Catturare uno spezzone tv, decontestualizzarlo e lanciarlo nella mischia dei social, gridando allo scandalo. Non è più una tendenza, né tantomeno una moda. È, ormai, una prassi.
L’ennesima dimostrazione è arrivata pochi giorni fa quando un siparietto andato in onda nella prima puntata del 2022 de Le Iene è diventato virale. Tutta colpa della battuta di Teo Mammucari contro Belen Rodriguez, durante il gioco del Passaparolaccia.
Stavolta non soltanto ci si è casualmente dimenticati del contesto, ma è stata addirittura travisata la frase pronunciata dal conduttore. Che, come dimostrato da Le Iene, qualche ora dopo lo scoppio del caso, non ha mai dato della “putt*na” alla collega.
Un po’ come accaduto meno di due settimane fa sul palco del teatro Ariston per il Festival di Sanremo in occasione dello scambio dialettico tra Drusilla Foer e Iva Zanicchi. Un polverone social smontato in poche ore dalla ‘moviola’ e dalle dichiarazioni dei diretti interessati.
Ma torniamo a Mammucari; il caso, che stava già facendo indignare i soliti noti, è rientrato (quasi rientrato: ancora oggi il sito de La Repubblica scrive di un “ammiccamento sessista” di Mammucari e sui social alcuni utenti sostengono che “è vero, non l’ha detto, ma era sottinteso“).
In pochi sembrano essersi fermati a riflettere a proposito di un processo che prevede una caccia quasi quotidiana ad un colpevole, il più delle volte maschio, possibilmente da appellare come sessista, violento e razzista. Un processo che coinvolge molte parti, a partire da stampa e social.
Com’era la storia del gridare al lupo al lupo?