Telefilm Festival 2008 – Sono ancora Happy days? Scrivere un telefilm ai giorni nostri
Un Telefilm Festival 2008 all’insegna delle polemiche, quello che ha debuttato a tutti gli effetti con il pregiato Workshop destinato ad addetti ai lavori e studenti di comunicazione. Nell’occhio del ciclone il caso italiano, drammatica eccezione a un mercato seriale globale in via di espansione (e innovazione). La terza tavolata del giorno ha visto in
Un Telefilm Festival 2008 all’insegna delle polemiche, quello che ha debuttato a tutti gli effetti con il pregiato Workshop destinato ad addetti ai lavori e studenti di comunicazione. Nell’occhio del ciclone il caso italiano, drammatica eccezione a un mercato seriale globale in via di espansione (e innovazione).
La terza tavolata del giorno ha visto in qualità di moderatore un appassionato quanto pungente Aldo Vitali, vicedirettore di Tv Sorrisi e Canzoni. A lui la provocatoria battuta iniziale: Perché i telefilm italiani sono meno belli?. Ancora una volta tira aria di confronto con l’inarrivabile modello americano, causa di ansia da prestazione pur nella consapevolezza di due mercati, il nostro e il loro, totalmente incomparabili.
L’unica volta in cui ci si era illusi di avvicinarsi agli Usa è stato con l’approdo sugli schermi nostrani di Distretto di Polizia e dei Ris, ormai appiattitisi al punto tale scongiurare la banalità. Anche la garanzia Valsecchi pare andata incontro al suo inesorabile declino, visto che un personaggio come Venturi ha finito per diventare paranoico, poco credibile e afflitto da continua ambasce personali. Tutto è nato quando lo stesso Valsecchi, per dare un tocco di italianità al prodotto, ha fatto concludere la prima stagione con un bacio tra Flaherty e Nicole Grimaudo. Ebbene, questo bacio avrebbe fatto sì che il personaggio di Grimaudo morisse per fare scena, che il protagonista si mettesse in lutto per un’intera stagione salvo trovare la degna sostituta in quella successiva. Uno schema molto “italiano”, a cui è riuscito a sottrarsi Simone Corrente in Distretto nonostante l’ostinata volontà del copione di farlo morire.
Tutto questo Daniele Cesarano lo difende a spada tratta, non rinnegando di conseguenza nulla delle sue origini professionali. Il relatore in questione, infatti, è stato sceneggiatore di Ris e Distretto quando ancora “funzionavano” (le prime tre stagioni per il primo, dalla terza alla quinta per il secondo), ma ha già iniziato a riconoscere da allora i punti di forza e i punti deboli di entrambi:
Il prodotto Ris si è involuto dalla seconda stagione, creando una predominanza di giallo con la tematica UnaBomber. Si è creato un ibridismo tra telefilm a casi verticali e racconto orizzontale che sa di già visto, con la ricerca del killer. Eppure, l’invenzionale geniale di Valsecchi resta quella di aver dato un marchio, cambiando i telefilm in Italia. Entrerà nella storia per questo. Negli anni c’è stato in generale un problema di gestione identitaria, basti pensare a Gente di mare 2 che ha fuso il giallo e il verticale ed è andata male. Per questo serie come Ris e Distretto restano belle anche ora che lo sono meno. Sono le serie più simili a ciò che vorremmo vedere di nostro in tv, pur con tutti i compromessi che vengono dall’essere giovani in questo tipo di prodotti.
Si è infine convenuto che la forza di un prodotto come i Ris sia stata quella di aver puntato su tecniche di regia avanguardistiche. sulla coralità dei protagonisti e sulla qualità della forma, più da Italia 1 che da Canale 5. Di conseguenza, a risultarne giustificata è stata anche l’asciuttezza dei dialoghi, a loro volte integrati in un unico impianto minimalista, icastico, allergico alle ridondanze del melo. Di qui, il concetto di ripetitività intrinseca e lo schema di costruzione di ogni episodio ispirato a quello di Csi, che ai tempi dell’exploit di Ris in Italia faceva ascolti di gran lunga inferiori pur essendone il motivo ispiratore. Dopo di allora, l’invasione dei vari Bones e Criminal Minds ha fatto sì che il genere andasse incontro al suo totale esaurimento (causa inflazione).
Altro tipo di scrittura seriale in standby italiana è quella della soap. Da quando persino un brand storico come Vivere si è avviato alla sua morte naturale, è difficile fare progettualità. Il paradosso è che quest’ultima, in va di conclusione su Rete 4, vedrà tutti i suoi intrecci andare incontro a un epilogo. Come dire, la soap che è per eccellenza lasciata aperta vedrà una drastica e completa risoluzione di tutte le sue vicende.
