Ti consiglio un telefilm/2: le serie tv da recuperare secondo Luca Barra, Arnalda Canali, Fulvia Leopardi, Leo Damerini e Stefania Carini
Abbiamo chiesto ad alcuni esperti del settore quale serie tv non famosa in Italia consiglierebbero ai lettori: ecco cosa hanno risposto
Secondo ed ultimo post (il primo lo trovate qui) per la nostra rubrica dedicata alle serie tv da riscoprire secondo alcuni esperti del settore. Ispirandoci ad un numero dello scorso mese di “SetteTv”, abbiamo chiesto ad alcuni giornalisti e blogger di condividere con noi il ricordo di una serie tv a loro cara.
L’unico paletto che gli abbiamo imposto è stato quello di parlare di un telefilm che non abbia avuto particolarmente successo in Italia, vuoi per una collocazione sbagliata, per una scarsa promozione o perchè arrivato da noi solo in dvd.
Le risposte sono state varie, curiose in alcuni casi: chissà che tra queste serie non ce ne sia una che possa diventare la vostra prossima dipendenza telefimica… Ovviamente, il nostro ringraziamento va a tutti coloro che hanno partecipato a questa iniziativa. Dopo il salto, i consigli di Luca Barra, Arnalda Canali, Fulvia Leopardi, Leo Damerini e Stefania Carini.
Luca Barra: Seinfield
Luca Barra, insegnante di Economia e marketing dell’audiovisivo all’Università Cattolica di Milano, nonchè coordinatore editoriale di “Link” ed autore del libro “Risate in scatola. Storia, mediazioni e processi distributivi della situation comedy americana in Italia” (Ed. Vita e pensiero), ci propone una delle sit-com che hanno fatto la storia delle tv americana:
“Più che una chicca da riscoprire nella bassa stagione estiva, è un vero e proprio “compito per le vacanze” per chiunque si dichiari appassionato di serie tv, e di sitcom in particolare: Seinfeld, una pietra miliare della tv statunitense fin troppo bistrattata dalla tv italiana (passata in modo caotico su Tmc/ La7, e poi recuperata dallo sfortunato Jimmy su Sky). Una situation comedy che ha più di vent’anni – è andata in onda su NBC dal 1989 al 1998 – ma che non li dimostra per niente. Perché recuperarla ora? Per i personaggi, brutte persone (ma in fondo adorabili) come tutti noi: l’immaturo bambinone Jerry, il meschino perdente George, la spregiudicata e cinica Elaine, lo stralunato Kramer. Per le battute folgoranti, che grazie a Larry David (poi protagonista di Curb your Enthusiasm e alter ego di Woody Allen in Basta che funzioni) applicano la migliore tradizione dell’umorismo ebraico newyorkese ai più insignificanti –e inattesi– dettagli della vita quotidiana. Per la gestione virtuosistica della materia narrativa, capace di passare con nonchalance, e uguale divertimento, da puntate interamente ambientate dentro un parcheggio o in attesa di un tavolo al ristorante ad architetture complesse come l’episodio fatto di soli flashback. Perché è uno ‘spettacolo basato sul nulla’ (come si dice nella quarta stagione), in cui non ci sono lezioni e morali, nessuno impara mai niente, e il (lieto?) fine è sempre un po’ amaro. Perché è cinica e diretta, sfrontata e sincera. Ma, soprattutto, perché fa (ancora) ridere. E tanto.”
Arnalda Canali: Brotherhood
Arnalda Canali, giornalista di “SetteTv”, si sofferma su un drama di qualche anno fa, partendo da un episodio nello specifico:
“Se mai vi capitasse di vedere l’episodio di Thanksgiving di Brotherhood, serie di Showtime di qualche anno fa, rimarreste folgorati: si sa, le festività maggiori, nelle serie tv, spesso servono a imprimere accelerazioni emotive alla storia, e producono perciò episodi di grade impatto, il giorno del Ringraziamento in particolare, con il tradizionale pranzo di famiglia carico di scenate. Beh,qui, dopo un’estenuante giornata di discussioni, uno dei protagonisti consuma finalmente la sua cena festiva in un diner semideserto, degno del miglior Hopper, mangiando un sandwich al tacchino, mentre Cat Power intona la più mesta versione di Satisfaction mai eseguita. Brotherhood narra dei fratelli Caffee, uno politico in ascesa e l’altro criminale di medio calibro, della loro famiglia, del sobborgo operaio dal quale provengono,elle dispute tra le loro mogli. Solo tre intensissime stagioni, non a caso premiate col famoso Peabody Award, premio all’eccellenza artistica.”
Fulvia Leopardi: Invasion e Treme
Per la blogger Fulvia Leopardi (fulvialeopardi.it), invece, bisognerebbe riscoprire una serie tv andata sì in onda sulla tv italiana, su Canale 5, ma d’estate:
“Il consiglio per l’estate è Invasion, 22 episodi sceneggiati da Shaun Cassidy, andati in onda su ABC, che mischiano i temi di tre serie di culto (Visitors versione 1984, I segreti di Twin Peaks ed X-Files) creando un gradevole effetto deja vu: la serie racconta di strani fenomeni verificatisi nella cittadina Homestead, in Florida, dopo il passaggio di un uragano: ad indagare lo sceriffo Tom Underlay (William Fichtner, Prison Break) e il ranger Russell Varon (Eddie Cibrian, CSI Miami e The Playboy Club), i quali scopriranno che… Purtroppo la concomitanza con i disastri dell’uragano Katrina costrinse la rete a ridimensionare il battage pubblicitario e lo show fu cancellato dopo la prima stagione, ma un’occhiata, secondo me, se la merita lo stesso.
