Per un attimo – forse qualcosa meno – la presenza del Presidente Mattarella è sembrata essere la garanzia che Sanremo 2023 sarebbe stato pervaso da sobrietà istituzionale. Ed invece quello appena terminato è stato il Festival più politicamente attenzionato degli ultimi anni, con tanto di richieste di dimissioni per i dirigenti Rai, rei di non aver impedito a Fedez di strappare la foto di un viceministro attualmente in carica.
Come la vita, anche Sanremo tiene dentro tutto e il contrario di tutto: dunque, il direttore Coletta ha stra-ragione quando ricorda l’impossibilità da parte di qualsiasi dirigente tv che operi in una democrazia di controllare preventivamente le parole che un artista pronuncerà durante la diretta televisiva (la domanda rassegnata “secondo lei, io posso controllare 24 ore Anna Oxa?” è di micidiale bellezza) Ma non si può fingere che non esista un rischio per il punto al quale potrebbe condurre la strada intrapresa dalla Rai, che continua ad ospitare un personaggio col quale poi puntualmente si ritrova a scambiarsi carte bollate (Concertone Primo Maggio) o a doversi dissociare pubblicamente (il motivo è semplice: Fedez è, ad oggi e da qualche tempo, il personaggio in assoluto più forte mediaticamente in Italia – come lo era Belen una decina di anni fa -, e quindi rinunciarvi, che sia ospite o cantante in gara poco cambia, non è così conveniente).
La Rai fa bene ad esultare per gli ottimi ascolti registrati dalla kermesse, ma sbaglia i toni, quando si lancia in audaci e poco sensati confronti con i dati del 1995, 1997 o addirittura 1987. Nella settimana del Festival vale tutto sul palco e intorno al palco, ma piazzare il messaggio di Zelensky oltre le due di notte è oggettivamente imbarazzante. La durata monstre delle serate è una scelta ben precisa del direttore artistico Amadeus – ormai con esperienza e mestiere tali da spingerlo verso la perfezione, nelle risposte ai giornalisti in conferenza stampa e in scena – e per questo può essere criticata: la continenza è un valore.
Sanremo 2023 è un successo di massa, ma anche uno spettacolo televisivo di medio livello: pochi momenti di eccellenza (il pezzo di Roberto Benigni sulla Costituzione, gli intermezzi dissacranti di Fiorello – la sua migliore partecipazione sanremese di sempre – gli interventi di Gianni Morandi sempre incredibilmente e naturalmente in linea col sentimento nazional popolare), molti momenti flat, con una scrittura generalmente debole e poche vere idee (basti pensare al gioco legato a Instagram, arrivato al Festival con qualcosa tipo 5 anni di ritardo). Con il peso dei monologhi sempre meno d’appeal, una regia in affanno e scelte musicali mai davvero sorprendenti.
La televisione generalista è ripetizione, ma il fatto che Sanremo, con un giro di talent che ormai si ripete ogni anno, somigli sempre di più ad un normale programma di prime time in versione extra large non sappiamo quanto sia una buona notizia per il suo futuro. Sicuramente lo è per il presente e questo, a quanto pare, è più che sufficiente per questa Rai. E forse pure per questa tv.