Al suo posto, come promesso, MediaVivere investirà il suo budget per rilanciare la soap in prime time. E’ un po come tornare indietro ai tempi di Passioni, con la serialità orizzontale del daytime, tutta intrighi e sentimenti, di nuovo in prima serata. Le soap, infatti, sono a detta di Daniele Carnacina, Direttore Creativo Media Vivere, l’unico settore nostrano su cui dobbiamo investire anziché sparare a zero, perché è il solo a poter competere degnamente con l’America. La forza del melo italiano si accompagna all’ottima organizzazione dell’industria di genere, basti pensare agli studi del Canavese a Torino che sarebbero più grandi di quelli di Beautiful. Pare che sia i produttori di quest’ultima che di Sentieri abbiano trovato Vivere e Centovetrine decisamente avanti sul profilo della realizzazione, con la prima addirittura paragonata a Er nell’esordio ospedaliero. In più Vivere vanta il titolo di prima serie di nuova generazione ad aver goduto di un battage promozionale senza pari, in quanto a visibilità sui media e nei cartelloni pubblicitari. Ha insistito così Carnacina:
Occorre abbattere i tempi morti con nuove soluzione produttive, produrre di più, in un work in progress. Si produce e contemporaneamente si va in onda, se si va male ci si ferma, se si fa bene si può continuare. Non dobbiamo sentirci inferiori agli americani, ma insistere su ciò che sappiamo fare.
E’ l’intuizione, riuscita solo a metà, di Simone Paragnani, sceneggiatore dei Cesaroni. Quest’ultimo si è detto orgoglioso di aver scritto una serie attuale, con nessun’autocensura e la capacità di far ridere con realismo. Ancora una volta, però, si è avuto bisogno del format di importazione, Los Serranos, che Paragnani ha studiato con molta attenzione insieme all’intero mercato spagnolo. E’ da lì, infatti, che anni fa sono nati i buoni sentimenti alla Medico in Famiglia, ed è dalla crisi di quest’ultimo che si è ripartiti anche in Spagna per divertire gli spettatori con gag spregiudicate e volutamente estreme. In Italia si è dovuto porre un freno per la necessità di far arrivare i Cesaroni a tutti, in particolare a un pubblico familiare tutelato dal codice di autoregolamentazione dei bollini. Essendo nel loro caso verde, si sono edulcorati alcuni eccessi, a costo persino di tornare sui propri passi (pare che Amendola abbia rifiutato nella seconda stagione le scene in cui minacciava con lo scopino i figli, per evitare che il proprio personaggio passasse per violento e diseducativo). E dunque un buonismo con il sorriso sulle labbra ha pervaso anche la famiglia da record d’ascolti della tv.
In una fiction italiana, insomma, restano delle fisiologiche resistenze e dei cavalli di battaglia duri a morire. Un esempio del primo caso – aggiunge Paragnani – è che in Rai non si tromba mai e ciò è innaturale se si descrive un personaggio uomo peraltro attraente. Nel secondo caso c’è la mafia, che nella facile identificazione boss=cattivo non sbaglia mai un colpo, vedi il boom de Il capo de capi.
E poi resta la difficoltà di raccontare personaggi politicamente scorretti, non nel senso di volgari o gratuitamente violenti – insistono gli sceneggiatori dei polizieschi – ma di “difettosi” come ogni essere umano dovrebbe essere. Lo si è tentato, afferma Giorgio Grignaffini, responsabile Fiction Mediaset, con Io ho sposato un calciatore, ma l’assenza di punti di riferimento e l’incondizionata perversione di tutti i personaggi hanno reso questa serie un insuccesso.
Riusciremo a superare il limite buonista delle nostre serie? Riusciremo a vedere un’industria seriale italiana a tutto tondo? Riusciremo a mettere in conto gli errori di valutazione – come l’inadatto Dapporto a Distretto (ammette Paragnani da ex-sceneggiatore) – così come anche le inattese sorprese (la buona resa della Pandolfi a Distretto in un contesto di attori meno ingombranti)?
Lo scopriremo solo “vedendo”, con un auspicio sottolineato da chi lavora nelle soap: che i primi ad avere meno snobismo e pregiudizi siano gli attori. E con una speranza: che si torni a puntare su volti nuovi garantendo un ricambio generazionale. Leonardo Valenti lo sta facendo portando Romanzo Criminale in tv: una serie che mescola contenuti editoriali e cinematografici aggiungendo ingredienti inediti per la fruizione seriale. Insomma, una grande bella scommessa.