TIPI TOSTI: COME DEVE ESSERE UN ALTO DIRIGENTE RAI, IL CASO BERNABEI…
Foschi ritratti del futuro della Rai si leggono sui giornali. Non elenco i fatti, sono sotto gli occhi di tutti. Mi auguro che i nocchieri della flotta Rai (reti generaliste tv e radio, e tutto il resto) sappiano trovare la strada o le strade giuste per garantire alla Rai come servizio pubblico (modernizzato) un futuro
Foschi ritratti del futuro della Rai si leggono sui giornali. Non elenco i fatti, sono sotto gli occhi di tutti. Mi auguro che i nocchieri della flotta Rai (reti generaliste tv e radio, e tutto il resto) sappiano trovare la strada o le strade giuste per garantire alla Rai come servizio pubblico (modernizzato) un futuro serio.
In questo senso, saltando tante cose che mi piacerebbe scrivere, vado a uno dei nodi del gran problema Rai: chi la dirige, chi inventa i programmi, chi sa guardare al di là del tornaconto personale o del tornaconto della ditta in politica che indica i suoi uomini. Pratica, quella delle indicazioni, che andrebbe fatta con discrezione e intelligenza per non nuocere al servizio pubblico. Tema fatto di principi ma anche di comportamenti, e qui casca l’asino. Tutti, o molti, si riempiono la bocca di queste due parolette “servizio pubblico” e poi le seviziano, a seconda di interessi non sempre chiari e limpidi.
Non ho consigli da dare, nè da far critiche. Non se ne può più di critiche e di polemiche. Servono esempi.
Uno di questi, che mi viene in mente in un momento delicato per la Rai, è quello offerto da Ettore Bernabei, direttore dell’ azienda dal 1961 al 1975 (l’anno della riforma). Più che un esempio, lo vorrei chiamare “caso”. “Caso” perchè nel panorama storico in cu ha vissuto, nel bene e nel male, la vecchia e cara Rai, quello di Bernabei, anni 88, è davvero un caso.
Noto come grande personalità dalla parola franca e diretta, capace di abbracciare l’invettiva esplicativa (non aveva parole tenere sul pubblico che si arrampicava sugli alberi delle emozioni facili della tv) e capace nello stesso tempo di garantire in equilibrio e un dosaggio di scelte che si rivelavano all’altezza della situazione, senza ipocrisie. Sentiva i partiti ma sceglieva persone come Carlo Livi, Angelo Guglielmi e tanti altri che avevano una cosa sola da offrire: la voglia di fare, la abilità nel fare. A gente così, che non era in numero ridotto, si deve se la Rai degli anni Sessanta venga (o veniva?) considerata una delle migliori del mondo, come stanno a dimostrare i successi d’antan tradotti in dvd: dagli sceneggiati al varietà, da Tv7 alle inchieste e ai programmi culturali.
A gente così io debbo qualcosa. Se sono riuscito a realizzare, sul finire degli anni Sessanta, inizio anni Settanta, una serie di programmi sperimentali (con l’esordio di Gianni Amelio per fare un nome, e la collaborazione di maestri come Jack Luc Godard, Glauber Rocha, Marco Ferreri, Liliana Cavani…) che vengono considerati un punto di riferimento di qualità e di successo. Tanto è vero che cineteche, centri sperimentali, case del cinema e persino case editrici aprono loro la porta non per suscitare nostalgie ma per dimostrare che era (ed è possibile) fare a basso costo lavori nati in tv , in grado di stare in tv e di scavalcarne i limiti.
Finisco raccontando un fatto che riguarda il momento in cui gli Sperimentali- telefilm di media durata- finalmente si affacciarono al video.Molti dirigenti, la cosiddetta tecnostruttura, non li aveva visti , ma li bloccava, vietando loro l’ingresso ai palinsesti. Perchè? Perchè costavano troppo poco rispetto ai loro show o prodotti costosi e di medio o basso risultato. Concorrenza non tollerabile. E perchè i giornali, che avevano avuto modo di vedere gli Sperimentali in qualche festival, davano alla iniziativa e ai suoi risultati un tale risalto che li preoccupava, dato che evidenze simili con le avevano mai ottenute.
Qualcuno infornò Bernabei della faccenda. Questi Qualcuno sono tra gli uomini che fanno un’azienda seria, con lo sguardo puntato al futuro. Bene. Bernabei chiese di vedere alcuni degli Sperimentali. Trovò il tempo. Gli piacquero. Ottenne , o meglio impose, che venissero inseriti nel palinsesto di Rai2.
Gli Sperimentali ebbero successo. In quel tempo, Bernabei che veniva attaccato da sinistra e da destra come un “monarca assoluto” fece un atto democratico, ma soprattutto dimostrò la difficoltà presentata da una azienda poco disposta a cambiare o almeno a cercar di cambiare.
Ecco spiegata la ragione per cui l’ottuagenario Ettore era e resta un “caso”. Speriamo che ce ne siano altri. Intanto, gli faccio auguri di successi per la sua Lux Vide, e le sue fiction. Fiction che non sempre mi piacciono. Ma questo è un altro discorso.
Auguri vecchio Leone.
Italo Moscati