The Net – Gioco di squadra riporta il calcio nelle serie ad una dimensione più comedy (grazie anche al villain Gaetano Bruno): la recensione
Trattative, negoziati, gare salvezza ma soprattutto ironia per una storia che prende il calcio per quello che è, ovvero un gioco
In quella scorpacciata di calcio che il pubblico televisivo italiano si è fatto in queste settimane per colpa (o merito, lo lasciamo decidere a voi) dei Mondiali di Calcio in Qatar, non poteva mancare anche la fiction. Con un azzardo non da poco, perché da sempre raccontare in forma seriale una storia di sport non è cosa facile. Eppure, The Net – Gioco di squadra su Raidue e RaiPlay non fa alzare gli occhi al cielo per chiedersi “perché?!?”.
The Net – Gioco di squadra, la recensione
“Quasi”, però, perché altrimenti sarebbe troppo facile. Bisogna, insomma, trovare il giusto equilibrio, cosa che The Net – Gioco di squadra (stando almeno al primo episodio che abbiamo potuto vedere) sembra aver trovato. Il capitolo italiano di questo progetto che vede coinvolti anche Austria e Germania con altre due serie tv (non è dato ancora sapere se andranno mai in onda da noi), infatti, è ricca di calcio, di tecnicismi e di personaggi in cui gli appassionati potranno ritrovarsi, ma anche di una volontà di intrattenere che più vicina alla commedia familiare che ad altro.
Sì, la famiglia resta il punto focale anche in questo caso. La Storia stessa del calcio ce l’ha insegnato: i club più grandi, quelli che arrivano sul tetto del mondo, non sono mai gestiti da uno, ma da tanti, siano essi parte di una famiglia vera e propria o di una famiglia che nasce nel momento stesso in cui si intraprende l’avventura del campo dal manto verde.
E The Net – Gioco di squadra fa del contrasto tra il padre-patron (Massimo Ghini) ed il figlio scapestrato (Alberto Paradossi) il punto di partenza, per svilupparsi poi tra gli intrighi del caso. Ma non è questo che ci ha fatto arrivare piacevolmente fino alla fine dell’episodio.
Ciò che ci ha colpito di più di questa serie è stata l’ironia ed il colore con cui i registi Volfango De Blasi e Lorenzo Sportiello hanno dipinto quella che poteva essere una storia che si sarebbe potuta sì prendere più sul serio, ma a discapito del risultato finale. In particolare, l’esperienza di De Blasi prima con il documentario Crazy for Football e poi con il film-tv da esso tratto deve essere servito a molto.
A proposito di villain, va fatta una segnalazione a parte per Gaetano Bruno, a nostro dire la rivelazione di questa sera. Con la sua interpretazione di Massimo Corridoni, Bruno si vede che si diverte a costruire un antagonista che risulta essere tutto fuorchè antipatico o temibile. L’alone di mistero che lo circonda, il suo vivere quasi in isolamento in un convento ma al tempo stesso l’ossessione con cui cerca di portare il giovane Vincenzo dalla sua parte solo per scopi personali ne fanno un ruolo che diventa esilarante, grazie proprio allo sforzo dell’attore che lo interpreta nello spingere il giusto sugli aspetti più perfidi senza dimenticarsi di quelli meno seri.
E’ probabilmente il personaggio di Corridoni quello che riassume meglio lo spirito di tutta la serie: una storia sul calcio, ma che del calcio gliene importa il giusto, e che preferisce ricordarsi delle persone che ci stanno dietro. Uomini e donne che prima di rincorrere un pallone, rincorrono loro stessi, le loro contraddizioni ed i loro sentimenti, con i relativi falli fuori e dentro il campo.