Sanremo 2014: Paganini non ripete, una lezione da tenere a mente
Festival che impallidisce di fronte al confronto con se stesso.
Era il 1825 al Teatro del Falcone (secondo il Corriere) o il 1818 al Teatro Carignano di Torino (secondo Wikipedia). Cambiano i luoghi e le date ma non l’aneddoto, né i protagonisti. Niccolò Paganini, celebre violinista, si esibì in concerto al cospetto del re Carlo Felice, il quale gradì particolarmente un brano. Il re fece chiedere al musicista una replica. Paganini, che improvvisava gran parte dell’esecuzione delle proprie partiture, gli mandò a dire: «Paganini non ripete» (o «non replica», a seconda della tradizione). La pagò cara, Paganini: venne espulso per due anni dai territori del re.
Fabio Fazio, Luciana Littizzetto e la loro squadra, invece, hanno deciso di replicare un Festival che l’anno scorso era andato bene. E che, per dire, a me era piaciuto. Hanno deciso di provare a fare qualcosa di diverso. Per la precisione, un festival della bellezza e della contemporaneità.
La contemporaneità l’ha garantita, però, non già il Festival, né la musica, ma un fuori programma: quel comizio propagandistico di Grillo fuori dall’Ariston, poi disinnescato, all’interno del teatro, dalla minaccia di suicidio degli operai del consorzio unico di bacino di Napoli e Campania. Un momento talmente assurdo – è davvero possibile che la sicurezza se li sia lasciati sfuggire così? – da sembrar scritto, di questi tempi in cui non si crede più a nulla.
La bellezza doveva essere oggetto, a quanto s’apprende, di un monologo di Fazio, che però è saltato causa contestatori: lui, professionale fino allo sfinimento nel gestir la situazione (bisogna dargliene atto), ne ha infilati pezzi qua e là. Si era partiti con la grande opera della messa in sicurezza del territorio – come non essere d’accordo? – ma poi il sermone simil-Saviano è sembrato davvero un po’ rabberciato. E forse è andata meglio così.
Svanito l'”effetto-novità” dello scorso anno su Rai1 nella liturgia sanremese, il duo Fazio-Littizzetto, così come la serata, è un fiorir di deja-vu. L’apparizione di Laetitia Casta si consuma nel varietà d’altri tempi. E va anche bene così, per carità: c’è la scusa dei sessant’anni della Rai da festeggiare. Però non è che si siano visti frammenti d’alta tv da spellarsi le mani. Anzi. Era tutto piuttosto noioso e insipidi.
La musica è quello che è (contemporanea? Non direi proprio. L’emblema della serata è Frankie Hi-Nrg, uno che ha scritto Quelli che benpensano e album come La morte dei miracoli e Ero un autarchico e poi si presenta sul palco dell’Ariston con due pezzi a dir poco insignificanti. E tu non è che vuoi criticarlo, perché Quelli che benpensano ti era piaciuto, ma adesso, insomma): come al solito le canzoni richiedono un secondo ascolto ma non c’è davvero nulla di folgorante da spellarsi le mani. Né di contemporaneo. A parte Cat Stevens, senza età e dunque sempre straordinario da ascoltare. Raffaella Carrà, in gran parte supportata dal playback (quando poi canta live si capisce perché) fa la parte della leonessa del prime time, ma le viene affidato il qualunquista appello pro-marò che francamente ci si poteva tranquillamente evitare.
Il progetto che si vedeva nella scorsa edizione quest’anno latita e si perde fra omaggi a defunti, giri di conoscenze e amici (vedi Gramellini, per dire) una prima serata tirata via a campare sulla scorta del successo dell’anno scorso. Bravo Pif nell’anteprima (con Sanremo e Sanromolo).
Fazio e Littizzetto hanno concesso la replica, ma il loro Sanremo bis non regge il confronto con quello dell’anno scorso. Hanno corso il rischio? Forse. Ma allora ci voleva la stessa tensione e la stessa emozione e cura della passata edizione.