Studio 5, Mediaset vende la sua storia a un mercante di copertine (di gossip)
La recensione su TvBlog della prima puntata di Studio 5 di Alfonso Signorini
Partiamo da una premessa. Alfonso Signorini è l’ultima persona a cui io, se fossi famoso, racconterei i fatti miei per far uscire il mio lato umano. Stiamo parlando di uno che, in ogni conversazione con un vip, ha come obiettivo quello dell’utile da copertina. E che ogni personaggio si tiene buono pur di non avere rogne, visto quanto conta.
Certo, il suo potere è alquanto in declino negli ultimi anni, se pensiamo alla direzione ceduta del Tv Sorrisi e canzoni, al diradarsi delle sue ospitate e al sogno mancato di dirigere Canale5. Senza togliere che, dopo il suo primo anno senza Verissimo e Grande Fratello, gli hanno dato due contentini per metterlo tranquillo: l’evento natalizio sul ghiaccio e, ora, un revival aziendalista a dir poco cheap, ambientato in uno sgabuzzino triste e senza uno straccio di investimento, giusto per tener compagnia agli anziani d’estate.
Che è poi la missione che il buon samaritano Signorini riveste con orgoglio, visto che lui per primo – telespettatore bulimico – d’estate si ritrova soletto a casa senza nulla da vedere in tv. Ora può vedere se stesso e appagare il suo ego, ma soprattutto constatare di avere ancora un nutrito codazzo di vip pronti a onorarne il credito.
Certo è che, se io fossi a Mediaset, la mia storia non la darei in pasto a un ex prezzemolino mediatico che si è messo in testa di fare tv (senza ancora riuscirci), reduce da due flop in prima serata (La Notte degli Chef e Kalispéra) e oggi annoiato dalla mancanza di veri scoop esclusivi.
Esaurito il cappello introduttivo su Signorini, veniamo alla prima puntata di Studio 5, il programma che celebra la storia Mediaset con un montaggio impillolato ammazza-emozioni e un racconto senza autenticità.
Proprio perché il conduttore è così preso da se stesso e dalla sua euforia sul divismo, è impossibile che riesca a scavare dietro l’emotività piagnona di Gerry Scotti o l’insicurezza di Fiorello. Se Signorini è il primo a continuare ad approcciarsi allo spettacolo con quella ritualità finta e ruffiana, Studio 5 finisce per rovesciare completamente il proposito iniziale, diventando la parodia del programma intimistico. E facendo rimpiangere, a questo punto, le interviste fotografiche de Il senso della vita, le uniche che, grazie al Paolo Bonolis impegnato della seconda serata, abbiano davvero dato profondità ai volti Mediaset.
Qui, invece, è tutto un susseguirsi di celebrazioni della vacuità della Marini e il conduttore fa orecchie da mercante di fronte alle frecciatine di Scotti a Valeria, o alla battuta di Fiorello sulla Canalis. Signorini, insomma, è talmente ingabbiato nei rapporti plastificati che costruisce con lo star system, da essere il principale fattore di non riuscita di questo Studio 5, che meritava un conduttore veramente appassionato senza doppi fini.
Per questo l’amarcord non decolla mai, in quanto né abbastanza nostalgica, né toccante o moderna (anzi, antiquariato puro nonostante si faccia anche storia recente). La registrazione nettamente anticipata, peraltro, vanifica ogni proposito attualizzante per un giornalista sul pezzo, visto che l’abito da sposa della Marini è ormai fuori tempo massimo.
D’altra parte, quando vai a rivedere la storia Mediaset e riscopri un vallettismo inarrestabile, è difficile non trasformare il tributo in sdegno, ad esempio verso certa figura femminile sempre svilita a valletta scema. Non basta, insomma, che Signorini lanci un rvm di Mike per alzare il tiro, se poi è il primo a tacere su certi aneddoti poco nobili.
A Studio 5 non potrà mai esserci trasparenza narrativa, se chi lo conduce ha fatto delle più astute strategie comunicative il suo marchio di fabbrica. Basti pensare al pressing fatto da lui su Marco Bocci per la storia con Emma, con tanto di sua replica fintamente gentile alla reticenza dell’attore:
“Tu non ne vuoi parlare e vai controcorrente, mi piaci anche per questo, perché non sei commerciale. Tanto ci penso io a fare le copertine”.
Per questo è da rimpiangere Kalispéra, ove almeno Alfy autocelebrava il proprio disimpegno e la leggerezza dei tempi d’oro. A Studio5, invece, si atteggia a biografo ufficiale di un’azienda che meriterebbe testimoni ben più disinteressati.
Studio 5: le foto della prima puntata