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Ozark, recensione della serie tv Netflix con Jason Bateman e Laura Linney

Ozark in arrivo su Netflix il prossimo 21 luglio è una serie difficile, complessa, fredda nelle luci e nelle emozioni. La recensione in anteprima dei primi 5 episodi

pubblicato 21 Luglio 2017 aggiornato 1 Settembre 2020 07:59

Un lavoro nella finanza, una vita tranquilla, moglie, figli e una casa nei classici sobborghi di Chicago. Un sogno che si trasforma in un incubo dissolvendo quanto finora costruito e travolgendo l’esistenza di una tipica famiglia della classe media americana.

Abbiamo visto in anteprima i primi 5 episodi di Ozark, la nuova serie tv di Netflix in arrivo il prossimo 21 luglio con Jason Bateman e Laura Linney, che ci trascina nell’incubo della famiglia Byrde che precipita rapidamente dagli agi di Chicago al piccolo centro turistico di Ozark, dall’America moderna all’anima profonda e tradizionale degli USA, che vive di quel poco di turismo che il lago su cui sorge porta in dote.

Marty Byrde (Jason Bateman anche regista dei primi due episodi) è un esperto di finanza che insieme al socio e amico Bruce gestisce diversi e importanti investimenti tra cui anche riciclare il denaro sporco del secondo cartello di droga messicano gestito dal tipico gangster messicano, Del (Esai Morales). Tutto cambia quando i messicani, che di certo non scherzano con i loro soldi, si accorgono che gli esperti investitori hanno sottratto circa 8 milioni di dollari. L’abile parlantina, la sicurezza e la sua apparente estraneità ai fatti salvano Marty che riesce a convincere i messicani a salvargli la vita proponendo di investire questi 8 milioni di dollari, nel piccolo centro di Ozark. Ma Marty non sa che in realtà Ozark è una tipica cittadina dell’entroterra americano dove investire è praticamente impossibile, travolta dalla crisi, composta da piccoli e semplici investitori estranei a ogni forma di rischio. Per far girare 8 milioni di dollari provando anche ad aumentarli, Marty dovrà dar fondo a tutta la sua inventiva e alla sua abilità. Si ritroverà circondato da piccoli criminali, inseguito da un agente FBI ossessionato dal caso (Jason Butler Harner), alla ricerca di una casa e di opportunità di investimento che possano salvare se stesso e la sua famiglia.

Bloodline passa così il testimone di serie “matura” di Netflix a Ozark, una produzione complicata che si poggia su personaggi con cui è difficile entrare in sintonia. I primi 5 episodi di Ozark sono un crescendo di situazioni che si aggiungono al soggetto iniziale ma che sono impossibili da riportare senza rovinare la visione della serie tv. Tra sesso orale esplicito e in bella vista, corpi che precipitano sull’asfalto, spogliarelliste con seni al vento, cadaveri e loschi affari Ozark non risparmia nulla allo spettatore. 

Sono troppi gli echi di diverse serie tv per definire Ozark un’interessante novità, si ritrovano elementi che arrivano da Billions con richiami agli ambienti della finanza, passando per Power e il riciclaggio di denaro e fino ad arrivare al già citato Bloodline; non mancano aspetti tipici delle produzioni degli ultimi anni come il signore della droga messicano o la famiglia disastrata di criminali, emarginati più per necessità che per scelta. Lo sceneggiatore Bill Dubuque riesce con il passare delle puntate a trovare una propria strada autonoma e indipendente, sviluppando le vicende attraverso cerchi concentrici e come un sasso gettato nel lago, le vicende della famiglia Byrde finiscono per coinvolgere altri personaggi e condurre ad altre storie. Non tutto è introdotto nel primo episodio che è un semplice prologo e solo con l’arrivo ad Ozark sul finire di puntata, la storia inizia ad ingranare.

E’ proprio la costruzione delle vicende spesso insolite ed inaspettate dei diversi personaggi l’aspetto in cui si nasconde la forza di Ozark. Marty non è l’eroe buono in difficoltà ma un uomo disperato pronto a tutto e che non si fa scrupoli nello sfruttare qualsiasi situazione a proprio vantaggio, sia che si tratti di ingannare un pastore che di investire in una locanda locale. Sua moglie Wendy (Laura Linney) è l’esatto opposto della classica casalinga della middle class americana, pretende la verità del marito e l’affronta a testa alta proponendo soluzioni più che creando ulteriori problemi. Se Charlotte è la fin troppo tipica adolescente, Jonah è il figlio più difficile da inquadrare, un animo perso cresciuto nel mito del padre. Ozark è una serie fredda nelle luci, nella regia, ma anche nelle emozioni dei vari personaggi, spinti dalla necessità della vita a ostentare una felicità e una serenità sconosciute.

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Ozark si poggia così su schemi e situazioni già viste ma prova a forzarli, a prendere strade diverse, ad aggirare il senso di già visto attraverso personaggi originali e le cui decisioni difficilmente rischiano di risultare banali. Allo stesso modo la scelta di costruire le puntate con delle scene che torneranno nel corso della puntata, o quella di inserire nella O di Ozark ogni volta dei simboli diversi anticipatori del tema di puntata, seppur non innovativa, impreziosisce e caratterizza ulteriormente il racconto.

Ozark chiede allo spettatore di dedicargli 10 ore (magari non consecutive) concedendogli la dovuta attenzione, senza distrazioni e possibilmente avendo la pazienza di aspettarne lo sviluppo. E’ una serie tv che necessita impegno, per provare a raschiare l’umanità nel complesso senso di disumanità che pervade le azioni di ogni personaggio, per cogliere le sfumature di uno sguardo o le implicazioni di un’azione che arriva totalmente inaspettata.

La non linearità della realtà raccontata in Ozark la rende una serie difficile da giudicare, da definire, da raccontare, da inquadrare e proprio per questo rischia di finire facilmente tra le serie iniziate e mai finite del profilo personale su Netflix.

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