È finito da pochi giorni il suo impegno estivo come inviato di Morning News e fra una settimana è pronto a ripartire con Fuori dal coro. Nel suo passato c’è stato Agon Channel, dove, oltre a condurre il notiziario, era al timone di I Primi, il programma d’informazione mattutino, e di Americano – Il primo sulla notizia!, il talent show giornalistico. TvBlog ha intervistato Tommaso Mattei.
Come ti sei avvicinato al mondo del giornalismo e quali sono le prime esperienze che hai fatto?
Se faccio questo lavoro è grazie a mia mamma. Stavo per laurearmi in Giurisprudenza, quando una sera mi fece trovare sotto un piatto a tavola una busta con dentro l’iscrizione per un master di giornalismo a Milano. Ero scettico, ma decisi di partire. Dopo tre giorni la chiamai e la ringraziai: “Mamma, mi hai fatto scoprire quello che sarà il lavoro della mia vita”. Tornato a Firenze, dopo il master, iniziai a spedire il curriculum nelle varie redazioni locali e dopo alcuni giorni mi chiamarono dalla “vecchia” Italia 7, dove iniziai a fare uno stage di quelli in cui fai le fotocopie al direttore e porti i caffè ai redattori. Avevo però voglia di farmi vedere e di dimostrare quello che sapevo fare e per questo cercavo di farmi dare di tutto. Così ho iniziato con le prime uscite, le prime interviste, i primi pezzi scritti e sono arrivato ad ottenere prima un contratto a tempo determinato e poi uno a tempo indeterminato.
Nel 2014 arrivò la chiamata per Agon Chanel. Come ti si aprì questa opportunità lavorativa?
In quel periodo lavoravo anche a Radio Sportiva, dove c’era come ospite Giancarlo Padovan. Lui era stato chiamato da Francesco Becchetti in Albania per formare insieme ad Antonio Caprarica una squadra di lavoro per la nuova Agon Channel. Con lui mi era capitato di parlare fra una pubblicità e un’altra della mia ambizione di confrontarmi con un’emittente nazionale. Un giorno mi chiamò e mi propose di andare a fare un provino a Tirana. Becchetti quando mi vide impazzì. Mi disse: “Sei bravissimo davanti alla telecamera. Ti voglio, ti voglio, ti voglio!”. Mi fece una grande offerta e, dopo alcuni tentennamenti, accettai.
Caprarica abbondonò il tg dopo due settimane dall’inizio delle trasmissioni e dopo pochi mesi l’avventura di Agon Channel si interruppe. Oggi, a posteriori, come valuti quell’esperienza?
Per me è stato importante passare da lì. Ho conosciuto chi mi avrebbe portato poi a Mediaset, ma soprattutto ho condotto telegiornali nazionali e ho seguito alcuni degli eventi internazionali più importanti degli ultimi anni. Da Caprarica, nel mese in cui ho lavorato con lui, ho rubato tante volte con gli occhi e anche dopo l’esperienza ad Agon abbiamo continuato a sentirci quando avevo bisogno di consigli. È un’esperienza che mi ha dato tanto professionalmente, ma anche umanamente.
A Mediaset come ci arrivi? Chi ti ha portato?
Massimo Righini, che era arrivato ad Agon Channel come responsabile delle produzioni e del palinsesto, aveva subito apprezzato le mie qualità, sia in video sia da giornalista. Quando tornai a casa, lui dopo un po’ mi chiamò e mi propose di confrontarmi con una realtà diversa. Il primo programma che feci a Mediaset fu Domenica Live, poi arrivò Live – Non è la d’Urso, dove conobbi Emanuela Sandali, grazie alla quale arrivai successivamente a Fuori dal coro.
Nel mezzo ci fu l’esperienza a Sky Sport 24. Quando arrivasti scrivesti in un post Instagram: “Dopo tanti sacrifici arrivo dove ho sempre sognato di arrivare, con le mie forze, le mie competenze e la mia esperienza. Spero sia l’inizio di una grande avventura, adesso tocca a me dimostrare tutto ciò che valgo”. Come andò quell’esperienza?
