Sanremo 2020, la damnatio memoriae di Mahmood e l’intramontabile retorica tv dell’era meglio prima
A Domenica In si celebra il primo processo a Sanremo 2020, fra cliché e inesattezze
Chi fermerà la musica? si domandavano i Pooh agli inizi degli anni ’80, col timore nel cuore che qualcuno potesse tagliare improvvisamente i fili degli amplificatori. Un pericolo scampato, oggi che la musica rappresenta il pretesto migliore per ottenere uno spettacolo di successo, non solo in radio o negli stadi. E quale evento sa esprimere la potenza immaginifica e comunicativa delle sette note, se non il televisivo Festival di Sanremo?
Fra crisi e rinascite, scandali e rivelazioni, il palco dell’Ariston regala ogni anno una moltitudine di discussioni e polemiche televisive, molto spesso incentrate proprio sulle canzoni in gara, croce e delizia degli opinionisti e dei giornalisti di settore. Anche la settantesima edizione del concorso, che sarà condotta da Amadeus dal 4 all’8 febbraio prossimo, non rimarrà avulsa dalle tradizionali critiche, già accesissime a settimane dalla messa in onda.
Uno dei primi terreni di scontro è quello di Domenica In, dove si celebra il consueto processo al Festival, con esperti e protagonisti pronti a dire la propria sull’edizione ventura e sullo stato di salute della kermesse; oggi, domenica 11 gennaio 2020, è andato in scena il primo: Marino Bartoletti, Mietta, Roby Facchinetti, Roberto D’Agostino, Dario Salvatori e Marco Molendini, coordinati da Mara Venier, hanno analizzato il cast dei concorrenti rivelati ufficialmente lunedì scorso, in occasione dello Speciale di Rai 1 della Lotteria Italia. A stuzzicare gli appetiti critici, tuttavia, non sono ancora la presenza controversa di Elettra Lamborghini o il ritorno della categoria Nuove Proposte, ma la vittoria del giovane Mahmood, risalente ormai a undici mesi fa e consolidata da un successo internazionale. Roberto D’Agostino non pare averla ancora digerita del tutto, affezionato alla propria infanzia e ai trionfi fané di Domenico Modugno, vincitore nel 1958 con quel Nel blu dipinto di blu che è di certo emblema di italianità nel mondo:
Delle canzoni che hanno vinto nel passato, chi ci ricordiamo? Chi ha vinto l’anno scorso? Non lo sa nessuno. Soldi? Ma che è una grande canzone? La possiamo mettere insieme a Volare? Ma che melodia c’ha? Una volta la canzone di Sanremo che vinceva la canticchiavamo, oggi vincono e il giorno dopo…
Più sottile, ma sempre sul filo dei cliché intramontabili da Festival (cugini di “la televisione generalista è morta” e “tanto è tutto truccato”), il nostalgico cantante dei suddetti Pooh, che rispolvera a suo modo la polemica sulle preferenze di stampa e pubblico dello scorso anno:
Vorrei che, come anni fa, tutti cantassero la stessa canzone. Come una volta. […] Soldi è una bellissima canzone, ma non è molto rappresentativa…
Al coro si unisce anche il parere dell’immarcescibile Marco Molendini, che considera “evanescente” il ricordo delle canzoni che hanno caratterizzato le ultime edizioni del celebre concorso musicale, rimaste più nella memoria collettiva di chi si occupa di spettacolo, che della gente comune. Sanremo, d’altronde, “non può essere il futuro, ma deve registrare ciò che succede”, a sua detta.
Eppure cambiano le direzioni artistiche, i cantanti in gara e le canzoni, ma ogni anno Sanremo riesce nel miracolo di allestire un sistema di doppi specchi, in grado da sé di percepire e di costruire tendenze. Di sembrare meno vecchio di quanto lo si voglia descrivere. Assorbe dalle classifiche, rilancia carriere, mescola tradizionale e contemporaneo in un grande calderone pop, che può fungere da trampolino di lancio per le nuove leve. Quanto più rappresentativo di queste dinamiche è proprio Mahmood, entrato cardinale ed uscito Papa: figlio tradito dei talent, vincitore de facto della scorsa edizione dell’Eurovision Song Contest, bandiera della musica italiana nel mondo nel 2019. Traguardi notevoli, fonte d’orgoglio per la manifestazione, che non riescono ad entrare nel racconto televisivo della sua carriera, breve ma colma di soddisfazioni. Ad eccezion fatta per Marino Bartoletti, che nello spazio di Domenica In dedicato al Festival ha sottolineato a più riprese le gesta dell’artista di Gioventù Bruciata, nessuno degli esperti musicali presenti in studio ha osato contraddire il giudizio colorito di D’Agostino, quasi da giustificare per il suo ruolo naturale da disturbatore; anzi, taciti accordi o commenti d’approvazione.
Non è sufficiente vincere il Best Italian Act agli MTV European Music Awards, avere due brani nella classifica annuale dei più ascoltati su Spotify, raggiungere per primo in Italia 100 milioni di stream su Spotify grazie a Soldi, con cui ha collezionato quattro dischi di platino in Italia e due dischi in Spagna. Così, mentre Sanremo non smette di essere nel fiore della sua rilevanza internazionale (con Mahmood interpretato perfino nella versione spagnola di Tale e Quale Show, e vince anche lì!), chi lo racconta in televisione rimane spesso incastrato nella retorica dell’era meglio prima, col walkman tra le mani e senza quegli “scaricamenti” digitali che svilirebbero la qualità dell’arte. Chi fermerà la musica? A voi, l’ardua risposta.