Sanremo 2022, meno è meglio: vince la musica, ma le stonature non mancano (e gli ascolti non giustificano tutto)
Sanremo 2022 è stato un Festival più asciutto per durata e scaletta. Ma c’è stato qualche errore di sceneggiatura, al netto dei super ascolti.
“Ma che ce fregaaa, ma che ce ‘mportaaaa, s’è fatto er botto dai bei Novantaaa!” canteranno nei corridoi Rai dopo Sanremo 2022 fino alla fine di gennaio 2023. Per cui siamo consapevoli di scrivere per il puro piacere di analizzare eventi tv, e per coscienza. Tanto più che per linea editoriale, dalla sua nascita, TvBlog non ha mai recensito programmi a seconda degli ascolti: i testi sono una cosa, gli ascolti un’altra. È una cosa che dicono sempre tutti, lo sappiamo, vertici tv in testa, ma poi l’unico dato che viene considerato dalla maggior parte (anche degli addetti ai lavori) è proprio l’Auditel, vertici tv in testa. “Piace al pubblico, ergo è fatto bene“: no, non è sempre così semplice. La storia insegna, non solo quella tv.
E allora eccoci alla fine di questo Amadeus Ter, cui dovrà seguire un Ama Quater vista la risposta di critica e pubblico, e proviamo a fare un bilancio, al di là del 58.4% di share medio sull’edizione che lo rende un Festival difficilmente paragonabile agli altri. Se l’anno scorso chiesero di non usare Sanremo 2021 come parametro vista la condizione eccezionale (e gli ascolti bassi), questa volta chiederanno di non usare Sanremo 2022 come punto di riferimento per commisurare gli ascolti del 2023. Del resto come si ricorda sempre in conferenza stampa, confrontare anni diversi ed epoche distanti è metodologicamente sbagliato…
Sanremo 2022, un festival di successo
Di certo questo Sanremo è stato un Festival riuscito grazie alla musica, unico sostegno allo show televisivo. Anche per questo, arrivati alla Finale con 26 canzoni già sentite tre volte, la noia si è fatta sentire. Ma questo della musica protagonista è stato sicuramente un elemento a favore rispetto ai precedenti due Festival, ‘piegati’ all’imprevedibilità di Fiorello.
La gara dei superospiti
Presentato come il Festival della Gioia dopo il passo falso dello scorso anno in cui si invocava una Ripartenza troppo frettolosa, Sanremo 2022 lo è stato per molti versi. Per lo spettacolo, che ha ritrovato il pubblico all’Ariston; per la discografia, che credo abbia fatto carte false pur di tornare in Riviera dopo l’exploit internazionale dei Måneskin; per gli artisti, che con una direzione artistica lontana dai formalismi delle gare à la Baudo – pure troppo -, sembra aver vissuto appieno la gioia di ritrovarsi (e lo racconta bene il DietroFestival). Quella del Festival 2022 è stata sicuramente una gara fuori scala, con un parterre di artisti che fino a un paio di anni fa sarebbe stato esclusivamente da conduzione o da evento: Gianni Morandi, Massimo Ranieri, Elisa, Achille Lauro… tutti fuori scala. Il che ha contribuito a rendere il clima paradossalmente più rilassato. Forse. Resta uno dei podii più belli della storia recente del Festival, che raccoglie tutta la gamma di generazioni volute dal direttore artistico e tre diversi colori di musica pop italiana.
Amadeus finalmente libero
Senza la spada di Damocle delle incursioni dell’amico Fiorello, Amadeus ha finalmente conquistato il palco, liberando la sua voglia di divertirsi e di godere il Festival che avrebbe voluto già fare lo scorso anno. I tempi tv ce li ha eccome, la capacità di fare da spalla anche, per quanto soprattutto con gli amici e molto meno con le partner a rotazione. A proposito di amici, riescono a essere il punto di forza e di debolezza dei Sanremo di Amadeus: il Festival dell’Amicizia può creare anche una bella atmosfera, ma se troppo insistita può dare anche l’impressione di una festa cui non tutti sono chiamati a partecipare allo stesso modo. E ancora a proposito di amici, la comparsata di Fiorello quest’anno è stata presentata come un suo ennesimo regalo, un contributo essenziale per partire col piede giusto. È sembrata anche l’occasione per prendersi l’applauso e il bagno di folla mancato lo scorso anno. Ma questa è un’altra storia.
