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Quarto Grado, Simone Toscano a Blogo: “Da inviato a conduttore? Mi piacerebbe”

Per la rubrica “Tv e l’altra cronaca/politica”, Tvblog intervista Simone Toscano, inviato di Quarto Grado.

pubblicato 22 Giugno 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 23:45

Per la rubrica estiva di Tvblog Tv e l’altra cronaca/politica – che ci farà compagnia ancora per alcune settimane il mercoledì – intervistiamo oggi Simone Toscano, giornalista, scrittore e da oltre cinque anni inviato di Quarto Grado, il programma di cronaca giudiziaria in onda ogni venerdì sera su Rete 4. Lo abbiamo visto negli ultimi anni girare l’Italia per raccontarci i casi di cronaca più controversi e più noti, da quello dell’omicidio del piccolo Lorys Stival al mistero della morte di Elena Ceste, dal delitto di Avetrana al caso Parolisi, ma lo abbiamo seguito anche in casi meno conosciuti, dove con il suo lavoro puntuale, preciso e attento è riuscito a smuovere mari e monti, permettendo la riapertura di casi che sembravano archiviati. La sua avventura nel mondo del giornalismo, però, inizia molto prima a Mediaset, come inviato dei Tg delle reti, ma anche come conduttore del Tgcom24. Una passione, quella per il giornalismo, che Simone ha saputo trasformare nel lavoro della vita, sempre voluto e sempre sognato. Ed è un lavoro che sa fare davvero bene, tanto da essere ormai uno dei volti più amati e seguiti dagli appassionati della cronaca in tv. Per questo auspichiamo che per lui, prossimamente, sia in arrivo una promozione alla conduzione, per cui avrebbe tutte le carte in regola: è giovane, ma ha molta esperienza sul campo, buca lo schermo, ha un nutrito seguito di telespettatori. Quando gli chiediamo se sarebbe disponibile a questa svolta, Toscano non ha dubbi: “Mi piacerebbe. Dopo tanti anni sul campo, credo di essere pronto al grande salto”. E noi la pensiamo come lui.

Come hai iniziato a muovere i primi passi in questo lavoro, in particolare quello di inviato?

Per quanto riguarda Mediaset, cioè l’azienda per cui lavoro da undici anni, devo dire che la cosa è nata da sé: sono entrato come stagista a 23 anni e credo sia normale che i più giovani vengano spediti “in strada” a farsi le ossa. E infatti così è stato, per fortuna, sin dai primi due anni al Tg5 che negli altri, per i programmi e per gli altri telegiornali. Diciamo che il battesimo di fuoco per me, cioè la prima esperienza davvero importante, è stato il terremoto che ha colpito l’Abruzzo nel 2009. Poi l’anno successivo è arrivato Quarto Grado, con il delitto di Avetrana, il caso Parolisi e molti altri misteri che abbiamo cercato di raccontare, spero e credo con il giusto tatto.

Cosa aggiungeresti o toglieresti a un programma di cronaca se fossi autore?

A molti programmi toglierei il pietismo e le facilonerie dette da pseudo esperti che non hanno mai letto una carta, un documento, ma che si permettono di sparare giudizi a volte errati (che contribuiscono purtroppo ugualmente a formare l’opinione pubblica), magari anche andando contro il lavoro di chi, sul campo, lavora giorni per avere una notizia e passa notti insonni per studiare le carte processuali. Per questo forse la cosa che apprezzo di più in Quarto Grado è la presenza degli “esperti”, professionisti che cercando di spiegare anche i concetti più complicati in parole semplici. Non facciamo un “volo d’uccello” sulle notizie, ma le approfondiamo e proviamo a divulgarle. Con una battuta potrei dire che siamo una specie di Quark del mistero, insomma, con tanti Piero Angela.

Quali sono per te le tre regole da seguire per essere un buon inviato?
Lo studio delle carte e lo spirito di osservazione, il rispetto dei protagonisti della vicenda che trattiamo (e dei telespettatori), la curiosità.

