“Lavoro sui social per la tv, ecco quanto investono Mediaset e Rai. Una buona campagna sposta fino a 2 punti di share” (Esclusiva Blogo)
La testimonianza del social media strategist Luca Menna
Continua l’approfondimento di Blogo sui temi legati alla social tv. Dopo aver raccolto le testimonianze, anonime e non, di influencer, è la volta di ascoltare il punto di vista di chi lavora nel settore digital dei network televisivi italiani. Di seguito vi proponiamo l’intervista a Luca Menna, pubblicitario e social media strategist per Rai e Mediaset. Esperto di social e di media digitali, in passato ha lavorato per Amici di Maria De Filippi mentre più di recente ha seguito i nuovi episodi della fiction Il Commissario Montalbano.
Hai lavorato nel digital di Mediaset e della Rai. Che tipo di investimenti vengono fatti? Di quali cifre si parla?
Gli investimenti di Mediaset sono in genere molto più alti di quelli della Rai. Se la spesa per l’agenzia è abbastanza simile, le cifre a disposizione per le sponsorizzazioni su Facebook/Instagram e Twitter sono invece a volte anche dieci volte maggiori per Mediaset. A seconda della durata di un programma o di una fiction si può arrivare tranquillamente a 60.000 euro e se vi sembrano tanti considerate che sono meno della metà di quelli che si spendono per una affissione convenzionale (e si fa pure quella in contemporanea).
60.000 euro spesi per fare cosa esattamente? Puoi farmi qualche esempio di operazione realizzata?
60.000 sono una cifra indicativa media spesa per un programma TV (uno dei tanti reality ad esempio) per le sponsorizzazioni su Facebook e Twitter per l’intera durata del programma, che può essere anche di diversi mesi. Le cifre per le fiction, che hanno durata minore, sono invece più contenute.
Quali sono le strategie social maggiormente utilizzate dalla Rai e quali da Mediaset?
Mediaset considera Twitter e il Live Tweeting molto importante, nonostante questo poi condizioni relativamente (lo potete verificare tutti, tutti i giorni) lo share e si riferisca ad un target giovane e/o molto giovane. La Rai invece preferisce creare archivi e fidelizzare utenti sul singolo canale quindi preferisce Facebook al momento. Anche secondo me e specie per alcuni programmi e alcune fiction Facebook è più consono ad una fascia di età adulta che in certi casi non twitta proprio.
Quali di queste, secondo la tua esperienza, sono le più efficaci?
Non esiste la strategia perfetta, si tratta di un media-mix; certo sappiamo tutti che in Italia i numeri di Facebook sono di gran lunga superiori a qualsiasi altra piattaforma ma Twitter è il second screen per eccellenza e ha quell’immediatezza da ‘commento fra amici sul divano’ che Facebook non consente ancora.
Inoltre anche il tenore delle conversazioni è diverso; canzonatorio e sentimental-divertente su Twitter più riflessivo e profondo a volte di richiesta di informazioni su Facebook. Se Twitter è l’edicola, Facebook è la libreria.
Rai e Mediaset o altri network televisivi ti risulta che paghino influencer, piccoli, medi o grandi che siano, o trendsetter per twittare i programmi e aumentare così il traffico social?
Nella mia (posso dire lunga, sono stato un pioniere) carriera con i network televisivi italiani non è mai successo che in maniera ufficiale venisse pagato un influencer o un trendsetter. Perlomeno non dall’agenzia. Poi le singole produzioni possono condurre campagne parallele a quelle della rete ma a me questo non è dato saperlo. Anzi, ti dirò di più, da social media strategist, propongo sempre un’analisi degli influencer ma spesso viene ignorata proprio per la complessità della gestione e dei micro-pagamenti che, secondo loro, comporterebbe. E invece… basterebbe invitare qualcuno alle conferenze stampa o in trasmissione. E infine non è detto che un influencer debba essere per forza pagato, ad esempio condividere contenuti in esclusiva è un prezzo molto più alto dei 100 euro per un live tweeting che ho letto in un vostro precedente articolo.
“Basterebbe invitare qualcuno alle conferenze stampa o in trasmissione“. A noi risulta che questa avvenga, dalla social room del Grande Fratello al lounge dell’Isola, passando per le presenze di twitstar nel backstage di Amici…
Alcuni reality, specie i format internazionali, quando vengono acquistati dalle reti contengono anche il pacchetto social. Questo vuol dire che chi cura i canali social è più indipendente dalla rete e ha già un’esperienza internazionale che comporta un grosso vantaggio in termini di sperimentazione, metodo e investimenti mirati. Di fatto viene solo ‘localizzato’, tradotto ed adattato quello che è già stato fatto in altri Paesi.
Diverso è il caso delle trasmissioni nostrane. Quando ho aperto i canali Instagram e Twitter di Amici di Maria de Filippi e curato la fanpage su Facebook questa tendenza ancora non era in voga, si puntava principalmente all’acquisizione dei fan che non conoscevano le nuove piattaforme presiediate, obiettivo poi pienamente raggiunto.