A proposito di Katrina, un altro gioiellino da non perdere è Treme, serie HBO che gli ascolti non premiano abbastanza: lo show racconta la vita dei cittadini di New Orleans dopo il post uragano Katrina, quando i sopravvissuti, non senza qualche problema ‘tecnico’ e personale, tenteranno di tornare alla vita di sempre. Treme continua il filone di “denuncia” di David Simon, ma, pur essendo a tratti molto lenta, è godibile – per quanto sconsigliata se siete in cerca di intrattenimento ‘puro’ per spegnere il cervello – anche solo se viene vista come uno spaccato della vita di New Orleans.”
Leo Damerini: Crime story
Punta sul poliziesco, invece, Leo Damerini, co-fondatore dell’Accademia dei telefilm nonchè organizzatore del Telefilm Festival:
“Direi il sottovalutato e spesso dimenticato Crime Story, sia per la firma di Michael Mann sia per l’originalità, all’epoca, della violenza tra clan, tra buoni (che non sono poi così buoni) e cattivi (che non sono poi così cattivi), un duello spesso sotto la pioggia che non riesce a lavare i crimini più che altro morali di ambo le parti. Una police story anomala e suggestiva, dove germoglia in nuce il successivo e più solare Miami Vice, senza contare il montaggio e la fotografia ad effetto videoclip e la colonna sonora come surplus (ingredienti che Mann si porterà anche sul grande schermo). Rivedendolo oggi, poi, viene da chiedersi come mai Dennis Farina non abbia raggiunto la successiva consacrazione cinematografica dopo questa prova strepitosa…”
Stefania Carini
Infine, Stefania Carini, che insegna Analisi e produzione di testi televisivi all’Università Cattolica di Milano ed è giornalista per il “Corriere della Sera” (cura la rubrica Tv Usa) ed “Europa”, punta tutto non tanto su una serie tv, ma su un autore-simbolo degli anni Novanta:
“Più che una singola serie (e ce ne sono tante) mi piacerebbe parlare di un autore, tanto osannato negli anni 90 quanto forse oggi un po’ messo in disparte. Eppure fu uno dei primi showrunner ad avere fama internazionale. Oggi lo si dimentica un po’, di fronte magari a nomi ben più di moda come quello, seppur di tutto rispetto, di JJ Abrams. Parlo di Chris Carter, autore di un vero e proprio gioiello, XFiles. Che non è certo una serie di scarsa fama qui in Italia, anzi. Ma forse andrebbe rivista oggi per apprezzare la capacità di creare dei personaggi, una mitologia, una scansione seriale che danno corpo a una precisa visione del mondo, all’idea di mistero come incognita sempre imperscrutabile, pena la fine della sua essenza (e della narrazione). E poi Carter fu l’artefice di Millenium, serie dalla vena più horror, questa sì bistrattata nei nostri palinsesti. Due sue serie invece sono state del tutto dimenticate. La prima è The Lone Gunmen, spin off di una sola stagione di XFiles, mai trasmessa in Italia, dedicata alle avventure dei tre geek che aiutavano nelle loro indagini Murder e Scully. La seconda è Harsh Realm, sempre di una sola stagione, apparsa fugacemente sui nostri schermi (sul compianto Jimmy). Metteva in scena il tenente Hobbes (ah, i personaggi con i nomi di filosofi!) costretto a combattere con la sua mente in una sorta di realtà alternativa creata da un software. Era il 1999, era uscito Matrix, ma lo show di Carter era filosoficamente più sofisticato, rifletteva sull’idea di realtà e sui concetti di vero e falso. Nella serie recitava nei panni del Generale che aveva preso controllo del videogame Terry O’ Quinn, futuro Locke. Per tutto questo, e molto altro, Carter si meriterebbe un bel ripasso telefilo.”
Paolino: Blue Jeans
Il sottoscritto non poteva tirarsi indietro in questo gioco di ricordi e consigli seriali. Vi consiglio, quindi, se non l’avete già fatto, di recuperare “Blue Jeans”, dramedy in onda dal 1988 al 1993 sulla Abc. Sull’onda dei ricordi tra fine anni Sessanta ed inizio anni Settanta, la serie tv segue l’adolescenza di Kevin, giovane studente che deve vedersela con i primi amori, la scuola, la paura di sbagliare e la voglia di diventare il grande. Il tutto, raccontato dalla versione adulta di Kevin, che solo a fine serie svelerà se avrà raggiunto i suoi sogni, un po’ come nel più recente “How I Met Your Mother”. Imperdibile la sigla, “With a Little Help from My Friends” dei Beatles nella versione registrata da Joe Cocker.