The Activist, il fallito reality per reclutare attivisti per il G20 diventa un doc
Ideato da Global Citizen e Live Nation, The Activist doveva essere una sfida tra attivisti: obiettivo il G20 di Roma e un premio in denaro…
Doveva selezionare attivisti da spedire al G20 di Roma previsto ad ottobre e invece è fallito ancor prima di cominiciare: parliamo di The Activist, un reality ideato e prodotto dal movimento internazionale Global Citizen, impegnato su temi centrali come la lotta alla povertà, l’uguaglianza sociale e la difesa del pianeta, con Live Nation. Sarebbe dovuto andare in onda su CBS dal 22 ottobre per 5 puntate. Ma il progetto si è arenato a pochi giorni dal via. E il perché non è presto detto.
The Activist, il format
Partiamo col dire che il format prevedeva una sfida tra sei attivisti: si parlava di tre diverse squadre, ciascuna delle quali impegnata a sostenere un tema specifico e centrale come salute, istruzione e ambiente. A ogni campagna/squadra sarebbe stato associato un vip che fungesse anche da testimonial. In veste di conduttori e giudici erano stati sceltio il cantante Usher e e le attrici Priyanka Chopra Jonas e Julianne Hough. In ogni puntata le tre squadre avrebbero dovuto sfidarsi per realizzare una campagna efficace, capace di attirare l’attenzione del pubblico e l’engagement social sui temi loro affidati: a stabilire il vincitore e il perdente in ogni puntata la valutazione delle metriche social, del peso dell’engagement e il giuidizio dei conduttori/testimonial. Il team vincitore sarebbe stato spedito a Roma per perorare la propria causa presso i leader mondiali in occasione del G20 di ottobre (in programma il 30 e il 31 ottobre, ma le tempistiche reali del format ci svuggono). Nelle intenzioni degli organizzatori, il format avrebbe potuto mostrare al pubblico televisivo cosa c’è davvero dietro l’attivismo civile, ovvero la passione, le motivazioni, l’impegno, la fatica, ma anche le strategie e le tecniche utili per coinvolgere attivamente il pubblico a casa, quello più distratto e accrescerne la consapevolezza su temi vitali come l’educazione, la tutela dell’ambiente, la giustizia sociale, oltre che stimolarne la partecipazione diretta.
“The Activist è un format unico del suo genere perché è capace di ispirare e portare a un vero cambiamento via via che ci avvicineremo alla meta finale, Roma” aveva dichiarato il CEO di Global Citizen, Hugh Evans, non più tardi di una settimana fa, come riportato da Deadline. Altrettanto entusiasti i dirigenti della CBS, che presentavano The Activist come “un programma rivoluzionario, capace di unire filantropia e intrattenimento e di essere di ispirazione con le storie e gli esempi di chi si impegna per cambiare il mondo“, così come entusiasta era il CEO di Live Nation Entertainment, Michael Rapino, soprattutto perché occasione anche per il pubblico a casa di essere “parte della soluzione di problemi urgenti della società grazie a un intrattenimento capace di cambiare il mondo combinando competizione e partecipazione“.
L’unione avrebbe fatto la forza, dunque: intrattenimento, impegno civile, pubblico a casa, engagement social, vip e nip tutti insieme per dimostrare che anche un format tv piò cambiare il mondo. Ma il format non è partito, abortito dalle polemiche sorte proprio sui social. Polemiche su cosa? Sulla natura del format stesso.
The Activist, le polemiche
Al pubblico non è piaciuta l’idea stessa della competizione tra attivisti e tra temi tutti di fatto delicati e degni di essere sottoposti all’attenzione dei leader del mondo. La gara tra chi è più bravo a spingere sui social temi di interesse globale, trasformando un impegno così delicato in una sfida al miglior comunicatore social, ha scatenato critiche e contestazioni che hanno portato i produttori a fare marcia indietro. Anche perché la prima a tornare sui propri passi dopo aver visto l’ondata di critiche che ha accompagnato il lancio del reality è stata una delle sue conduttrici/testimonial, Julianne Hough, che in un lungo post su Instagram ha sostanzialmente accolto le critiche mosse al format e ha ammesso di non essere qualificata né per essere una testimonial né per giudicare nel merito le azioni e la bontà delle attività svolte dai concorrenti.
