The Crown 4, la recensione in anteprima: la migliore serie Netflix si avvicina alla memoria collettiva
Peter Morgan punta tutto su un tris femminile: Regina, Primo Ministro e la futura moglie di Carlo. E come volevasi dimostrare, anche questa volta fa centro
Delle stagioni finora distribuite da Netflix di The Crown, la quarta (quella in arrivo domani, 15 novembre 2020) segna decisamente una svolta, sia per chi vi ha lavorato che per il pubblico. Il motivo è evidente fin dal trailer di questa stagione, che si sofferma -così come fanno i dieci nuovi episodi- su una Trinità tutta al femminile composta dalla Regina (Olivia Colman), dal Primo Ministro Margaret Thatcher (Gillian Anderson) e da una giovanissima Diana Spencer (Emma Corrin).
Tre donne, diversissime tra di loro, che non solo prendono le redini di tutta la narrazione, ma che accompagnano il pubblico in un’inevitabile metamorfosi che trasforma The Crown da racconto storico e talvolta romanzato di una Nazione tramite gli occhi di una famiglia (e che famiglia!) a racconto emozionale, che pur non tralasciando fatti storici e strettamente legati al Regno Unito esce dai confini di quest’ultimo e raggiunge le corde emotive, appunto, di tutti.
Sia chiaro, l’emozione di cui parliamo non viene suscitata semplicemente dal fatto che stiamo parlando di donne: lungi da noi utilizzare lo stereotipo della donna che è sinonimo di sensibilità e dell’uomo che invece incarna la concretezza. Tutt’altro: le tre protagoniste -perché sì, sebbene la Regina resti al centro è innegabile che ora debba condividere lo spazio con altre due figure di spessore- riescono di episodio in episodio a districarsi tra momenti di estrema debolezza, di atti di forza ed anche di bontà. Il lavoro fatto da Peter Morgan, in altre parole, è stato quello di bilanciare tre caratteri forti ma capaci di coesistere in un lungo arco di tempo, dando vita ad uno dei decenni più intricati ed affascinanti della Corona che ha (s)travolto il mondo intero. Ecco perché, allora, riteniamo doveroso soffermarci su ognuno di questi tre personaggi e sulle loro interpreti.
The Crown 4, la Regina ed una Colman in stato di grazia
La quarta stagione di The Crown parte sul finire degli anni Settanta ed attraversa tutti gli Ottanta. Un decennio a cui la Regina Elisabetta assiste con curiosità e con non poca preoccupazione: da una parte le tensioni sociali che aumentano, con l’attentato dell’Ira che provocò la morte di Lord Mountbatten (Charles Dance), le rigida politica portata avanti dalla Thatcher e l’aumento della disoccupazione che non fa altro che acuire le disuguaglianze.
Dall’altra, lo sforzo per fare in modo che il figlio Carlo (Josh O’ Connor), ancora scapolo all’età di trent’anni, trovi moglie e garantisca così alla Corona la linea di successione al trono. Come sappiamo, la scelta cade su Diana, nonostante Carlo ribadisca più volte il suo interesse per Camilla Shand (Emerald Fennell).
La Regina con cui ci ritroviamo ad avere a che fare sembra essere spiazzata da un mondo che, a volte, non riconosce più. Negli incontri settimanali con il Primo Ministro deve sempre più sforzarsi di capire la direzione che il suo Paese sta prendendo, non senza qualche timore verso le decisioni della Lady di Ferro.
E’ la stagione delle incertezze anche per colei che abbiamo imparato a conoscere come Regina dell’inflessibilità e delle granitiche convinzioni. Se già in passato Morgan aveva ritratto un’Elisabetta di fronte ad episodi che ne hanno fatto vacillare l’apparente freddezza, gli anni Ottanta di The Crown 4 costringono la protagonista a dover stare al passo con i cambiamenti del mondo e della sua famiglia. Non solo Carlo, ma anche gli altri figli, che ammette candidamente di non conoscere come dovrebbe: la madre e la donna, ora, diventano più interessanti della Regina.
Ad Olivia Colman, giunta al secondo ed ultimo ciclo di vita della “sua” Regina (dalla quinta stagione sarà interpretata da Imelda Staunton), gli abiti reali ora stanno ancora più a pennello: un’interpretazione, la sua, che si incastra alla perfezione con la scrittura del personaggio, che trova il giusto equilibrio tra dovere istituzionale e morale, ricordandoci che sotto la Corona c’è, prima di tutto, una donna.
