Sherlock, l’ottima rivisitazione inglese di Holmes (un po’ House) su Italia 1
Su Italia 1 Sherlock, rivisitazione moderna e ben fatta del personaggio di Doyle
Al 221B di Baker Street di Londra c’è gran fermento in questi giorni. Complice il successo al cinema di “Sherlock Holmes-gioco di ombre”, Italia 1 propone da stasera alle 21:10 al suo pubblico “Sherlock”, la serie tv trasmessa l’anno scorso dalla Bbc One e creata da Steven Moffat e Mark Gatiss. Un omaggio, anche questo, al celebre personaggio creato da Sir Arthur Conan Doyle, ma aggiornato in chiave moderna.
Il protagonista (interpretato da Benedict Cumberbatch, visto in “Amazing Grace”), infatti, si muove all’interno di una Londra attualissima, alle prese, con telefoni cellulari, gps e microonde. Questo non limita le capacità del personaggio di stupire il pubblico, anzi: il genio di Holmes viene messo in risalto in ognuno dei tre episodi di questa serie (ciascuno della durata di 90 minuti: si tratta, insomma, di tre veri e propri film) senza mai annoiare o risultare prevedibile
Ci troviamo di fronte ad un vero gioiellino seriale, che è riuscito a conquistare il pubblico inglese (con una media di 8,3 milioni di telespettatori) grazie alla riproposizione fedele ma allo stesso tempo innovativa di Holmes e dei suoi amici e nemici. Come Watson (Martin Freeman), soldato reduce dall’Afghanistan (proprio come lo era nei libri di Doyle) introdotto nella vita di Holmes grazie ad un amico in comune, e con cui presto si ritroverà a condividere un appartamento (e non solo).
Sherlock
Watson diventa subito, infatti, assistente involontario delle indagini di Sherlock, ritrovandosi a seguire i suoi ragionamenti spesso contorti ma sempre geniali, capaci di giungere a conclusioni precise e mai sbagliate, sia che si tratti di un caso da risolvere che della vita privata di qualcuno (bellissima la scena del primo incontro tra Holmes e Watson, “radiografato” dal protagonista).
Andando contro la routine di Scotland Yard, e dell’ispettore Lestarde (Rupert Graves), Holmes si dimostra più bravo di un’intera squadra di detective nell’arriva alla soluzione dei casi, seguendo i minimi dettagli che la scena del crimine può offrire. Sono delle vere e proprie lezioni, quelle che Holmes tiene a Watson, ma anche delle occasioni per sè stesso per rimarcare la propria superiorità rispetto ai colleghi.
In questo, l’Holmes degli anni Duemila somiglia molto a Dr. House (ma, in fondo, questo ultimo non è forse ispirato per ammissione del suo creatore proprio al detective inglese?): cinico, arrogante, isolato in un mondo tutto suo, convinto di avere sempre ragione e disposto a tutto per ottenerla, si fa amare per la sua genialità irriverente proprio come il medico più cattivo della tv. E, se House viene umanizzato da una gamba claudicante, Holmes diventa meno immortale grazie -o per colpa di- al professor Moriarty (Andrew Scott). Due menti geniali, che si confronteranno in una sfida al cardiopalma per una delle serie rivelazioni inglese.
“Sherlock”, proprio come “Luther”, dimostra ancora una volta la capacità degli inglesi di non far rimpiangere la scrittura americana, la maggior parte delle volte industriale e dedita ad incassare numeri. Con “Sherlock”, che ha comunque catturato un buon numero di telespettatori (tanto da ottenere una seconda stagione), a vincere è non tanto la sfida dell’audience quanto quella di far apprezzare oggi un personaggio nato nell’Ottocento.