Home Netflix The Black Game: l’esperimento di Netflix studiato male ed eseguito peggio

The Black Game: l’esperimento di Netflix studiato male ed eseguito peggio

Il gioco Instagram basato su Bandersnatch, episodio interattivo di Black Mirror, a metà fra messinscena ed esperimento sociale. YouTube e Italia 1 gli rubano il primato.

pubblicato 17 Gennaio 2019 aggiornato 31 Agosto 2020 17:52

Ritenta Netflix, sarai più fortunato. Capita anche al colosso dello streaming online, osannato spesso da critica e pubblico per i suoi prodotti esclusivi, di prendere qualche cantonata: The Black Game, l’esperimento realizzato da Netflix Italia per i propri seguaci di Instagram, rischia di finire nel cesto delle occasioni sprecate. E, se si parla di interazione diretta fra pubblico e servizio, fra telespettatore e spettacolo, è l’ennesima occasione sprecata per l’Italia.

Il fallimento di Uman – Take Control!, reality interattivo di Italia 1 del 2011 chiuso dopo appena due puntate, non è stato riscattato dal gioco nato sulle orme di Bandersnatch, l’episodio ipertestuale di Black Mirror pubblicato il 28 dicembre scorso. Proprio come la vita del giovane Stefan Butler è nelle mani degli abbonati, ai quali spetta l’onere di determinare le azioni che questi deve compiere, così in The Black Game gli utenti hanno avuto il compito di dirigere una giornata di Pierpaolo, malcapitata vittima dell’esperimento. L’idea di poter governare realmente la vita di un ragazzo qualunque è durata il tempo di un caffè: una volta indossati gli abiti scelti dalla maggioranza degli utenti attraverso i sondaggi delle Storie di Instagram, a Pierpaolo è stato ordinato di lanciare della panna addosso ad un cliente di un bar; tuttavia, il livello di recitazione degli attori in scena – perché attori si sono dimostrati, ma ci torniamo avanti – ha fatto scattare in tanti dei giocatori che si sono confrontati su Twitter quella sospensione dell’incredulità che lo spettatore attiva solo davanti ad un’opera di fantasia. Una montatura, un bluff, a cui hanno preso parte anche Elio e la squadra dello Zoo di Radio 105, esecutori materiale di alcune scelte degli utenti.

Tanti i problemi di scrittura, che hanno contribuito a smascherare gli intenti reali dell’esperimento sociale. Nove prove, disseminate nell’ampio arco di quindici ore: praticamente un bignami della trilogia di Una notte da leoni, tra capelli rasati in strada e peperoncini piccantissimi da mangiare a colazione. Al primo vero test da carogne, che avrebbe seguito la distruzione degli scarpini da calcio ai quali Pierpaolo teneva molto, il ragazzo si è sottratto, fingendo di scappare dagli uomini incappucciati che lo controllavano, al fine di raggiungere la redazione di Radio 105. Quale spiegazione è stata fornita ai giocatori per questa deroga? Nessuna, tocca accontentarsi del pensiero che possa essere stato un espediente volto ad alimentare una tensione che mai si è accesa, nemmeno quando Pierpaolo è dovuto finire sotto le mani di un tatuatore per ottenere sulla nuca il glifo di Bandersnatch. Gli scarpini da calcio salvi, il collo marchiato a vita, lineare.

Il meglio è stato riservato alla fine, con una riflessione melensa sull’effettivo ruolo del fruitore nella scelta delle azioni che il giovane ha eseguito per tutto il giorno; una morale che palesa di fatto anche i criteri coi quali è stato progettato Bandersnatch. “Avete preso decisioni terribili per uno sconosciuto. Avete giudicato, commentato e odiato” rivela con sin troppa enfasi la voce della misteriosa narratrice, che ha seguito i concorrenti dall’inizio del gioco e ha voluto rendere manifesto un principio, cioè che l’idea di un’arte interrativa è una fantasticheria da sognatori. Il narratore è il despota, mentre lo spettatore vive inevitabilmente un ruolo subalterno, anche quando pensa di avere il coltello dalla parte del manico (qui, per giunta, solo quando la propria scelta è combaciata con quella della maggioranza). Il sottotesto, fedele al messaggio che funge da filo rosso a tutti gli episodi della serie antologica, lega questo rapporto di apparente libertà d’azione alla vita di tutti i giorni e vuole portare all’attenzione la pervasività della tecnologia nel quotidiano: l’esperimento saremmo stati noi, dipendenti dalle Storie di Instagram, che però, per la loro natura effimera, devono di forza essere consumate in fretta e furia e possono essere sottoposte ad avviso di notifica controllata. C’è da chiedersi, poi, che tipo di effetto può sortire un messaggio sulla dipendenza tecnologica da parte del maggiore colosso dello streaming online, che fa della comunicazione social e della mitizzazione del binge-watching due dei suoi capisaldi. Per la serie – visto che di quello si parla quando si nomina Netflix -, “Senti da che pulpito“.

L’ultima domanda della voce-guida è quella che molti avrebbero voluto proporre agli autori del gioco, arrivati con quasi un anno di ritardo dalla challenge di YouTube “My followers control my life for a day“, con cui alcuni utenti della piattaforma hanno affidato ai propri seguaci – e sempre attraverso sondaggi su Instagram – il controllo reale di una propria giornata: Siete sicuri di avere avuto tutto il controllo? 

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