L’interpretazione della vita di Gillian Anderson: Margaret Thatcher
Il racconto della quarta stagione di The Crown non poteva non passare dai difficili anni che il Regno Unito ha dovuto affrontare sul fronte economico e politico: non serve essere esperti in materia per godere della linea narrativa che viene scritta nel corso degli episodi e che si concentrano sul personaggio della Lady di Ferro.
I dieci episodi partono dal primo mandato della Thatcher e si concludono con l’ultimo. Nel mezzo, gli enormi sforzi di una donna a cui viene chiesto di risollevare l’economia inglese e resistere. Sì, resistere: la Thatcher di Peter Morgan è sinonimo di resilienza ed inflessibilità, come ben dimostrano gli episodi che sono stati pensati appositamente per entrare meglio nella mente del personaggio.
Un lavoro che non può non tenere conto dell’enorme quantità di materiale che i media ci hanno lasciato su Mrs. Thatcher e che per questo diventa ancora più interessante: come sempre The Crown va oltre la documentaristica, ma al tempo stesso non cerca la pruriginosità dei fatti noti a metà.
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Vediamo Margaret Thatcher incontrare coloro che avrebbe dovuto designare a Ministri e comunicare loro che non lo diventeranno; la vediamo spuntare nomi e cognomi, appuntamenti e respingere più volte il documento sulle sanzioni a applicare al Sud Africa per l’apartheid alla stessa maniera, con quella penna rossa utilizzata sotto praticamente gli occhi di tutto il mondo. E la vediamo farlo senza mai voltarsi indietro.
La missione di portare sullo schermo un personaggio così affascinante e pericolosamente a rischio caricatura, dopo il lavoro fatto da Meryl Streep in “The Iron lady”, è stata accettata da Gillian Anderson. Non giriamoci intorno: Anderson fa un lavoro encomiabile, trovando nella giusta voce e nei giusti movimenti una Thatcher funzionale al racconto senza allontanarsi dalla realtà.
La sua non è una caricatura ma non è neanche un’interpretazione personale: l’attrice ha studiato a fondo per quello che con ogni probabilità è il ruolo che consacrerà definitivamente la sua carriera e l’allontanerà dal pregiudizio di chi ancora la considera solo come l’agente Scully (e che probabilmente nn ha mai visto The Fall, American Gods o Sex Education).
Un tassello, quello che portato dentro la serie, che alimenta l’affresco di The Crown 4 che, partito dalla Regina, passa momentaneamente il testimone al Primo Ministro donna inglese ed ad una ragazza inesperta di bon ton reale che risponde al nome di Diana Spencer.
Diana prima di diventare Lady: segnatevi il nome di Emma Corrin
Peter Morgan lo sapeva, che le grandi aspettative per questa stagione si sarebbero riversate in gran parte sul personaggio di Diana Spencer e sul suo burrascoso matrimonio con Carlo. Lo sapeva, e non si è tirato indietro dal rendere la storyline Diana-Carlo uno delle colonne su cui regge tutta la stagione, tanto da dedicare a Diana degli episodi stand-alone, in cui quasi ci si dimentica della Regina.
Il rischio era quello di finire a fare il solito santino, cancellando le sfumature di cui è ricca la serie e separando i protagonisti di questa storia tra buoni e cattivi. Un rischio che sfuma e di cui ci dimentichiamo non appena iniziamo a conoscere -tra realtà e finzione, sia chiaro- come Carlo e Diana si conoscono, l’ingresso a Palazzo della giovane Spencer, le sue prime solitudini causa impegni istituzionali (e non…) del fidanzato prima e marito poi.
La palla del senso di colpa rimbalza, passando prima inevitabilmente al trattamento che Carlo riserva alla moglie e madre dei suoi figli e poi al desiderio (conscio o inconscio?) di Diana di trovare l’approvazione dell’opinione pubblica, cogliendo al volo ogni occasione per alimentare la sua figura pubblica. Un modo per avvicinare i sudditi alla Famiglia Reale, dice lei a Carlo, il cui matrimonio sarebbe servito anche a distrarre gli inglesi dall’inflazione in salita, dalla disoccupazione e dall’aumento delle tensioni sociali.
