Squid Game – La Sfida è in bilico tra il déjà-vu e le novità (ma non deve avere un seguito): la recensione
Tra momenti di già visto (e meno appassionati) e il racconto delle storie dei protagonisti, il reality di Squid Game trova il suo punto di forza nei test psicologici, che tradiscono anche i concorrenti più determinati
Fonte: Netflix
Se per la seconda stagione di Squid Game ci toccherà aspettare ancora un po’, Netflix inganna l’attesa dei propri abbonati con Squid Game-La sfida, il tanto chiacchierato reality show ispirato alla serie tv sudcoreana disponibile sulla piattaforma da mercoledì 22 novembre 2023 (con i primi cinque episodi, i restanti saranno rilasciati più avanti). Progetto ambizioso, sia sul fronte produttivo che su quello dell’esperimento sociale, che riuscirà ad acchiappare la curiosità non tanto degli appassionati di reality e competition series, quanto di chi ha apprezzato Squid Game, proprio per l’incredibile somiglianza con la serie. Ma ad aver intrigato noi è stato altro.
La recensione di Squid Game-La sfida
Un gioco tale e quale (con rischio déjà-vu)
Competizione durissima (solamente per il gioco di “Un due tre stella”, che copre la prima puntata, i concorrenti sono dovuti rimanere immobili per ore, in condizioni meteo molto rigide e causando, su ammissione di Netflix, l’intervento di sanitari in alcune occasioni), il reality di Squid Game viaggia su due binari.
Il primo è quello della somiglianza quasi ossessiva alla serie tv: sebbene sia stato girato nel Regno Unito, i vari set ricostruiti sono identici a quelli pensati per la serie tv sudcoreana. Un lavoro impressionante, va detto, a dimostrazione di quanto Netflix abbia deciso di sfruttare il marchio Squid Game in modo intelligente e senza stravolgimenti.
Guardare Squid Game-La sfida diventa, da questo punto di vista, un po’ come guardare un remake della prima stagione, ritrovando i giochi originali svolti da nuovi personaggi. Questo senso di già visto potrebbe però creare un certo effetto noia tra il pubblico, che conosce già le regole dei giochi stessi e i loro eventuali colpi di scena. Ad esempio, sempre “Un due tre stella” perde la carica di tensione che aveva nella serie (in quanto primo gioco mostrato, con il colpo di scena dell’eliminazione fisica dei personaggi), rivelandosi come una semplice operazione di scremature iniziale dei 456 concorrenti in gara.
Il pathos in Squid Game-La sfida è altalenante: se alcuni giochi riescono a tenere alta la tensione tra gli spettatori, altri cadono inevitabilmente in lungaggini che, se utili nella serie per scoprire nuovi lati e intrecci relativi ai protagonisti, in un reality dimostrano molto meno impatto.
I test sono la vera chicca del gioco
Ed è qui che entrano in gioco le novità proposte dalla competition series. Perché “La sfida” proposta non è solo quella di superare tutti i giochi previsti, ma anche di sapersi destreggiare all’interno di un dormitorio in cui sono costrette a convivere centinaia (inizialmente) di persone, di differente estrazioni sociale e provenienza (se ve lo chiedete, c’è anche un italiano, Lorenzo, il numero 161) ma tutte con un obiettivo: portarsi il bottino di 4,56 milioni di dollari a casa.
I vari test psicologici che vengono messi in atto tra un gioco e l’altro diventano così la vera ninfa del reality: se il gioco classico serve a ridurre in maniera massiccia i concorrenti in vista del finale, le prove a cui questi sono sottoposti durante le varie pause mettono davvero alla prova i loro nervi.
Test in cui si chiede loro di dichiarare pubblicamente chi vogliono eliminare, o di ingannare i propri compagni di gioco per di non essere eliminati loro stessi, o ancora di scegliere se restare invisibili nella folla o tentare la strada dei leader. Le vere dinamiche, le vere reazioni scaturiscono in questi momenti, che non a caso diventano anche i cliffhanger ideali per chiudere alcune delle puntate e far venire voglia al pubblico di vedere immediatamente quella successiva.
I concorrenti: quante storie non raccontate…
E poi ci sono loro, i partecipanti: 456 persone, di cui per la gran parte non sapremo nulla. Impossibile ed inutile, infatti, introdurli tutti ad inizio serie. La selezione, in questo caso, è affidata agli autori del format, che hanno compiere la difficile scelta di raccontare gli episodi tramite i punti di vista di un gruppo ristretto di concorrenti.
Probabilmente Squid Game-La sfida avrebbe potuto avere varie versioni, a seconda delle persone di cui si sarebbero mostrati i confessionali. Le loro storie sono di persone comuni, con lavori ordinari: non c’è nessun “caso umano”, ma la volontà di sottolineare la volontà del programma di mettere in gioco davvero chiunque. Unico obiettivo: scardinarne, laddove possibile, le convinzioni di essere i vincitori predestinati a questo gioco.
Un reality difficilmente ripetibile
Perché Squid Game, che sia la versione serie o la versione reality, resta questo: un gioco capace di dividere l’opinione pubblica per il suo cinismo, di appassionare, emozionare e soprattutto fare intrattenimento. Indubbiamente Netflix è riuscito nel suo obiettivo ed ha creato un prodotto interessante sotto vari aspetti.
Un prodotto di cui difficilmente, però, riusciamo ad immaginare un seguito: se la seconda stagione di Squid Game potrà svilupparsi su vari fronti (come il “dietro le quinte” dei giochi o il tentativo del protagonista di smantellare l’organizzazione che li ha organizzati), il reality dovrebbe attenersi alle regole già scritte ed ormai note.
Da una produzione evento, insomma, si passerebbe ad una produzione serializzata, con il rischio di annoiarsi già dal primo episodio del nuovo ciclo. Ma per questo c’è tempo: il prossimo passo sarà scoprire cos’ha in serbo Squid Game 2 e come proverà a mantenere il primato di serie più vista di Netflix.