E’ un Toni Capuozzo polemico, quello che traspare dalle pagine di Libero. Il giornalista condurrà questa sera l’ultima puntata di stagione di Terra!, il programma di approfondimento di Rete4, e si occuperà dei cristiani perseguitati in Siria e Iraq. Ha raccontato il perché ad Alessandra Menzani:
“Non se ne parla abbastanza. La Siria oggi è il buco nero del mondo, crea e distrugge alleanze. In Iraq, nella regione del nord, fino a Massul che è nelle mani dell’Isis, intere famiglie scappano ma vivono in conflitto: andiamo in Europa o restiamo? Il dilemma dilania la comunità cristiana, una minoranza, perché chi fugge vivrà in esilio per sempre. Per me non esiste un Islam moderato. E’ ovvio che non tutti gli islamici sono terroristi. Ha mai sentito parlare di cattolico moderato? E’ come dire che si può essere molto islamici o poco islamici. Io parlo con molti musulmani e sento le solite litanie: colpa degli occidentali, colpa di Israele, l’Isis è stata finanziata dagli Usa. Parola per nulle moderate, o no? I terroristi uccidono nel nome di Allah”.
Capuozzo ha seguito tante guerre per lavoro come inviato, ma quella dei Balcani è quella che gli ha lasciato il ricordo più personale di tutti, un figlio acquisito:
“Portai un bambino piccolo via da Sarajevo assediata, l’ho nascosto in una macchina. Aveva perso la mamma, non aveva una gamba, e l’ho tenuto 5 anni. Poi è tornato là. E’ quasi più figlio degli altri, è come se l’avessi partorito io. Adesso ha 22 anni e attraversa un periodo difficile. Ho altri due figli. Il ragazzo, il più piccolo, studia. Mia figlia è laureata in marketing e lavora nel settore turistico a Londra. Sono stato un padre un po’ assente con loro quando erano più piccoli. Oggi il rapporto è decisamente buono. Sono felice che non facciano i giornalisti, comunque”.
Il giornalista ha anche pubblicato un libro di recente, Il segreto dei Marò, in cui rivendica la sua posizione innocentista. E, per perorarla anche su Libero, lancia una bella frecciatina contro i colleghi:
“Il sentire comune è fortemente influenzato dall’informazione, l’informazione è influenzata dalla classe politica. E la politica sui Marò ha fatto una figuraccia. Nemmeno il centrodestra se la cava. Quella dei due fucilieri è a storia di un insuccesso italiano. Come dicevo l’informazione ha fatto la sua parte, non ho mai visto Bruno Vespa con il plastico dell’Oceano Indiano o Nuzzi e Sottile interpellare psicologi sul caso. Meglio parlare di Meredith…”.
Capuozzo si è appassionato al caso perché conosceva Latorre dal 2006, “quando a Kabul aveva comandato una scorta che mi accompagnava durante un servizio in elicottero. Un professionista serio, non un Rambo che spara a inermi pescatori scambiandoli per pirati. Poi volevo ricondurre tutto ai fatti, vedere i documenti dell’inchiesta indiana, parlare del caso in modo oggettivo e senza pregiudizi politici”.
A questo punto il coming out che non ti aspetteresti da uno militante come lui:
“Non voto da un quarto di secolo. Sono come un ex alcolista che non sopporta la vista del vino. Non è un messaggio, non ne sono fiero. L’ho anche tenuto nascosto a mia figlia per lungo tempo”.
Poi Capuozzo racconta il suo rapporto con la rete, in cui è presentissimo su Facebook:
“Ha portato una ventata di aria fresca e di democrazia ma la professionalità, la ricerca dei fatti, la garanzia di un lavoro artigiano contano molto. A volte la rete è come il cesso di un autogrill. Nessuno ha mai telefonato a Samantha il cui numero appare nel cesso di un autogrill. Perché sai che è uno scherzo. Nell’anonimato ti muovi con circospezione. Un giornalista invece ha quella tracciabilità che a volte garantisce autorevolezza. Su Facebook ci sono le risposte, i feedback, è divertente anche se non è pagato. Quando avevo la rubrica sul Foglio era una specie di confessionale in cui avevo una libertà maggiore rispetto alla tv, in cui è giusto tenere un maggior equilibrio. In televisione parlo a gente che non c’è, che non vedo. Su Facebook mi esprimo, c’è un dibattito”.
Infine, il punto – altrettanto polemico – sui suoi pregi-difetti:
“Fumo, in modo accanito. Odio la vita d’ufficio. Non tengo la foto dei figli sulla scrivania. Non faccio selfie, tranne l’altro giorno con Gerry Scotti: lui mi è simpatico e ho messo la foto su Facebook. Non ho il gusto per il potere. Non sono portato per l’organizzazione, soprattutto per il lavoro altrui. Quando ero vice direttore del Tg5 dicevo che avevo potere solo su me stesso. Non frequento stanze dei bottoni o salotti importanti”.
W l’integrità un po’ ruvida di Toni.