E così anche la produzione ha preferito ripiegare e cambiare in corsa format e progetto.
The Activist, da reality a documentario
Global Citizen ha cercato fino all’ultimo di difendere il principio del reality e l’idea della competizione, con tanto di dichiarazione stampa diffusa il 10 settembre – all’indomani del lancio ‘ufficiale’ del programma con l’annuncio della tripletta di giudici/testimonial/conduttori – nella quale si sottolineava l’intenzione di voler portare in tv l’impegno quotidiano e totalizzante dell’attivismo e non realizzare un programma tv che lo banalizzasse in un reality qualunque.
“Questo non è un reality che vuole banalizzare l’attivismo, anzi è sostenere gli attivisti ovunque essi siano e qualunque causa sostengano, mostrando al grande pubblico l’ingegnosità e la dedizione che mettono nel loro lavoro, un lavoro col quale vogliono cambiare la vita di tutti in meglio”
si legge nella nota riportata anche da Deadline. Ma non è bastato.
Di fronte al crescere delle polemiche, Global Citizen e Live Nation hanno fatto marcia indietro cancellando l’elemento competitivo e trasformando così il reality in un documentario che verrà trasmesso prossimamente in prima serata.
“L’attivismo si basa su collaborazione e cooperazione, non sulla competizione. Ci scusiamo con gli attivisti concorrenti, i conduttori e la vasta comunità degli attivisti. Abbiamo la responsabilità di usare questa piattaforma nella maniera più efficace per cambiare le cose e mettere in evidenza gli incredibili attivisti che dedicano la propria vita al miglioramento delle condizioni di tutti in tutto il mondo”
si legge nel post pubbblicato un paio di giorni fa sul profilo Instagram di Global Citizen. Segue poi un comunicato ufficiale firmato con Live Nation in cui si entra nel merito della trasformazione del programma:
“The Activist è stato pensato per mostrare al grande pubblico la passione, il lungo lavoro e l’ingegno che ci attivisti ci mettono per cambiare il mondo, anche nella speranza di ispirare altri a fare lo stesso. Nonostare questo è evidente che la formula scelta per lo show ha distratto dal vitale lavoro che questi incredibili attivisti svolgono quotidianamente nelle proprie comunità. La spinta per un cambiamento globale non è una gara e richiede uno sforzo globale.
Di conseguenza, abbiamo cambiato il format per eliminare la parte competitiva e ridisegnare il concept perché diventi un speciale documentario di prima serata (la data di messa in onda sarà poi comunicata). Mostrerà il lavoro senza sosta dei sei attivisti scelti e l’impatto che hanno avuto nel sostenere le cause nelle quali credono così profondamente. Ogni attivista riceverà un premio in denaro contante da devolvere a un’organizzazione da loro scelta, come previsto nel format originale.
Attivisti e leader lavorano duramente ogni giorno in tutto il mondo, il più delle volte lontano dai riflettori, per proteggere le persone, le comunità e il nostro pianeta. Ci auguriamo che mostrare il loro lavoro possa essere di ispirazione a molti altri perché decidano di unirsi alle campagne attive sui grandi problemi del mondo. Non vediamo l’ora di presentare la missione e le vite di queste persone incredibili”.
Non si assisterà più a una gara tra sei attivisti, mal racconto del lavoro che questi sei attivisti svolgono per perorare le cause nelle quali credono profondamente e riceveranno anche un premio in denaro, a prescindere, da devolvere a un’organizzazione a loro scelta. Si capisce dunque che il premio per il vincitore avrebbe previsto anche un premio in denaro.
Insomma, un deciso cambio di rotta in meno di una settimana: se questo è un elemento a favore, fa però specie che sia proprio una piattaforma che promuove l’attivismo globale a cadere nella trappola del conflitto anche per buone cause. Intanto la pagina dedicata sul sito della CBS è stata cancellata. La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni…