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Sono Innocente, un cazzotto allo stomaco attutito dall’emotaiment all’italiana: scelta o necessità?

Sono Innocente, Alberto Matano racconta le storie di vittime della malagiustizia. La prima puntata live su Blogo.

pubblicato 7 Gennaio 2017 aggiornato 9 Novembre 2020 15:48

Vedi Sono Innocente e ti ritrovi di fronte a Detenuto in attesa di giudizio (Nanni Loy, 1971) distillato in un classico docureality all’americana, ma con inserti da info-emo-tainment del daytime. Un cazzotto allo stomaco del telespettatore ma attutito da un cuscino che cerca di smussare la crudezza dell’errore giudiziario per non affrontarlo direttamente. Il titolo, infatti, sembra voler mascherare il vero succo del racconto, la malagiustizia. Il nome “Sono Innocente”, invece, aiuta a puntare il riflettore sulle vittime – e magari a distogliere da pressioni extratelevisive e interrogazioni parlamentari – ma il nodo narrativo è tutto nei paradossi investigativi e giudiziari che hanno reso degli innocenti i protagonisti di un’esperienza umana (e disumana) che segna per sempre anche chi li circonda.

Le storie di Diego Olivieri,  costretto a un anno di carcere per una malevola interpretazione del gergo dei pellai, e di Maria Andò, incarcerata per rapina e tentato omicidio in una città che non aveva mai visitato, sono esempi di una dinamica inquirente perversa, più diffusa di quanto si pensi. E il pensiero corre subito a quel numero di telefono appuntato su un’agendina, usato per corroborare le parole di un pentito contro Enzo Tortora, e mai composto per appurare a chi appartenesse.

In questo programma, però, ci sono le esperienze delle vittime, i racconti dei parenti, gli step delle indagini sbagliate, ma mancano i nomi dei PM, degli inquirenti, dei Marescialli protagonisti, insieme alle vittime, di queste storie di malagiustizia. Un’assenza ‘assordante’, che sa di precauzione anti-querela, che rimanda al difficile tema della responsabilità dei magistrati e di chi conduce le indagini. Mancando i nomi, mancano inevitabilmente le loro voci, le loro spiegazioni, magari anche le loro scuse. Scuse che non si materializzano necessariamente neanche in un risarcimento da parte dello Stato in sede processuale.

Il nucleo emotivo del programma, dunque, si raccoglie intorno a quella sensazione di impotenza di fronte all’assurdità di indagini malfatte e di comportamenti intimidatori condotti da coloro che dovrebbero garantirti sicurezza e giustizia. In questo senso la storia di Maria Andò è esemplare: voleva diventare magistrato perché insofferente alle ingiustizie, vedeva nelle Forze dell’Ordine la quintessenza della sicurezza e si è ritrovata quasi a impazzire dopo ‘soli’ 9 giorni in carcere, tanto da pensare di doversi dichiarare colpevole per far finire una storia che non aveva senso.

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L’idea narrativa, quindi, c’è tutta anche se risente di una diluizione da emotainment che non aggiunge nulla alla forza delle storie, anzi le depotenzia con domande tipiche da contenitore del pomeriggio negli inserti ‘testimoniali’ in studio, utili per lo più a inserire Matano nel format. “Cosa ha provato nel primo abbraccio con suo figlio?“, “Com’è l’aria della libertà“, “Come ha segnato la sua vita?” chiede il giornalista ai testimoni (prima) e ai protagonisti (poi) che accoglie in studio. Solo la sua delicatezza e la sua professionalità, insieme alla secchezza delle risposte dei protagonisti – invitati evidentemente a seguire lo stile asciutto della ricostruzione e del racconto, – evitano l’effetto ‘patetico’ che altrove abbonderebbe. Ciò non toglie che trovo Matano, per quanto elegantissimo (forse un tantino rigido senza scrivania), fuori ruolo: sempre che non si tratti di prove generali in vista di un trasferimento nel pomeriggio di Rai 1. Fatto sta che lo avrei preferito a pungolare esperti e legali, magistrati e altri giornalisti per approfondire gli aspetti procedurali delle inchieste e dei processi. Ma il programma ha preferito affrontare l’aspetto ‘emotivo’: del resto se non si vuole affrontare ‘di petto’ il problema della malagiustizia, meglio parlarne nei toni meno ‘attaccabili’ dell’esperienza personale.