C’è un limite che non deve essere superato?

Per quanto mi riguarda credo che l’inviato di cronaca debba cercare di “raccontare la notizia” e non di “farsi notizia”. Non puoi immaginare il “potere” che ha una trasmissione o anche un singolo inviato: se io malauguratamente dovessi decidere che per me “tizio” è l’assassino, perché ne sono convinto pur senza prove “perché me lo sento”, devo stare attento a non scatenare una campagna mediatica contro quella persona, perché con un condizionale in meno o una parolina di troppo rischio di rovinargli la vita. Provate a mettere dei dubbi su qualcuno dicendo anche semplicemente “possibile che tizio sappia di più di quello che dice su quel caso di pedofilia? Dove era il giorno x?” e poi mettetevi nei panni di un innocente. Ecco, dobbiamo farci prendere da mille dubbi anche noi e ricordare che un microfono a volte può fare male più di un colpo di pistola.

Quanto è importante la sintonia con il conduttore della trasmissione?

Direi che è importantissima. Io per fortuna non ho mai avuto problemi, il mio lavoro è sempre stato rispettato e d’altronde se parliamo di Gianluigi Nuzzi ad esempio, non si può negare che sia uno preparato sul tema “giudiziario”. Se posso permettermi direi poi che una sintonia fondamentale è quella con la “testa” del programma, con autori e curatore: io credo che la vera forza di un prodotto sia da ricercare lì, in chi quel prodotto lo immagina e costruisce. Se tutti noi inviati non avessimo un rapporto stretto con la nostra curatrice, Siria Magri, ad esempio, vi assicuro che Quarto Grado non avrebbe lo stesso successo.

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Quanto margine di autonomia ha un inviato?

Dipende da trasmissione a trasmissione. In Quarto Grado moltissima, perché per fortuna c’è fiducia negli inviati. Siamo una squadra stretta e che lavora assieme da anni, una delle cose più belle è quando Siria Magri, che firma il programma, ti chiama e ti chiede se hai proposte, concorda con te come trattare un argomento, perché sa che tu hai il polso della situazione sul campo e conosci gli umori, gli odori, della storia di cui ti stai occupando. Mi spiego: non c’è una scelta calata dall’alto ma c’è una guida, che è una cosa molto diversa, nel rispetto reciproco dei ruoli.

Come ci si regola se un inviato dissente rispetto a una scelta editoriale? Com’è gestito il dissenso?

Sinceramente non ho mai subito una scelta editoriale di cui non fossi contento. Mai pressioni dall’alto per fare qualcosa che non volevo fare o “un lavoro sporco”. Questo perché, come dicevamo prima, da noi a Quarto Grado vengono prese in considerazione le opinioni di tutti. Poi giustamente qualcuno deve decidere, ma non è mai una “decisione contro”. Solo una volta in tutti questi anni mi è capitato di dissentire con la mia curatrice sulla linea di una storia: ci siamo scannati, una telefonata che ricordo ancora adesso, ma siamo sempre rimasti nel rispetto reciproco, anche se – onestamente – l’ho eccessivamente tartassata di dubbi. È finita che io non ho firmato il pezzo che però, dopo lunga trattativa, è venuto equilibratissimo e ha soddisfatto entrambi. Ma non è che questa mia “scelta” abbia creato problemi o conseguenze, ripicche. Anzi, poi ci abbiamo scherzato su. E da un minuto dopo, amici come prima. Ecco perché sono felice di essere qui.

Questo tipo di lavoro porta spesso a stare lontani da casa: quanto è difficile conciliare carriera e vita privata?

