The Voice Kids si merita la possibilità di una stagione vera e propria
Senza l’elemento della competizione, il format di The Voice of Italy in formato Kids conferma le potenzialità già viste nella versione Senior.
Ormai è assodato: il format The Voice, scevro dell’elemento della competizione che è intrinseco nei talent show più popolari (Amici, X Factor…), funziona e c’è poco da aggiungere.
The Voice Kids, andato in onda questa sera su Rai 1, ha dribblato le perplessità iniziali, esattamente come capitò tre anni fa con The Voice Senior, figlio di un talent show che, su Rai 2, non ha mai attecchito veramente presso il grande pubblico e che, a sorpresa, oggi è doveroso definire un successo addirittura maggiore del format da cui ha preso origine.
Le incertezze legate a quello che, in realtà, vista la brevissima durata (due puntate), appare come un semplice esperimento televisivo da analizzare in vista di un’ipotetica prima vera stagione, erano legate soprattutto alla tipologia dei concorrenti.
Se con i cantanti over 60, con la passione per il canto o con una carriera nella discografia archiviata, si può raccontare una storia e regalare loro un applauso senza l’obbligo di promettere una carriera una volta conclusa l’avventura televisiva, con i cantanti giovanissimi, questo rischio, legato, appunto, alla competizione e al futuro, forse, avrebbe potuto presentarsi.
E invece no. Anche The Voice Kids, infatti, si libera dal rischio di apparire competitivo e si propone come una semplice vetrina anche per quei concorrenti che, effettivamente, sono apparsi davvero talentuosi e che, tra qualche anno, sicuramente vedremo tra i banchi di Amici.
La presenza di bambini in tv, con genitori al seguito, può dividere legittimamente il pubblico (e il caso di Pupo che, inavvertitamente, a Ti lascio una canzone, causò il pianto di una bambina con un giudizio negativo, è ancora vivo).
Antonella Clerici è stata impeccabile nel non sovraccaricare i giovani cantanti di inutili responsabilità e di minimizzare in caso di insuccesso che, in realtà, insuccesso non è stato visto che anche i concorrenti non scelti per la finale, alla fine, hanno lasciato il palco con soddisfazione.
È stata trovata la giusta via di mezzo che ha evitato sia la disputa tra concorrenti che un eccessivo buonismo (che, quando ci sono bambini di mezzo, poi, forse, non è neanche il caso di condannare troppo).
Un discorso simile si può attuare anche per la parte “emotional” del talent show. Una vita vissuta, indubbiamente e anche ovviamente, offre più spunti di una vita appena iniziata, di conseguenza, The Voice Kids rischiava di apparire come una semplice passerella di ragazzini con la passione della musica.
Anche in questo caso, pericolo scongiurato, merito soprattutto di un ottimo lavoro di casting che, non potendo puntare sui ricordi, ha puntato sulle mode del momento, offrendo una rappresentazione fedele del panorama musicale odierno, dove non sono stati ignorati fenomeni musicali recentissimi (Ghali, Mahmood, Blanco, Pinguini Tattici Nucleari), fenomeni social (Povero Gabbiano e musica neomelodica) e il cantautorato di un tempo (Amadeus, col suo Sanremo, ha fatto scuola e si nota).
Considerato ciò, quindi, visti i molteplici rischi scongiurati, The Voice Kids si merita la possibilità di una stagione vera e propria.
Il problema, a questo punto, sta nel proporre due spin-off di The Voice al pubblico di Rai 1 senza correre il rischio di saturare il format. Un finto problema, potrebbero pensare alcuni, visto e considerato che Tale e Quale Show, in questa stagione televisiva, è stato spremuto come un limone, senza risultati apparentemente negativi.
Nonostante ciò, rimane, questo, un aspetto da non sottovalutare.