Raul Gardini, una docu-fiction per basta per una figura così complessa: la recensione
La figura di Raul Gardini viene raccontata sottolineandone soprattutto le idee rivoluzionarie. Interessanti i commenti degli intervistati, troppi spiegoni nella parte fiction
Chi era Raul Gardini? Nel trentesimo anniversario della sua morte, avvenuta il 23 luglio 1993 (aveva sessant’anni), questa domanda non è affatto scontata. Dal giorno in cui sui giornali si diffuse la notizia del suo suicidio ad oggi, sono passate generazioni che il nome di Raul Gardini lo hanno solo sfiorato o, in alcuni casi, mai sentito. Realizzare una fiction su di lui è quindi cosa buona e giusta, ma realizzare una docu-fiction pone davanti i soliti limiti e dubbi del genere.
Raul Gardini fiction, la recensione
Come accaduto con la fiction andata in onda questa sera, domenica 23 luglio 2023, su Raiuno e su RaiPlay. La Rai ha scelto di trasmettere questa produzione in piena estate non per mancanza di fiducia, piuttosto per celebrare i trent’anni esatti dalla sua scomparsa dedicato alla storia di Raul Gardini una prima serata.
Ma, dicevamo, se l’intento è più che nobile, la sua realizzazione si scontra con i vari scogli che il genere della docu-fiction italiano spesso (non sempre) incontra lungo il suo percorso. La scelta è stata quella di narrare i suoi ultimi tre anni di vita dal 1990 al 1993, focalizzandosi in particolare sull’avventura del Moro di Venezia, varato nel 1990 e protagonista nel 1992 dell’America’s Cup, dove si dovette arrendere però all’America3.
Il Gardini raccontato da Miccichè e dalle persone intervistate è un uomo che sfiora il cliché del genio incompreso: personaggio rivoluzionario, le cui idee faticano a trovare consensi ma che, lette con le lenti dei tempi moderni, si rivelano essere all’avanguardia. D’altra parte, tutta la docu-fiction vuole soffermarsi sul lato geniale del protagonista, solo toccando qua e là (soprattutto verso il finale) le vicende più cupe.
I motivi sono vari: un po’ perché affrontare le questioni più strettamente legate alla finanza ed all’industria avrebbe fatto perdere appeal al racconto, un po’ perché la docu-fiction Rai tende sempre ad innalzare i propri protagonisti rendendoli quasi perfetti.
Il lavoro fatto su Gardini rispecchia dunque un formato a cui il pubblico di Raiuno è abituato: nulla da ridire sulle testimonianze raccolte (che, invece, diventano il contenuto più interessante proprio perché raccontano la vita reale e non quella frutto di un copione), mentre restano i soliti difetti nella parte della messa in scena.Troppi spiegoni trasformati in dialoghi tra personaggi abbassano il fascino di una storia che, sebbene sia dedicata solo ad una parte della vita del protagonista, meritava di trovare una veridicità anche nella sua componente fiction.
E le interpretazioni di Fabrizio Bentivoglio e Pilar Fogliati, la cui chimica sullo schermo funziona, non salvano del tutto un prodotto il cui risultato finale mette in risalto i limiti di un genere con buone intenzioni.