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Tiziano Ferro sul 2 – Come abbruttire una star

Lo speciale di RaiDue sul disco “L’amore una cosa semplice” è di una noia abissale.

pubblicato 3 Gennaio 2012 aggiornato 5 Settembre 2020 00:41


Mi sintonizzo, lo ammetto, solo da una mezz’oretta sullo speciale di Tiziano Ferro sul 2 – L’amore è una cosa semplice, ovvero uno di quei in casi in cui la musica è meglio non vederla. C’è un intervistatore nell’ombra, non meglio specificato, che fa domande marzulliane come “qual è stata l’esperienza più felice e quella più infelice della tua vita?”, meritandosi una risposta del tipo “datemi la mia psicanalista, faccio prima”. Roba che Hugh Grant per Cavalli e segugi avrebbe sfigurato meno.

Poi c’è Max Pezzali che ha il coraggio di dire che lui e Tiziano fanno praticamente parte dello stesso mondo e sono entrambi “fan” nell’approccio alla musica. L’ex 883 ritiene di aver preso il lato più rock dell’hip hop di fine anni ’80, mentre Tiziano avrebbe quello più funky e blues (qualcuno gli ricordi che appartengono a generazioni totalmente differenti).

Più onesto Jovanotti, nell’ammettere che le sue canzoni si capiscono subito (anche con una licenza elementare, andrebbe aggiunto), mentre quelle di Ferro sono un arabesco incomprensibile e, per questo, stimolante.

Addirittura hanno scomodato pure Pippo Baudo, con tanto di coppola siciliana, a rivendicare l’orgoglio artistico della vecchia guardia. Della serie che gli artisti di oggi devono contaminarsi con quelli persino più vecchi di lui, come Tony Bennett con Amy Winehouse. Ma perché rompere l’intimità del racconto con tutti questi voli pindarici?

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Tiziano Ferro sul 2: foto
Tiziano Ferro sul 2: foto
Tiziano Ferro sul 2: foto
Tiziano Ferro sul 2: foto
Tiziano Ferro sul 2: foto

Ferro, intanto, ripercorre la registrazione del suo album – unica ragione per cui ha accettato la tassa di questo speciale – con il consueto contributo dagli Abbey Road Studios. Per chi è stato a Londra, si tratta della meta di pellegrinaggio discografica dei più grandi cantanti. Parola d’ordine? Prostrarsi al mito dei Beatles, anche se magari erano del partito dei Rolling stones. Più sei star, più devi registrare un disco lì. Peccato che il telespettatore, a furia di rivedere sempre lo stesso tour negli studi, li conosca meglio degli scavi che ha visitato ogni anno al liceo.

Dietro questo speciale non c’era una direzione artistica degna di un minimo interesse: brutte le luci, racconto sottotono, montaggio sconclusionato. Poi, che Tiziano non avesse il pallino per la moda, lo sapevamo. Ma vederlo allo sbaraglio con un maglione da soffitta e casual come l’ultimo degli stagisti non fa onore, comunque, a un artista internazionale. Non è un caso che per i videoclip e le interviste di copertina qualcuno ci fa un attimino più attenzione a queste cose.

Il suo look era trasandato come l’intera confezione del prodotto, il suo coinvolgimento emotivo a livelli comatosi. Come la musica in Rai, che a differenza dell’amore non è affatto una cosa semplice. Tra il Tiziano mummificato sul 2 e quello di Vanity Fair che passa le sere (meno nere) a scommettere su chi vince Masterchef, pena il ghiaccio nelle mutande, c’è una bella differenza di appeal.

Rai 2