Serate lunghe, ma tutta (o quasi) gara
Prima di arrivare alle vere note dolenti di questo e dei precedenti Sanremo di Amadeus, va citato un altro elemento intonato, ovvero una scaletta molto più asciutta. A differenza di quanto successo gli altri anni – anche grazie all’assenza di Fiorello e a una massiccia riduzione di ospiti un tanto al chilo, ridotta a un superospite e allo sponsor, con una capatina promo fictional di pochissimi minuti – la scaletta ha visto una rapida successione delle canzoni in gara, con la sola eccezione della seconda serata, nella quale la presenza di Pausini e Zalone ha lasciato la gara ai margini. Un’asciuttezza che ha avuto una manifestazione concreta nelle due serate più brevi della gestione Amadeus (con un mercoledì chiuso alle 00.47 che resta nel cuore). Per quanto lunghe, anche la Terza e la quarta serata, con tutte e 25 le canzoni in gara, hanno visto una sequenza serrata, con un paio di blocchi per gli ospiti. Poi ci sono 25 canzoni con 2 minuti ciascuno di lancio e discese vallette varie: volendo si può asciugare ancora, ma questo vorrebbe dire non avere un conduttore (se non una figura di raccordo tra i blocchi, come in ESC), ma a Sanremo – diciamoci la verità – non si può fare. O almeno non nell’immediato.
Sanremo 2022, le stonature ci sono e si sentono tutte
Questi ultimi Festival hanno un tratto in comune: c’è sempre una nota stonata, che guasta la minestra, che finisce col rivelare che se non fosse per la musica (decisamente vincente) in questi Sanremo non ci sarebbe molto altro. Un gran bene per certi versi, ovvio, ma lo show tv non è pervenuto. E visto che quando provano a farlo il risultato è discutibile, verrebbe da dire che è meglio così.
Parto da una considerazione. Questo Ama Ter è stato migliore dei precedenti: due serate finite prima, una terza monstre ma di fatto costruita di sole canzoni e di sola musica in generale, una quarta di cover ben strutturata, almeno fino alla doppia discesa di Jovanotti, con una Finale, come detto, noiosetta ma conclusasi miracolosamente ‘solo’ all’1.47 (contro le 2.39 di Sanremo 2021). Persino la regia si è resa conto che una inquadratura può durare più di 1,5 secondi e che le canzoni raccontano un fatto, prima di ricadere nell’emozione vorticosa delle cover e in una finale che però ha mostrato un certo tentativo di bilanciamento tra stacchismo e prosa. Elementi a vantaggio che mi hanno portato anche a considerare che in un programma di fatto già ridotto all’osso (sì, pare incredibile ma sì) si possa tagliare ancora, o quantomeno valorizzare: inutile (e dannosa) la discesa dell’attrice/attore di turno per una promozione, senza valori aggiunti, di 5 minuti con il lancio dell’artista, controproducente il momento ‘Valore femminile’ espresso con monologhi un tanto a chilo che finiscono a legittimare stereotipi più che stimolare la riflessione. Quel che quindi mi ha colpito favorevolmente è stato il fatto che si sia – giustamente – tolta roba rispetto al passato: tolto Fiorello (e il Festival ha cambiato faccia, in meglio), tolti i tanti ospiti – musicali e non – per sera (uno basta), tolti gli stacchi insistiti in regia e ridotto l’uso delle camere ai fondamentali (non mi è parso di vedere la famosa camera a ‘doppio obiettivo’), dato un senso allo sponsor con Orietta Berti e i suoi abiti il Festival è apparso più centrato, meno slabbrato, come ha notato il direttore di Rai 1. E in fondo tra le note positive c’è proprio la riduzione della scrittura autorale (cui il disegno di Amadeus sembra essersi ispirato).
Meno c’è, meglio è. Ogni cosa scritta o aggiunta è sembrata una zavorra, il che per un programma tv è tutto dire. Il valore aggiunto arriva dall’esterno quando si sceglie di chiamare professionistə in contesto e non nomi per la propria collezione di “Storie di donne – Le mille facce dello stereotipo“. Drusilla docet, così come il monologo di Giannetta e Lastrico, prodotto altrove, e il ‘non monologo’ di Sabrina Ferilli.
Basta con le ‘figurine’ femminili
“Ma perché la presenza mia deve essere associata a un problema? Perché devo dare un senso oltre quello che sono per giustificare perché sono qua?”
La sintesi dei tre anni di storie al femminile dei Sanremo targati Amadeus & Co sono in questa ‘non battuta’ nel ‘non monologo’ di Sabrina Ferilli. Tre edizioni in cui non c’è mai stata una co-conduttrice ma si è voluta fare una raccolta di volti femminili per il momento dedicato al ‘tema sociale’ con monologhi o momenti fotocopia, attinti sì dalle esperienze personali ma declinati sempre nei toni gravi della lacrima a punta di ciglia, a prescindere. Di fatto in questi tre anni non c’è mai stata una vera co-conduzione alla pari. Quando è arrivata sul palco una persona di spettacolo, che faccia show, la differenza si è vista. Penso a Drusilla e penso anche alla dinamica faticosa con la Ferilli nella Finale.
