedese agli show più dimensionati di Lituania o della Serbia (qualitativamente migliori anche di Sanremo per certi versi), per arrivare alla ‘medietas’ (nel genere) del Melodifestival norvegese che cerca sul palco il modello ESC e nello show finisce per avere una dimensione più artigianale. Insomma, poteva essere da volano per una ‘riscrittura’ futura anche del nostro Sanremo e invece si è impantanato nel provincialismo. Ma si può recuperare: per la terza edizione confidiamo di qualcosa di meno ambizioso, più dimensionato e con una maggiore cura realizzativa. Ma lasciateci l’unico brivido della serata, ovvero la postazione stand-up sui camerini trasparenti del centro commerciale…