Come viene valutato il vostro lavoro social? Quali sono i criteri con i quali giudicare se un programma ha funzionato sul web e sui social? Ci sono numeri minimi da raggiungere? Quale ritorno economico frutta un programma ‘social’?
Il nostro lavoro è sotto gli occhi di tutti: la produzione che ha prodotto il programma o la fiction, il network e infine il canale che la trasmette. È difficile barare in questo mondo. Ci si danno degli obiettivi di massima, ma il vero dato significativo per tutti è lo share. Una buona campagna social integrata ad oggi sposta 1,5 o anche 2 punti di share, quattro anni fa ti avrei risposto non oltre l’1. In termini economici è tantissimo. Inoltre quel punto e mezzo può decretare la chiusura di un programma più piccolo o di uno concorrente. In questo senso sono molto spietati ma come si dice: business is business e io li aiuto.
Cosa si intende per “buona campagna social integrata“?
Una buona campagna social integrata è quella che prevede una interazione ed una integrazione e condivisione di obiettivi da parte dello staff della rete che si occupa della promozione convenzionale. Faccio un esempio che sembra banale: avere l’hashtag del programma su tutti i promo che vanno in onda prima del lancio del programma, su tutte le affissioni se ci sono, avere dei banner pop-up con l’hashtag durante la messa in onda aiuta molto. E questa è solo una delle soluzioni più semplici. In Rai cerchiamo sempre di coinvolgere parte del cast artistico e anche tecnico durante i live tweeting e li coinvolgiamo personalmente anche per la produzione di contenuti multimediali esclusivi per le fanpage ormai da tempo. Questo quando la produzione è disponibile e la cosa fattibile. Diverso è il caso per le fiction d’importazione.
Quali devono essere i numeri social? Come la si riconosce una “buona campagna social integrata”?
Una buona campagna social lascia il segno e quella che in gergo si chiama una long tail: una lunga scia di commenti che dura anche molto dopo la fine del programma o della fiction. Il successo per me è inventare un modo di dire, entrare nel linguaggio comune, con frasi o atteggiamenti presi dalla fiction, diventare virali o per usare una vecchia parola creare un tormentone, ecco questo credo sia il sogno e l’optimum di ogni pubblicitario che fa il mio mestiere.
Per rispondere alla questione dei numeri, cosa intendiamo per numeri? Ad esempio per me conta la portata non il numero dei fan. Ho gestito una pagina con meno di 100.000 fan ma con oltre 1 milione di persone di portata, dato stabile per 20 giorni, ma questo (incredibile) dato è visibile sono a me e alla rete. Un grande successo.
E se la campagna social è buona ma lo share non aumenta, cosa succede?
Viceversa se la campagna social è buona o ottima ma lo share non decolla i motivi possono essere diversi. Uno dei principali è un errore di valutazione della contro-programmazione che è fondamentale (se tu lavori per il programma più seguito al mondo ma c’è la partita dell’Italia c’è poco da fare). Altri motivi possono essere legati al tempo (metereologico) e alle stagioni. Possono anche essere a fatti di natura politica o di cronaca.
In seconda analisi bisogna capire poi in base a quale parametro ci si aspetta questo aumento: a quello della stagione precedente? A quello del programma concorrente? Insomma è un lavoro complesso individuare le cause principali ma oggi come oggi per fortuna le reti sono velocissime a spostare giorni e orari a favore di una maggiore visibilità, anzi capita molto spesso.
Secondo la tua esperienza, gli sponsor ritengono più importante il dato di ascolto di un prodotto televisivo o il suo successo social?
Dipende dallo sponsor; i brand sanno benissimo dove si trovano i loro target e cosa guardano in tv. Dipende da cosa vendi e a chi. I prodotti generalisti e di prima necessità, come pure i big spender considerano prevalentemente lo share. Con i social si aprono scenari nuovi e per i brand più piccoli o non ancora conosciuti la scalata al successo può diventare molto veloce e meno ripida. Si tratta però di adattare bene linguaggio e segni a questi media e non sto parlando di ‘native advertising’ ma di un metalinguaggio nuovo.
Che tipo di investimenti/operazioni vengono fatti sui social da parte di una produzione televisiva in accordo con gli sponsor?
Partiamo dal fatto che le produzioni a volte non investono proprio nulla. È il network che paga. Loro possono aiutare, suggerire, fornire materiali e in rari casi decidere di investire a loro volta ma il network ha l’ultima parola. Sempre. Ed è proprio qui la questione: se la produzione XYZ ha un accordo col brand A ma al network questo può non interessare perché ha già un altro accordo col brand B e C. A volte invece si creano delle sinergie fra produzione, network e i vari brand che sponsorizzano e potete immaginare che sono tavoli difficili ma… non impossibili.