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La confezione è quella tipica della docufiction all’americana: gli stilemi son quelli, dalla costruzione del racconto alla cadenza della voce fuori campo, dall’alternanza fiction e testimonianze al taglio delle inquadrature, dalla fotografia al montaggio, tanto da avere a tratti la sensazione di trovarsi di fronte a una puntata di Alta Infedeltà o di essere su Crime+Investigation. Non manca, però, l’addomesticamento, l’italianizzazione, che passa per l’inserimento delle interviste in studio (che infatti spezzano il ritmo) e per il raddoppiamento della durata, classica manomissione da generalista che danneggia l’equilibrio della narrazione. Si tratta, infatti, di due puntate giustapposte, e non incrociate, il che, invece di raddoppia l’intensità delle storie, finisce solo per rendere più difficile trovare la ‘forza’ di ricominciare daccapo dopo aver ‘sofferto’ ed essersi indignati per la prima vicenda.

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Un’idea interessante, con uno svolgimento scolastico, ma con un potenziale esplosivo innescato solo in parte. C’è un freno tirato in questo racconto e si sente. Se si tratta di una scelta consapevole, volta a non scatenare reazioni ‘corporative’ a scapito delle testimonianze preziose di eventi inquietanti drammaticamente reali, non posso che complimentarmi per l’attenzione con cui si è costruito un racconto che sa evidenziare il marcio sia pur avvolgendolo in una cornice ‘emo’. Forse parto da un presupposto errato in questa mia analisi/valutazione. Diciamo che non mi arrendo all’idea che si debba per forza condire storie di tale potenza col tocco emotainment quando non è affatto necessario. Preferisco pensare a una costruzione magari più frenata, ma più scaltra, di fronte a paletti ineluttabili. Nella speranza che in una prossima stagione si possa spingere sul pedale della completa ricostruzione procedurale, con tanto di nomi e di testimonianze degli altri protagonisti, quelli che hanno avuto parte in causa negli errori raccontati.

 

Sono Innocente | 7 gennaio 2017 | Diretta prima puntata

  • 20.20

    In attesa del debutto di Matano in prime time con Sono Innocente.

  • 20.30

    Intanto Alberto Matano è ospite de Le parole della settimana.

  • 20.33

    “I bambini del M5S restituiscono metà delle calze della Befana”: è una delle battute di Lercio fatte leggere da Gramellini a Matano.

  • 21.09

    Tenero Alberto Matano che prova a lanciare il suo programma. Dopo essere apparso in un Festival di Fazio, lo consiglierei a Conti per iniziare a svezzarlo un po’.

  • 21.13

    “Il nostro non sarà un processo al processo, ma vogliamo raccontare storie di uomini e donne che fin dall’inizio hanno urlato solo una cosa: sono innocente”. Colonna sonora Libero di Fabrizio Moro.

  • 21.15

    Si va subito in medias res: Matano lancia la storia dell’impreditore 59enne di Diego Olivieri. Prime immagini di repertorio, quindi testimonianza del protagonista. Stilemi del genere tutti rispettati: siamo alla docufiction sul modello made in USA. Mi sembra quasi Alta Infedeltà.

  • 21.19

    Inizia anche la parte fictional.

  • 21.22

    Uno dei protagonisti di questa storia è il figlio di Olivieri, che si commuove ricordando quei giorni. E’ stato anche grazie alla sua determinazione che il padre ha potuto provare la sua innocenza.

  • 21.23

    Un uomo trattato duramente, ammanettato, portato in carcere prima ancora che si potesse chiarire la sua posizione. E lui si era portato pure il beauty-case…

  • 21.25

    Il racconto si intervalla con la presenza in studio della figlia di Olivieri, all’epoca incinta, che racconta la propria esperienza del fatto. Ecco, questa parte è anche di troppo. La cosa tosta è ripercorrere l’esperienza del protagonista, no? Fa troppo daytime pomeridiano. E dura un minuto.

  • 21.31

    Olivieri racconta le privazioni quotidiane in carcere, dalla mancanza di un posto per riporre i propri abiti all’assenza di un phon. E racconta anche la solidarietà del compagno di cella, con le lezioni di sopravvivenza in carcere. Come quella di non urlare mai la propria innocenza.

  • 21.34

    Matano ripercorre l’indagine della polizia e la strategia difensiva.