Questo è un tasto molto dolente. È difficilissimo, perché essere fuori casa per quindici/venti giorni al mese metterebbe alla prova chiunque e l’affetto più caro. Devo dire che a volte in passato ho avuto problemi perché alcune ragazze non digerivano molto bene questo mio andirivieni. Proprio una trasferta di lavoro però mi ha fatto un bel dono, facendomi conoscere la mia attuale ragazza, quindi il destino per fortuna se vuole ti trova anche se lontano da casa. Per il resto, direi che è un lavoro che mi piace talmente tanto da poter difficilmente immaginare di rinunciarci.

Che consiglio daresti a un giovane che vuole intraprendere questo lavoro?

Di seguire la propria passione. Per me quello del giornalista non è un lavoro ma un mestiere, ed è il più bello del mondo, quindi se dentro di te hai questo fuoco, se quando apri un giornale ti emozioni, se sei affamato di notizie, allora non smettere di crederci e segui l’istinto. Sarà difficile perché c’è tantissima concorrenza, ma tutti possono farcela, senza adagiarsi sul classico piagnisteo all’italiana “solo se sei raccomandato ce la fai”. Ricordate che ad un direttore interessa una cosa: la notizia. Se ti presenti con una notizia bomba in mano, poco importa se sei figlio di un ministro o del ciabattino: quella notizia se la prenderanno eccome. E alla decima notizia che porti vedrai che qualcosa ti verrà riconosciuto. Basta piangersi addosso, asciugati le lacrime e vai in strada a cercare la notizia e a trovarla prima degli altri. Senza mai barare né inventarla.

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Come si gestisce al meglio un problema tecnico del collegamento?

Imprecando? (ride, ndr) A parte gli scherzi, i problemi tecnici devono giustamente essere risolti dai colleghi che si occupano di quell’aspetto. Noi dobbiamo metterci del nostro seguendo il tutto e provando a sopperire al volo a qualunque mancanza. Proprio ultimamente mi sono caricato la troupe in macchina dopo che si erano scaricate le batterie della telecamera e abbiamo salvato un collegamento sfruttando la presa elettrica esterna del mio albergo, che avevo preso a pochi metri da lì “non si sa mai”. Ma se salta il mixer audio o se c’è una tempesta, c’è poco da fare.

L’inviato deve mantenersi equidistante o può lasciar trapelare il proprio punto di vista?

Come dicevo prima, assolutamente equidistante. Credete che io non abbia un mio giudizio sul caso Parolisi ad esempio? Eccome, ma mai è trapelato a telecamera accesa. Idem per i colleghi che seguono il caso Bossetti. Noi siamo giornalisti, dobbiamo raccontare i fatti per quelli che sono, senza sposare pubblicamente una tesi.

C’è un caso di cronaca che ti ha particolarmente coinvolto, per esperienze personali o lavorative?

Come racconto sempre, il caso di Valentina Salamone, ragazza trovata impiccata vicino Catania, per cui si era parlato di suicidio. I genitori mi hanno contattato, mi hanno spiegato che per loro era omicidio ma che nessuno ci aveva creduto. A Quarto Grado ce ne siamo occupati talmente tanto e con le nostre inchieste abbiamo scoperchiato situazioni talmente vergognose che per fortuna la Procura ha riaperto il caso e in conferenza stampa ci ha anche ringraziato per il lavoro fatto. Per me una grande soddisfazione professionale e umana, perché alla famiglia Salamone sono legatissimo. Un cammino che con loro non è ancora terminato ma che sono sicuro finirà con una sentenza di condanna per il responsabile della morte di Valentina.

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Come sono solitamente i rapporti con gli inquirenti, soprattutto quando si portano avanti piste alternative?

Dipende dal magistrato ovviamente, essere umano come noi. E quindi nella varia umanità c’è di tutto. Tendenzialmente diciamo però che i rapporti sono buoni, la nostra trasmissione viene apprezzata e rispettata, quindi spesso c’è un atteggiamento di stima e si comprende che siamo i primi noi a voler in qualche modo “contribuire alle indagini”. A volte il giornalista può arrivare a scoprire cose che qualcuno in divisa non può scoprire, fosse solo per il “timore” che in qualcuno può suscitare.

