Razza umana e Guerrieri, ovvero i docu-talk profetici di Piero Marrazzo e Saturnino Celani
La recensione a confronto di Razza umana e Guerrieri, in onda rispettivamente il mercoledì su RaiDue e il venerdì su La7 in seconda serata
C’è un nuovo sforzo di racconto nella seconda serata della generalista. Se già da tempo si auspicava di allargare il talk oltre la chiacchiera da salotto, ora lo si fa per unire l’utile al dilettevole: da una parte risparmiare, dall’altra caricare la conduzione televisiva di una missione “docu” superiore.
Perciò vorrei oggi accostare due trasmissioni non propriamente simili, ma accomunate dalla medesima aspirazione assistenzialista, entrambe defilatissime. Mi riferisco a Razza umana di Piero Marrazzo (che mercoledì con la seconda puntata ha fatto 541.000 telespettatori, per uno share del 3,75%, ) e a Guerrieri di Saturnino Celani (al debutto di venerdì ha fatto 485.000 spettatori e il 2,33%, venendo subito dopo Crozza all’8%).
In entrambi i programmi il conduttore è il messaggio e guarda dritto alla telecamera con una retorica profetica. Partiamo da Celani, che ha recitato questo slogan all’inizio di Guerrieri (anche dei testi così illuminati li paga il product placement Enel?):
“Mi chiamo Saturnino e so cosa significa essere un guerriero. Sono partito da una città di provincia e sono arrivato lontano senza mai smettere di combattere. Tra le mani avevo solo un sogno, la musica. Questo sogno l’ho trasformato nella mia vita. Ho iniziato il mio viaggio attraverso l’Italia alla ricerca di Guerrieri di tutti i giorni. Ho fatto incontri che mi stanno cambiando”.
Io, io, io, io io. E’ il nuovo conduttore della strada dall’impegno griffato, con il primo piano sugli occhiali fighi e le scarpe fighe. La prima puntata di Guerrieri aveva per protagonista una disabile che non ha smesso di fare paracadutismo, Laura. Storie del genere non si vedono troppo spesso in tv, ma ai tempi de Le vite degli altri di Angela Rafanelli, sempre su La7, arrivavano dritto allo spettatore.
In Guerrieri, invece, a prendersi continuamente la scena è Celani, che si è lanciato anche lui – per la prima volta davanti alle telecamere – col paracadute. Il bassista di Jovanotti conduce un programma per sé, prima che per il pubblico insomma. I docu-talk di oggi sono i reality di ieri, un modo per “mettersi in gioco”.
Poi c’è La razza umana di Marrazzo, una sorta di refugium peccatorum, di espiazione catodica con il fantasma dietro l’angolo dell’autoanalisi. La mission del programma titola:
raccontare l’uomo, di ieri, di oggi, di domani, attraverso un viaggio ed una ricerca, libera ed imprevedibile. Chi n on ha paura, chi non teme la verità, chi non fugge la diversità, può partecipare e vivere la grande avventura di RAZZA UMANA, insieme a Piero Marrazzo e Raidue. Tu, di che razza sei?
La sigla di Razza umana è all’insegna dell’amore cosmico, con tanti omini che si abbracciano. A differenza di Celani, però, Marrazzo medita in uno studiolo ricevendo ospiti piuttosto dimessi, con cui condividere la propria catarsi. Anche i suoi testi, però, abbondano di un umanitarismo parrocchiale:
“E’ di casa la paura del mondo? E il mondo è una casa sicura? Ragazzi con i loro sogni, con le loro esuberanze. Ragazzi in carne e ossa che sembrano essere calati in una terra che si definisce di nessuno, ma è il mondo. La sicurezza che vogliono avere quelli che si trovano di fronte alle calamità naturali. Questo bisogno di sicurezza non è solamente fuori di noi. Ma può esserci una paura dentro di noi”.
Come può un telespettatore rimanere sintonizzato di fronte a cotanta banalità? Quello che non funziona in Razza umana è proprio la dialettica ampollosa e inevitabilmente autoreferenziale di Marrazzo, visto che il programma ha il merito di occuparsi di temi molto moderni, come le webcam messe da mamme ansiose per sorvegliare le tate.
In più si ammicca alle nuove narrazioni della tv satellitare, che puntano su filmati di repertorio internazionale per allargare l’occhio sulla realtà.
Il problema è che i Marrazzo e i Celani di tutto non fanno televisione per passione e mestiere, ma per darsi un tono con il minimondo che frequentano. Sta diventando insopportabile, questa deriva egoriferita catodica.