The Crown 4 racconta la favola fino ad un certo punto: la sceneggiatura squarcia il velo del ricordo romantico (il matrimonio tra i due non viene neanche “celebrato”, ma vediamo solo Diana in abito nuziale, scena già diventata iconica) e rivela paure, contraddizioni e tradimenti. Soprattutto, però, ciò che fa Morgan è evidenziare la presenza di due terzi incomodi in questa relazione: da una parte Camilla e dall’altra la stessa Famiglia Reale, le cui interferenze diventano causa di una sofferenza della coppia a cui, a rivedere oggi questa storia, si sarebbe potuto porre fine molto prima.
Il nome di Emma Corrin rimarrà, indubbiamente: l’attrice esordiente e scelta per essere Diana solo in questa stagione (nella prossima il testimone passerà ad Elizabeth Debicki) travolge ed emoziona, restituendo una futura Principessa del Galles inesperta ma non per questo ingenua. Diana sa del ruolo che andrà a ricoprire non appena dirà di sì a Carlo, ed accetta la sfida. Sebbene la scene condivise da Diana e dalla Regina in questa stagione siano poche, la sua influenza sulla vita della protagonista si sente, eccome.
The Crown 4, non dimentichiamoci di Margaret ed Anna
Se vi aspettavate un paragrafo dedicato agli uomini di The Crown, siamo costretti a dirvi “sorry, but not sorry”. Fatta eccezione per Carlo, questa è la stagione che sprigiona un empowerment femminile senza precedenti, mettendo da parte tutti gli altri personaggi maschili.
Se la Regina, il Primo Ministro Thatcher e Diana tengono le redini di questo percorso in dieci episodi, passandosi di tanto in tanto la guida, non vanno dimenticate le figure della Principessa Margaret e della Principessa Anna. Helena Bonham Carter torna a dare volto alla sorella della Regina, un personaggio che meriterebbe una serie a parte e che in questa stagione si fa portavoce di una malessere che avevamo già intravisto nella terza.
Margaret si ritrova in crisi, sola, teme di essere messa da parte dalla sua stessa famiglia. La cosa più interessante è che diventa sempre più quella voce critica all’interno del nucleo reale, capace di dire ciò che il pubblico pensa sempre al momento giusto. E che, proprio per questo, ne subisce le conseguenze.
La Anna di Erin Doherty, invece, non è centrale in nessun episodio, eppure la sua storia si insinua tra le righe della sceneggiatura con riferimenti che ci evidenziano, anche in questo caso, un malessere dovuto ad una storia d’amore fallita. Anna cerca un riscatto nell’equitazione, ma la sua consapevolezza di non poter avere una vita cosiddetta normale la pervade, fino a diventare il più sfacciato dei personaggi. E nonostante sia tra le prime a consigliare a Carlo di chiedere la mano di Diana, è anche tra le prime a rendersi conto che tra loro due c’è un divario incolmabile, fino ad implorare la madre di acconsentire alla separazione. Come sia andata, lo sappiamo.
Ma perché The Crown 4 ci ha preso così tanto?
L’impressione che emerge a vedere la quarta stagione di The Crown è che le precedenti tre vengano spazzate via, come se non fossero mai esistite. Niente di più sbagliato, ovviamente, ma questo nuovo ciclo di episodi offre una visione totalmente differente, quello sì, tanto che non saranno pochi a sostenere che questa sia la migliore stagione di sempre del drama.
La marcia in più di The Crown 4 sta tutta nell’impatto emotivo che gli eventi narrati generano, sempre più vicini alla nostra memoria e che abbiamo vissuto, tramite interviste più o meno esclusive, pagine di giornali o dirette tv, sulla nostra pelle.
https://www.tvblog.it/post/1723026/the-crown-5-6-elizabeth-debicki-principessa-diana
Entra in gioco, insomma, l’effetto ricordo e tutto ciò che questo va a stimolare nella nostra mente: opinioni, reazioni, sentimenti… Ecco che, dunque, The Crown 4 entra sempre più dentro la memoria collettiva recente, scatenando effetti che prima, per cause temporali, erano più difficili da ottenere.
Ora, così come avverrà nella quinta e sesta stagione, il pubblico riesce a vedere anche una parte di se stesso ed a sentirsi esso stesso partecipe seppur in modo indiretto al racconto che Morgan e Netflix stanno accuratamente portando avanti. Un coinvolgimento che rafforza il potenziale narrativo e che regala a The Crown quello che ogni serie tv cerca: la complicità del pubblico.
[Foto di Des Willie, Liam Daniel ed Ollie Upton]