  • 21.35

    Lo studio mi ricorda quello della Leosini. Almeno nello spazio e nelle inquadrature.

  • 21.36

    Il trasferimento a Rebibbia è ancora peggio. Si ritrova nel braccio dei mafiosi, convinti che avesse davvero riciclato 600 milioni di euro. Cercano di farselo amico. Ma Rebibbia non era certo il braccio di Vicenza. Le estorsioni e le minacce non si fanno attendere.

  • 21.42

    La disperazione di un uomo umiliato senza motivo è uno dei tratti dominanti del racconto. E l’incontro col PM è l’apice della disperazione: gli dicono di aver trovato la droga, di averlo seguito e intercettato. Come sentirsi in un buco nero…

  • 21.46

    Il gergo dei commercianti di pellami viene scambiato dagli inquirenti come un codice malavitoso, criptico. Il figlio di Olivieri cerca di spiegare loro, per mesi, il gergo. Ma la parola chiave è “pacchetto”: per smontarla ci mettono tempo e impegno. Una parola di uso comune, che per gli inquirenti diventa la prova regina della colpevolezza di Olivieri.

  • 21.51

    Emerge anche la testardaggine dell’accusa di voler trovare a forza il colpevole, Anzi direi che è questo il focus più che l’esperienza atroce del carcere da innocenti. Non l’hanno chiamato malagiustizia per non scatenare l’ira funesta degli inquirenti?

  • 22.01

    Olivieri torna nel carcere di Vicenza e un venerdì 17 arriva un ordine di scarcerazione. E’ passato un anno dal suo arresto. Gli altri carcerati esultano per lui.

  • 22.04

    Al termine del ‘docufilm’ si va in studio per il lieto fine con Olivieri e il figlio. A Matano tocca il compito di chiedere “Ricordate il vostro primo abbraccio?”. Ecco, penso che sia davvero sottoutilizzato Matano. Roba da daytime davvero…

  • 22.09

    Olivieri racconta come dopo l’esperienza vissuta ha iniziato a operare in Tanzania con una onlus. Pensava di intervenire anche con parte del risarcimento dello Stato per detenzione indebita (immagino), ma la richiesta è stata rigettata. (?!)

  • 22.12

    Seconda storia, alias seconda puntata nel format(o) originale. Una basterebbe.

  • 22.13

    Si racconta la storia di Maria Andò, una 22enne di Palermo studentessa di Giurisprudenza, individuata dagli inquirenti come responsabile di una rapina ai danni di un tassista insieme a un amico.

  • 22.14

    Voleva fare il magistrato per far trionfare la giustizia. Appunto. Il 13 febbraio 2008 si ritrova i Carabinieri a casa.

  • 22.15

    Se la portano dicendo che devono farle firmare delle carte. “All’epoca avevo fiducia nelle forze dell’ordine”. In quell’imperfetto c’è tutto il male di queste storie.

  • 22.19

    Maria si è ritrovata in stato d’arresto a 22 anni e senza un perché, senza una verifica, senza uno straccio di prova. Magari per un numero appuntato su un’agendina….

  • 22.20

    Rapina e tentato omicidio a Catania, città che non aveva mai visto. “Il Maresciallo era convinto che fossi io. Parlavano di caso chiuso e indagini già fatte”. L’incubo.

  • 22.27

    Maria trova una compagna di cella che si propone per aiutarla a fare il letto. Ma non sai chi è con te. E non ti fidi

  • 22.28

    “Nella vita di tutti i giorni il rumore delle chiavi non ti dà fastidio. In carcere è tutta un’altra cosa”.

  • 22.28

    Si va in studio col padre di Maria. “Lei cosa ha provato quando ha avuto la notizia dell’arresto di sua figlia? Come avete passato quella prima notte?” gli chiede Matano. Continuo a dire che avrei visto un anchorman del Tg1 a far domande a esperti, legali, PM, non a fare domande da infotainment.

