Lo strano caso dei programmi che vivono grazie ai social: ti seduco, ti sfrutto, poi ti “disprezzo”
Accade sempre più spesso che i conduttori si ribellino ai social, che però sono linfa delle loro trasmissioni. Redimersi in corso d’opera, con spiccata dose di opportunismo, non è un’opzione perseguibile
Ti seduco, ti coinvolgo, ti sfrutto. Poi ti sminuisco. Accade sempre più spesso in televisione che i conduttori si ribellino ai social. Gli stessi social che però formano l’impalcatura delle loro trasmissioni.
Prendete Stasera c’è Cattelan. Lo show pesca su Twitter, Instagram e Tik Tok come se fosse ad una tombola. Dalla rubrica su Walter Nudo – i cui pensieri vengono confrontati con quelli di una adolescente qualsiasi – fino ai filmati di Tik Tok, prima commentati col supporto della Gialappa’s Band e successivamente in proprio.
“Ieri siamo partiti leggermente in anticipo e su Twitter ci hanno accusato di averlo fatto apposta”, ha esordito mercoledì sera Alessandro Cattelan, riferendosi al taglio imprevisto degli ultimi minuti di Belve. “Amici di Twitter, se pensate che siamo noi a mettere le cassette vuol dire che non siete proprio dei geni”.
Al di là dell’oggettiva incolpevolezza, stupisce l’attacco gratuito verso una massa indefinita, sia per numero che per identità. E se a quella stessa massa indefinita ammicchi addirittura con l’hashtag nel titolo, utile a rilanciare messaggi, creare meme, spunti e altro materiale per riempire le scalette, allora sì che il corto circuito è completo.
Altro programma col ‘cancelletto’ incorporato è Propaganda Live, precursore del concetto della tv alleata dei social. Quando a novembre Elon Musk chiuse gli uffici di Twitter per il weekend, aprendo al rischio di una graduale dismissione, Diego Bianchi non rinunciò alla battuta, il cui senso era facilmente traducibile: “Non sarebbe una cattiva notizia”. D’altronde, Zoro negli ultimi anni non ha mai celato una crescente insofferenza verso un mondo che, tuttavia, tiene letteralmente in piedi tre quarti di spettacolo, con tanto di Fantacitorio che fonda i suoi punti sulle ‘sparate’ pubblicate online.
Ecco dunque che si torna al punto di partenza: ti uso e ti “disprezzo”. Perché il web è brutto, sporco e cattivo, ma se mi aiuta a portare avanti la baracca ci convivo. Non solo, gli strizzo l’occhio, salvo tornare sui miei passi alla prima convenienza.
Alla lista, di diritto, finiscono infine i contenitori sportivi, che sui social propongono sondaggi e chiedono opinioni su un giocatore, su un allenatore, su una decisione arbitrale. Praticamente come gettare pezzi di carne in un mare affollato da squali. Che ovviamente arrivano e azzannano. Immancabile pertanto l’ora della predica, che puzza sempre un po’ di ipocrisia.
Nessuno obbliga a rendere conto al popolo di Twitter, che come qualsiasi campione merita una selezione e una scrematura a monte. Non è rappresentativo della realtà, piuttosto ne esalta la parte radicale, utilissima in un’ottica di furba spettacolarizzazione, sapientemente ricercata.
Redimersi in corso d’opera, con spiccata dose di opportunismo, non è un’opzione perseguibile.