Fiorello, nella prima serata del Festival di Sanremo 2021, ha puntato tutto sull’ingresso shock (ironicamente shock, ovviamente).
Rispetto al tranquillo “Don Matteo” dell’anno scorso, lo showman siciliano, per esorcizzare fin da subito il clima spettrale del Teatro Ariston privo di pubblico, ha puntato sul finto-shock visivo, come scritto in precedenza, con un’esibizione metal (ma con Grazie dei Fior di Nilla Pizzi!), indossando un mantello di 21 chili di fiori, in una performance degna di Achille Lauro (“Sono passato dal suo camerino, questo è il suo accappatoio!”).
Nei minuti successivi, Fiorello, presumibilmente per mascherare quell’insofferenza dettata da un contesto a lui, ovviamente, non congeniale (ma questo già si sapeva e il suo “Voi giornalisti, aiutateci!”, esclamato nella conferenza di febbraio, suona ancora più emblematico, dopo stasera), ha esorcizzato il COVID-19, sminuendo volontariamente la potenza visiva dell’Ariston deserto (che è storia televisiva), volteggiando leggiadramente tra le file di poltrone vuote (e costringendo anche Amadeus a farlo) e cercando di sfornare il primo tormentone di quest’edizione, avente come oggetto le poltroncine vuote (“Su i braccioli! Giù i braccioli!”) nella speranza che, da domani, inizino a circolare i primi meme sui social.
Apprezzabili, ovviamente, i tentativi di rendere meno greve una situazione oggettivamente pesante per chi è chiamato a fare spettacolo per quasi 5 ore (con battute come “Scusate, scusate, c’è una poltrona che si sta sentendo male! C’è qualche artigiano della qualità?”, “Ti ricordi ancora i 300 figuranti, erano già pagati! Stanno ancora in giro eh!”, “Basta con ‘sti applausi, hanno già sfranto!” o con la gag del carrello dei fiori spinto con la pancia per non toccarlo con le mani) ma ridimensionare le difficoltà, in realtà, ha sortito l’effetto opposto, sottolineando, al contrario, il peso di quegli ostacoli.
Anche il monologo sulla denominazione ufficiale delle dita dei piedi (deboluccio come argomento), un monologo “freddo”, nel senso che è buono per ogni occasione, di quelli che si tengono nel cassetto quando l’evento in sé offre pochi spunti (e i pochi spunti, in un’edizione come questa, erano prevedibili perché il COVID non può e non deve essere l’argomento cardine, non si può esorcizzare ad oltranza…) sarebbe stata una scelta perdonabile in una terza o quarta serata di un Festival scialbo nel suo complesso. In una prima serata, un monologo così lascia inevitabilmente perplessi.
Va meglio, ovviamente, quando Fiorello va a braccio, con la gag dello smartphone, quando balla la Lambada con Amadeus o nel duetto con Matilda De Angelis ma è un Fiorello al 60%.
Ovviamente, vanno considerate tutte le scusanti. Fingere che questo sia un Sanremo come tutti gli altri significherebbe essere in malafede.
In una situazione di normalità, sarebbe stato un Fiorello deludente (considerate le potenzialità e la sua complementarità pazzesca con Amadeus). In questo Sanremo “pandemico”, lo showman ha il merito di essersi messo alla prova, non tirandosi indietro.
Ma non è il vero Fiorello e, forse, ne è cosciente anche lui.