Come si “vive” sul campo la concorrenza, ad esempio tra inviati Rai-Mediaset?

Benissimo direi. Con la maggior parte dei colleghi ci conosciamo da anni e ci incrociamo in giro per l’Italia. Con alcuni, anzi direi alcune perché la stragrande maggioranza è donna, sono nate belle amicizie. Proprio recentemente mi è capitato di incrociare ad esempio Raffaella Griggi della Rai in una stazione vicino Pisa: lei era in partenza, con la valigia e io appena arrivato. Ci siamo fatti scattare una bella foto dal capostazione, sugli scalini del treno e ci siamo salutati con un abbraccio. A volte quando sei fuori per giorni, lontano da casa, anche un collega può essere una faccia conosciuta, amica, un prolungamento della tua solita cerchia di amici. Ovvio poi che ognuno porta avanti il proprio lavoro nel rispetto reciproco e magari senza parlarne quando si è a tavola tutti assieme.

Nella cronaca giudiziaria a volte è facile uscire dal seminato, mancare di rispetto alle persone coinvolte nelle vicende. Come si riesce a mantenere il timone, a non perdere la rotta?

Lì credo proprio sia un problema di educazione. Credo che si debba sempre pensare “ma se la facessero a me questa domanda, come mi sentirei?”. Insomma, meglio evitare “signora, come si sente?” a chi ha appena perso un figlio. Detto questo, purtroppo tanti giudicano il nostro lavoro senza magari aver mai visto un minuto del programma in cui un giornalista lavora. Io non ci sto a prendermi dello sciacallo e non ci starò mai, perché so che non è questo il modo in cui ho lavorato finora. Poi per carità, lo scivolone può sempre capitare, siamo esseri umani e prima o poi una domanda fatta male potrebbe capitare, un errore. Speriamo di no.

Quanto è difficile stare quotidianamente a contatto con la sofferenza di queste storie e di queste persone?

Difficilissimo. Fa male raccontare alcune storie, perché quando torni a casa non puoi scrollartele di dosso come la polvere, ma ti rimangono dentro, prima di addormentarti ce le hai davanti gli occhi. Credo però che ci sia bisogno di qualcuno che le racconta, queste storie, soprattutto quando sono i parenti a chiederti un aiuto. L’importante è non dire “ora sfrutto la loro sofferenza”. Noi, ripeto, dobbiamo solo raccontare i fatti, ricordando che una domanda di troppo, un giudizio in più, possono a volte scatenare dolore e sofferenza in chi ha già sofferto tanto.

Per chiudere e salutarci, dopo tanti anni sul campo come inviato non ti piacerebbe passare dall’altra parte, magari con una conduzione e un programma tuo? E di che genere?

Magari, sarebbe una opportunità bellissima e spero che prima o poi mi verrà data la possibilità di mettere a frutto quanto mi è stato insegnato in questi anni e quanto ho provato ad imparare sul campo, un po’ come quando una grande squadra prende un giocatore dal vivaio. Per due anni e mezzo ho già condotto il Tgcom24, sarebbe bellissimo tornare alla conduzione, avere un programma. Di che genere? Beh, io credo che un giornalista debba provare ad essere preparato su tutto, dalla cronaca alla politica, dagli esteri all’economia. Ho sempre cercato di non tralasciare nulla e nessuna “pagina del giornale”, anche se chiaramente negli ultimi anni mi sono specializzato nella cronaca. Ecco, non mi dispiacerebbe rimanere nell’ambito del “marchio Quarto Grado”, una squadra che in questi anni ha prodotto tanti programmi, ma credo comunque che – se ce ne fosse la possibilità – il nostro metodo di lavoro potrebbe essere applicato anche ad altre trasmissioni, altri format, anche di argomento molto differente. Speriamo, dai, sarebbe un altro bel sogno che si realizza.

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