  • 22.41

    Tutto ruota intorno a un numero di telefono appartenente al fidanzato della sorella di Maria, allora 15enne, ovvero Federica, che era intestataria della Sim. Il ragazzo militare a Catania. Era solito chiamare un tassista abusivo per farsi accompagnare in Caserma. Il giorno dell’aggressione quel tassista non era disponibile. Insomma, per gli inquirenti quel numero di telefono era legato all’aggressore, che però non andò mai a prendere il ragazzo. Il tassista raccolse invece un’altra telefonata, quella della coppia che l’aggredì. Gli inquirenti, però, si concentrarono sulla telefonata del ragazzo di Federica, convinti che fosse quella del colpevole. Ma con lui doveva esserci una ragazza 20enne, mentre Federica aveva solo 15 anni. Ma ha una sorella più grande, Maria. Allora, per la proprietà transitiva, doveva essere Maria la complice dell’aggressore. Tutto chiaro, vero?

  • 22.51

    Una consecutio di premesse sbagliate, quindi. Ma bisogna fornire l’alibi di Maria per il 31 agosto. Corrono in aiuto amici e colleghi di studio, per ripercorrere la giornata sotto accusa. Lo ricorda il cugino, protagonista della puntata.

  • 23.03

    In chiusura, Maria Andò è con Matano in studio.

  • 23,04

    “Io tutt’ora ho paura che possa ricapitare. Conservo scontrini, appunto quel che faccio… Mi hanno chiesto di ricordare quel che ho fatto sette mesi prima e non lo ricordavo. Sono esperienze che ti cambiano”: l’angoscia.

  • 23.05

    Dopo il carcere, il padre di Maria ha trasferito tutta la famiglia fuori da Palermo. Tramite il carcere, però, ha conosciuto il futuro marito, un ragazzo che faceva parte della comitiva del comandante del carcere che le era stato sempre vicino. Ora è mamma di due figli.

Sono Innocente | 7 gennaio 2017 | Anticipazioni

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Nuovo programma tra crime e inchiesta per Rai 3: debutta questa sera, sabato 7 gennaio 2017, alle 21.10 Sono Innocente, ciclo di 10 puntate condotte da Alberto Matano incentrate su storie di vita vissuta in carcere da innocenti.

Una sfida non semplice per Rai 3, che occupa il prime time del sabato con vicende difficili e circa 20 storie di altrettante persone che hanno vissuto in carcere senza essere colpevoli. Storie di malagiustizia, quindi, che durano ben oltre il periodo di (sbagliata) detenzione: al dramma della prigionia si aggiunge poi quello del ‘dopo’, tra la necessità di rifarsi una vita e la difficoltà di eliminare lo stigma. Vicende difficili, che nel migliore dei casi passano per il riscatto e la ricostruzione di una nuova vita, in altri casi affogano nella solitudine e nell’ingiustizia.

In studio Alberto Matano ricostruirà le singole vicende e introdurrà filmati, composti da fiction, interviste e materiali di repertorio, che accompagneranno lo sviluppo della narrazione. Il racconto attraverserà tre fasi della vita dei protagonisti chiaramente distinte: il periodo che precede lo sconvolgente episodio dell’arresto, la detenzione e l’iter giudiziario e la scarcerazione per riconosciuta innocenza. Al temine di questo percorso interverrà in studio il protagonista, che racconterà in prima persona l’esperienza vissuta e le gravi conseguenze.

Sono Innocente | 7 gennaio 2017 | Anticipazioni prima puntata

Le prime due storie trattate da Alberto Matano sono quelle di Diego Olivieri e di Maria Andò.
Olivieri, imprenditore veneto, accusato nel 2007 di essere un fiancheggiatore della Mafia e costretto a un anno di carcere, trascorso in mezzo ai boss della criminalità organizzata. Il tutto perché un suo cliente, Felice Italiano, era legato alla famiglia mafiosa dei Rizzuto, che trafficava in droga dal Canada all’Italia. Intercettato dall’FBI, Olivieri si trovò accusato di associazione mafiosa e incarcerato in attesa di giudizio, come racconta anche nel libro “Oggi a me, domani a chi?”.

Maria Andò, invece, era una studentessa in Giurisprudenza quando, una mattina del 2008, fu arrestata per rapina e tentato omicidio ai danni di un tassista catanese. Ma lei non era mai stata a Catania. Nove giorni di carcere per un’accusa inesistente, durata però un anno, fino a quando non furono trovati i veri autori.

Sono Innocente | Come seguirlo in tv e in live streaming

Il programma va in onda il sabato alle 21.10 su Rai 3. Sono Innocente si può vedere in live streaming sul portale RaiPlay, dove è visibile anche on demand dopo la prima tv.

Sono Innocente | Second Screen

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