Tutta colpa di Freud, Paolo Genovese a Blogo: “È un esperimento che potrebbe portare innovazione nel modo di fare tv”
Paolo Calabrese racconta a Blogo come è nato l’esperimento di Tutta colpa di Freud in versione miniserie per Canale 5, in onda oggi e domani in prima serata.
Oggi e domani in prima serata su Canale 5 andrà in onda Tutta colpa di Freud, il film di Paolo Genovese che tanto successo ha avuto al cinema un anno fa e che arriva in tv sotto forma di miniserie in due puntate. Si tratta di un esperimento nato dalla collaborazione di Mediaset e Medusa Film che potrebbe portare a una innovazione nel modo di fare tv, unendo la qualità del cinema e la libera fruizione per l’ampio pubblico televisivo. A spiegarci il progetto nei dettagli è oggi lo stesso regista, che ha risposto alle nostre curiosità e domande.
La prima cosa da chiarire subito è che non si tratta del classico passaggio televisivo di un film che ha avuto successo al cinema, e neppure della suddivisione del film – così come lo abbiamo visto al cinema – in due parti. Si tratta in realtà di un vero e proprio progetto per la tv nato insieme al film, giusto?
Sì, è un progetto che nasce così sulla carta. L’idea era quella di trovare una nuova formula produttiva che potesse in qualche modo unire il cinema alla televisione. Visto che la storia di Tutta colpa di Freud aveva respiro, era più ampia di quella che giustamente entra in una formula cinematografica, che sono al massimo 110 minuti, si è pensato di scrivere una stesura più approfondita, con un approfondimento delle singole storie, ma anche con l’introduzione di nuovi personaggi (e quindi nuovi attori), per farne una versione televisiva di circa 160 minuti.
Un nostro lettore segnalava, in un commento, che non ci sarebbe alcuna novità nell’esperimento, perché negli anni ’80 era consuetudine che l’allora Fininvest trasmettesse i film italiani di maggior successo al botteghino in “versione estesa”, ovvero diluendo la visione in due/tre serate con l’aggiunta di scene tagliate e inedite. È così o c’è una sostanziale differenza?
È completamente un’altra cosa: in questo caso non ci sono scene tagliate che abbiamo riutilizzato, ma sono proprio scene pensate, c’è tutta una parte del film che in scrittura è stata pensata solo per la televisione. Sapevamo che quelle scene non si sarebbero viste al cinema. E quindi, come ti dicevo, c’è un approfondimento dei personaggi che avete conosciuto al cinema, ma ce ne sono di nuovi con attori che non avete visto al cinema e che sono ‘signori attori’: Claudia Zanella, Luca Angeletti, Lucia Ocone, Dario Bandiera, Michela Andreozzi, Francesca Figus, Alessia Barela e Valerio Aprea. Ti faccio un esempio: nel film c’è Marco Giallini che fa lo psicanalista e ha a che fare solo con le figlie, mentre nella versione tv ha dei pazienti coi quali ha delle sedute divertenti. Laura Adriani, che nel film è la figlia di Giallini che ha la storia con il cinquantenne Gassmann, nella versione tv è divisa con un’altro amore diciottenne, suo compagno di classe. Insomma, c’è un approfondimento notevole della storia.
Credi che questo possa poi diventare un modo nuovo di fare film per la tv?
Penso sia un esperimento interessante. Trovare nuove formule produttive è sempre molto importante. Questa è una formula che, in maniera incrociata, aiuta sia la parte cinematografica che la parte televisiva. Il film per il cinema ha a disposizione un budget più robusto, ma la parte televisiva – in questo caso Mediaset – è interessante perché con una somma relativamente piccola ha a disposizione una miniserie con un costo che è un decimo di quello che costerebbero invece due puntate di una serie tv. È chiaro che qui non stiamo parlando di qualcosa che potrà sostituire del tutto le classiche miniserie con due puntate, perché in questo esperimento abbiamo una parte di già visto e una di novità, però come aggiunta credo che il prodotto cinematografico in versione televisiva possa essere qualcosa di veramente interessante. Qui vanno a convivere due diverse esigenze: chi non ha visto il film ha il modo di vederlo, e in una formula tutta nuova, chi invece lo ha già visto e magari lo ha anche amato, ha la possibilità non solo di rivederlo, ma di aggiungere anche delle cose nuove. E c’è quindi anche lo stimolo a rivederlo.