Quando mi chiamò Matteo Marani, dissi subito sì. Non guardai i soldi, non guardai il ruolo, non guardai a niente: per me era un grande sogno che si realizzava. Credevo che con quello che avrei fatto vedere mi sarei potuto giocare le mie carte. Invece, alla fine, rimasi impantanato in un momento in cui stava avvenendo anche un cambiamento per quanto riguarda i diritti (dalla stagione 2018-2019 i diritti della Serie B passarono a Dazn e della Serie A Sky continuò a trasmettere solo sette partite, ndr). Quello che mi ero immaginato non si stava realizzando e così accettai di tornare a Mediaset quando Emanuela mi propose Fuori dal coro.
Che cosa significa fare l’inviato di Fuori dal coro?
Fuori dal coro innanzitutto è una grande famiglia. Mario Giordano è un duro, un uomo testo, ma è anche un direttore corretto, giusto. Con lui senti quando il lavoro che fai viene apprezzato e questo ti dà grande soddisfazione. Alcuni colleghi sono diventati poi dei veri amici. Lavorare a Fuori dal coro è un vero orgoglio perché siamo una trasmissione che va a scavare e che non ha paura di fare le domande, anche quelle più scomode. Io ho avuto delle enormi soddisfazioni professionali, che sono diventate anche personali. Durante il Covid, una serie di mie inchieste ha portato all’approvazione di un farmaco, l’Anakinra, la cui richiesta d’approvazione era rimasta sepolta nei cassetti dell’Aifa. Molti medici mi hanno poi raccontato che grazie a quel farmaco si sono riuscite a salvare migliaia di vite umane.
Quanto impegno richiede il lavoro di inviato per un programma del genere?
È un impegno totalizzante quello di Fuori dal coro. Io, che come inviato vado anche spesso all’estero, faccio tre, quattro giorni di viaggio, sto due giorni al montaggio e poi il giorno dopo sono già a pensare alla puntata successiva.
Da inviato ti hai mai dato fastidio la percezione che si ha dall’esterno di Fuori dal coro, dove in primo piano, rispetto alle inchieste giornalistiche, c’è l’immagine di Mario Giordano che urla alla telecamera? Non c’è il rischio che il contenuto giornalistico diventi così secondario?
A volte dà fastidio sentirsi apostrofare come terrapiattisti, novax o negazionisti del cambiamento climatico. Il lavoro che noi facciamo è quello di cercare tutte le possibili verità, anche quelle “fuori dal coro”. Questo è quello che abbiamo fatto, ad esempio, durante il Covid, dove, pur essendoci tutti vaccinati, abbiamo voluto vedere tutti gli altri possibili aspetti. Quando si fa un buon lavoro, dispiace se l’attenzione finisce poi solo su un cartonato posizionato in studio. Quello che a volte ci danneggia però è anche quello che ci ha fatto arrivare a stare per iniziare la quinta edizione di Fuori dal coro. Sia pubblico sia critica si stanno iniziando ad accorgere che non c’è solo l’urlo, il cartonato o la provocazione di Giordano.
L’esperienza di Morning News che hai concluso settimana scorsa che cosa ti ha regalato professionalmente di diverso rispetto ad un programma come Fuori dal coro?
È stata la mia prima esperienza estiva al mattino. Mi è piaciuto fare i collegamenti in diretta, un aspetto assente in Fuori dal coro. Mi sono divertito perché ho fatto cose nuove e spero di aver dimostrato all’azienda di poter essere sfruttato anche in quest’ottica. Se durante l’autunno ci fosse bisogno di un inviato per una diretta, io sono a disposizione. Giordano non sarà felicissimo, ma è una porta che voglio lasciare aperta.
Per il tuo futuro cosa ti piacerebbe per la tua carriera? Sogni di tornare in studio o preferiresti rimanere sul campo?
Se devo sognare, mi piacerebbe avere un programma tutto mio su Mediaset. L’altro grande sogno è quello di diventare un grande inviato e godere della stessa di credibilità di Raffaella Regoli o del compianto Andrea Purgatori. Mi piacerebbe proseguire sulla strada di inviati che hanno fatto la storia del giornalismo, senza paragonarmi a nessuno. Ora come ora non vorrei rinunciare a nessuno di questi due binari.
Quale genere di programma ti piacerebbe condurre, qualora ti venisse data questa occasione?
Non ti nascondo che mi piacerebbe condurre un programma d’inchiesta sulla falsariga di Fuori dal coro, Report o Atlantide. Per me una trasmissione del genere sarebbe davvero bella.