Si può vivere di solo Teche?
L’archivio della Rai dà vita al Techetecheté, il consueto access prime time amarcord di RaiUno.
Di tanto in tanto, abbastanza spesso, si torna l’importante tema dei documenti riproposti in onda dalle televisioni.
La Rai in questo campo ha raggiunto una maturità che viene lodata da tutti, per la qualità delle immagini (e anche delle parole) ma anche per le forme in cui i documenti preziosi vengono riproposti.
I programmi che usano i documenti sono numerosi e hanno titoli conosciuti. In questi giorni va in onda la lunga serie di “Techetechetè”, il titolo che ha il ritmo dei passi di un flamenco e uno svolgimento che incontra il favore del pubblico.
Ne sono felice perché nel gruppo dei realizzatori lavorano persone con cui abbiamo prodotto anni fa per RaiEdu esperimenti utili, in cui sono maturate queste e altre proposte.
Oltre ai colpi dei tacchi del flamenco, i documenti – messi a disposizione dalla ben organizzata direzione RaiTeche – vengono utilizzati in mille modi dalle trasmissioni e canali di storia, dai contenitori del mattino e del pomeriggio, dai programmi fantasma delle notti angosciosamente vuote e insonni, dai telegiornali e dagli speciali dei tg, dagli spot e così via.
Una spremitura che non attende il mese delle vendemmie. Un uso che in certi casi è anche un abuso. Uva dispersa.
Se non ci fossero le Teche, i deficit complessivi di produzione aumenterebbero, in costi e qualità. Le Teche salvano. Ma chi ci salva da coloro che scrivono o predicano di salvarle? E salvano soprattutto gli amici spremitori senza senso e talento?
Si può continuare così?
E’ curioso che molti si sentano in grado di spararle grosse, soprattutto tra le smunte file dei commentatori . I quali assistono a un’esagerazione di ripescaggi senza capire che la televisione oggi, anzi le televisioni, sono malate di format spenti anche se ballano il ballo di san vito nei montaggi, nelle immagini cariche di effetti inutili, nell’assenza di idee.
Confesso che sono preoccupato. Penso che si vada incontro a rischio senza ritorno, e cioè che i documenti diventino per lo sgraziato impiego senza fantasia e idee un superformat confuso, obbligato e obbligatorio, generando un gigantismo che si trasforma in un contenuto, o meglio in un accozzagli di contenuti.
Quali? Ad esempio, questi: il compiacimento nel passato remoto e prossimo che invade il futuro modellandolo ; il “chicchismo”, ovvero la scelta degli autori, a spese degli spettatori, di recuperare “chicche” spacciate come tali a vantaggio di proposte e zombi tv, che meritano la dimenticanza e una prece; il “comeravamo” bello e intelligente che loda le bocciature sacrosante che nella storia tv non sono poche; il “gallerismo” museale, simile a quello dei barbogi di case regnanti o casate impiccati alle pareti di memorie obbligatorie; eccetera…
Una proposta c’è: immettere il soffio creativo dei documenti. Come si fa? Sono sicuro che si possa fare. Basta volerlo fare. Ma un esercito di restauratori del barocco d’epoca fa sentire la sua voce, anzi voci provenienti dalle spelonche del gusto e della accademia medio mediocre più che massmediale.
I documenti meritano di essere “ripresi” come materia di nuovi racconti e di nuovi film tv. E non come campane a morto dal bel suono. Amen.
Italo Moscati