In questo modo verrebbe anche meno il luogo comune secondo cui chi fa cinema non si occupa di tv o viceversa…
Sì, questa cosa esiste. Cinema e televisione sono a volte considerati due mondi diversi, in realtà possono convivere e anzi questa è la dimostrazione che può essere fatta una tv di qualità.
Da tutto quello che ci hai raccontato mi pare di capire che dietro a questo progetto ci sia dietro un lavoro più impegnativo e più complesso rispetto a quello che occorre per un film che va solo al cinema…
È un lavoro complesso, e soprattutto è un lavoro nuovo. Non esiste una tecnica precisa da seguire, perché siamo stati i primi, ce la siamo inventati insieme agli sceneggiatori. Avevamo delle pagine della sceneggiatura che sarebbero andate solo in televisione e chiaramente durante la scrittura questa cosa andava tenuta in conto. Occorreva quindi evitare che nel cinema – dove si levavano alcune cose – si creassero dei buchi, mentre nella televisione – dove ne aggiungevi delle altre – evitare di rovinare il ritmo narrativo. Bisogna quindi avere la testa a due progetti, con due formati e due strumenti diversi. È quindi stata una bella sfida, stimolante e interessante.
Quindi immagino che ti piacerebbe ripeterla…
Sì, anche se chiaramente non è una formula che si può adattare a qualsiasi film. Bisogna avere il film con il giusto respiro, che possa essere approfondito. Per farti un esempio: ho fatto Immaturi, e lì si sarebbe potuta tranquillamente applicare questa formula, tanto è vero che poi ho fatto Immaturi – Il viaggio, perché c’era ancora da dire, c’era da raccontare. Invece in un altro mio film, ad esempio, Una famiglia perfetta, non sarebbe stato possibile, non c’era da dire oltre quello che si è visto e che si è concluso in una notte. Non c’era proprio la necessità narrativa di dire di più. Ecco, bisogna avere la storia giusta a cui applicare questo sistema.
Prima di salutarti, ti volevo fare anche una domanda sugli ascolti: li temi oppure non ti preoccupano? Stasera ad esempio va in onda uno “scontro” tra Chi l’ha visto e Quarto Grado, due trasmissioni che si occupano di cronaca nera in un periodo in cui ci sono casi importanti da affrontare. È anche vero che hanno un pubblico diverso da quello che segue Canale 5…
Venendo dal cinema, che è qualcosa di completamente diverso e più rischioso, mi preoccupano di meno. Tutta colpa di Freud al cinema è stato un successo, il suo giudizio – in termini numerici – lo ha già avuto. Se dovesse andar male, mi verrebbe da pensare che è perché la gente lo ha già visto al cinema. Un film che è già uscito al cinema, in prima visione, di solito si assesta sul 16-17%, quelli sono più o meno i risultati, non c’è un picco. È ovvio che spero in un ascolto importante, perché è un esperimento che, se dovesse esserci un’impennata negli ascolti rispetto alla semplice messa in onda di un film, diventerebbe interessante, diventerebbe una formula che premia. Detto questo, non ho una grande preoccupazione, anche perché – detto per inciso – a volte ho dei dubbi sulla precisione dell’auditel, mi sembra un sistema vecchio, che non è cambiato negli anni. Credo che il campione sia veramente modesto rispetto a quelli che sono i parametri che andrebbero utilizzati. La tecnica di questo ‘telecomandone’ di un unico televisore è ormai superata, in un’epoca in cui non solo ci sono più televisori nella stessa casa, ma in cui da parte dei giovani c’è un’ampia fruizione di internet. In una realtà che è cambiata in questo modo, il sistema di rilevazione è rimasto sostanzialmente identico. C’è qualcosa che non va, l’auditel andrebbe rinnovato.