Home Serie Tv Tales from the Loop, tra nostalgia, un futuro passato e fantascienza: la nuova serie tv di Prime Video

Tales from the Loop, tra nostalgia, un futuro passato e fantascienza: la nuova serie tv di Prime Video

Su Prime Video è disponibile Tales from the Loop, affascinante serie tv ispirata dall’opere d’arte dello svedese Simon Stålenhag, che hanno generato anche tre libri ed un gioco di ruolo, che ci porta in un mondo dove il futuro è già passato e dove la nostalgia si affianca alla scoperta

pubblicato 14 Aprile 2020 aggiornato 27 Settembre 2021 16:03

Paesaggi campestri, nostalgici, di una provincia americana di una volta; e poi robot, strani oggetti il cui funzionamento è ignoto, fenomeni impossibili secondo le leggi della Fisica che si fanno invece quotidianità. Tra passato, presente e futuro, Tales of the Loop è arrivata sul catalogo di Amazon Prime Video dal 3 aprile 2020: un show che attraverso le otto storie raccontate in altrettanti episodi ci mostra un mondo sospeso in un tempo tutto suo, dove si reinventano le regole ma dove le emozioni diventano portavoce dell’essere umano oltre i tempi e gli spazi.

Simon Stålenhag, l’uomo dietro il “loop”

Il mondo che vediamo in Tales of the Loop arriva in realtà da molto lontano, ovvero dalla Svezia e più in particolare dall’artista Simon Stålenhag: è lui che, nel 2013, ha creato degli artwork pubblicati su alcune riviste che rivelano un modo tutto suo di immaginare il mondo.

Nelle sue opere, infatti, paesaggi che richiamano un passato non ben definito incontrano elementi di un futuro non ancora totalmente immaginabile: robot, edifici dall’architettura insolita rispetto alle “solite” case e fabbriche, macchinari il cui utilizzo resta ignoto abbandonati tra i campi.

Uno scenario che ha permesso a Stålenhag di farsi conoscere nel mondo e che ha generato anche due libri, “Tales from the Loop” e “Things from the Flood”, a cui ne ha fatto poi seguito un terzo, “The Electric State”.

Non solo: il mondo immaginato dall’artista è anche l’ambientazione di un gioco di ruolo, anch’esso chiamato “Tales from the Loop”. L’unione delle immagini create dall’autore e delle infinite possibilità sviluppate da un gioco di ruolo hanno portato a quella che ora è anche una serie tv, da non perdere.

I racconti dal “loop”

Continuiamo a parlare del “loop”: ma cos’è esattamente? Nei suoi libri, Stålenhag ha immaginato che negli anni Cinquanta, in Svezia, fosse stato creato un acceleratore di particelle nelle profondità delle campagne intorno al lago Mälaren. Una struttura che è stata soprannominata, appunto, “loop”.

Un luogo dove lavorano le persone del luogo e dove tutto ciò che fino ad allora era considerato impossibile diventa possibile. Vent’anni dopo, le strutture una volta avveniristiche ma con il passare del tempo diventate parte integrante del paesaggio ed ormai desuete fanno da sfondo ad una serie di avventure con protagonisti i ragazzi del luogo, adolescenti il cui futuro sembra ormai segnato ed indissolubilmente legato al lavoro nel “loop”. Ed è proprio questa la premessa che dà il via alla serie tv.

Otto storie di vita e resistenza

Arriviamo così al Tales from the Loop disponibile su Prime Video. Sviluppato e scritto da Nathaniel Halpern, lo show poggia le sue basi sopra quelle prima create dalle opere di Stålenhag e poi dai libri e dal gioco di ruolo. L’azione si sposta dalla campagna svedese all’Ohio americano, in una cittadina i cui abitanti ormai da tempo convivono con la presenza, nei sotterranei, del “loop”.

Macchinari abbandonati nei boschi, robot che vagano come se fosse la cosa più normale del mondo ed oggetti che emergono dal loop o che sono portati a casa senza autorizzazione da chi vi lavora danno l’input alle otto storie raccontate nella prima stagione.

Storie che sono fortemente legate ad eventi di fantascienza, considerati impossibili dalla scienza: da strani corto circuiti temporali a macchinari che consentono lo scambio di persona, fino alla possibilità di fermare il tempo o scoprire quanto si vivrà.

Quello che si domanda la serie, però, è come l’animo umano potrebbe reagire di fronte all’abbattimento di certe barriere scientifiche: quali sarebbero le reazioni di fronte alla scoperta di uno strumento che potrebbe regalarti la libertà assoluta o al tempo stesso diventare strumento di prigionia, o come potrebbe cambiare la vita di un’intera famiglia di fronte ad una scoperta sorprendente.

Al centro, soprattutto le vite di un gruppo di bambini ed adolescenti, da una parte alle prese con i dubbi sul loro futuro (c’è chi è certo che andrà a lavorare al “loop”, chi vuole fare altro, chi cerca di vivere solo il presente), e dall’altra con l’inevitabile voglia di scoprire l’ignoto, diventando loro stessi esploratori a loro rischio e pericolo, in continuo bilico tra il vivere senza rimpianti ed il resistere.

Là dove l’umanità si fa più sentire

Che il genere fantascientifico, più di altri, riesca a mettere a nudo l’animo umano è cosa nota. Tales from the Loop non fa eccezione: il pretesto delle innovazioni scientifiche rese possibili dal lavoro delle persone nel sottosuolo serve ad indagare le emozioni umane di fronte a temi estremamente semplici come la perdita, la paura, la vita e la morte, ma di fortissimo impatto narrativo.

Si rimane così sospesi, come già avveniva vedendo le opere di Stålenhag, tra un senso di nostalgia ed una voglia di scoperta e di futuro, ben rappresentate dalle famiglie protagoniste dei racconti. Una sospensione che, in fondo, appartiene all’animo umano stesso, combattuto tra uno sguardo al passato ed uno al futuro, e quindi all’ignoto.

Tales of the Loop prende quindi la fantascienza e la incorpora di poesia, grazie ad una cura nelle immagini che da sola vale la visione della serie. Senza proporre scenari apocalittici ma solo raccontando un futuro che per i protagonisti è già passato, si crea un loop, appunto, che genera sensazioni su sensazioni e che variano a seconda dell’episodio. Una raccolta di sentimenti che lavora per sottrazione, senza enfasi o troppi effetti speciali, e che ci rende ancora più partecipi, come se in quelle opere svedesi Stålenhag avesse visto tutti noi.