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Come evidenziato anche da una collega in conferenza stampa, questo valzer di ‘vallette parlanti e dolenti’ è il contrario della valorizzazione femminile. Una critica respinta dal direttore di Rai 1 che ha invece evidenziato la perfezione (praticamente) della scrittura autorale: “I contrappunti al femminile sono stati potenti“. Contrappunti, appunto. Non conduzione. Vedremo se cambierà qualcosa il prossimo anno. Amadeus ha detto in conferenza stampa di aver ascoltato le critiche e, per questo, di aver ridotto scalette e durate. Dopo due anni, ma sempre meglio tardi che mai. Magari arriveremo a una conduzione paritaria, sul modello di ESC. Prima o poi.
C’è sempre una parola ‘soverchia’
Dicevamo che uno dei difetti dei Sanremo di Amadeus&co – e anche di Sanremo 2022 – è che quando tutto sembra filare liscio arriva la ‘parolina soverchia’. È successo nel ‘privato delle conferenze stampa’ (ma che ormai e con gran gioia sono online grazie a RaiPlay), ma anche sul palco (e nel camper regia, ma ne abbiamo già parlato troppo). L’errore più ‘marchiano’ è stata la doppia discesa di Jovanotti nella serata delle Cover. A chi ha chiesto spiegazioni in conferenza – vuoi per le eventuali violazioni di regolamento, vuoi per l’aver trattato uno solo dei vari ospiti come superospite creando possibili vantaggi – è stato risposto che con ascolti come quelli registrati e con un evento da Teche cercare difetti era un atteggiamento “maniacale”, improntato alla mera ricerca del pelo nell’uovo.
Che l’evento fosse da Teche e che Morandi avrebbe vinto la serata Cover con Jovanotti sul palco a prescindere da tutto è indubbio: quel duetto è stato bello per l’energia e l’eccezionalità da ‘superospiti’ della coppia in sé, lo abbiamo anche sostenuto a caldo. A maggior ragione il secondo momento con Lorenzo Cherubini ha stonato. Proporre Jovanotti prima come ospite di Morandi (momento altissimo per gara, show, Teche, musica etc etc) e poco dopo (fossero pure due ore dopo) come superospite di Amadeus è, in fondo, un errore di sceneggiatura. Si mescolano ruoli e piani di racconto. Vedere uno stesso personaggio in due ruoli diversi disturba anche in una soap opera, narrazioni orizzontali nate per non morire mai, e anche a distanza di decenni, figurarsi in una stessa serata. E poi la soap attiva un livello di sospensione dell’incredulità che mi stranirei fosse richiesto per Sanremo, a meno che non la si consideri una fiction in cui tutto può accadere, anche che un personaggio morto tre volte torni per tre volte in scena, persino dopo un espianto di cuore. Vuol dire che allora vale tutto.
“C’era, è un amico fraterno da 35 anni, non potevo farlo andar via dopo…Era una foto che volevo nel mio album dei ricordi” dice Amadeus l’indomani in conferenza stampa: è comprensibilissimo a livello personale ed è bellissimo da portare in scena, ma uno spettacolo, un racconto, una gara ha delle sue regole, a meno che non sia uno show proprio e non il Festival della Canzone Italiana. L’out of the box è magnifico, dà brio, ma anch’esso ha dei limiti se sei a Sanremo. Del resto sarebbe stato da Teche Rai anche un momento aggiuntivo con Vinicio Capossela, considerato che non è proprio un habitué del Festival, sempre ammesso che la logica sia è quella dell’opportunità e dell’evento. Insomma, il troppo non aiuta. Anche quando i milioni diventano 13 e lo share raggiunge il 60%. Non per tutti gli ascolti sono tutto. E non tutto si può giustificare (o mistificare) con l’Auditel.
Ma tanto si canta nei corridoi, almeno fino a gennaio prossimo…
Una cosa non si discute: le maestranze Rai
Prima di tutto una citazione a RaiPlay: si parla tanto della fliudità delle piattaforme pay, ma RaiPlay non ha perso un colpo in questa settimana di super lavoro. Clip montate e caricate subito, streaming fluido, copertura finalmente internazionale. Del resto che senso ha voler potenziare il web se poi non si lavora – immagino non sia affatto semplice – a un pacchetto diritti che garantisca il live streaming senza geolocalizzazione. In ogni caso RaiPlay è stata una vera potenza, prima durante e dopo il Festival. Peccato che i diritti impediscano l’on demand a lungo termine.
Veniamo però a loro, che sono al di sopra di tutto. Parlo delle maestranze Rai, quelle interne, quelle che portano con orgoglio la maglia aziendale, dagli inservienti ai redattori, dai tecnici agli orchestrali, dai cameramen agli assistenti: senza di loro non esisterebbe nulla di questa macchina infernale e incredibile che è Sanremo. L’anno scorso sono stati dei veri eroi, quest’anno non lo sono stati di meno. Li abbiamo visti all’opera nel DietroFestival di Sanremo 2022. Intanto li salutiamo e li ringraziamo con una immagine di Pippo Balistreri, direttore di palco del Festival dal 1981. Ad majora.