Uno Mattina, Raffaella Griggi a Blogo: “Il lavoro dell’inviato è nomade, bellissimo e faticoso. Ci vuole tanta passione”
L’intervista di Blogo a Raffaella Griggi, giornalista e inviata di cronaca di Uno mattina.
Come ogni mercoledì torna l’appuntamento con “Tv e l’altra cronaca/politica”, la rubrica di Tvblog dedicata al mondo dell’informazione in tv e in particolar modo al mondo degli inviati dei programmi di approfondimento giornalistico. Dopo Antonino Monteleone, Simone Toscano e Francesca Fagnani è oggi la volta di un volto noto di RaiUno, Raffaella Griggi, giornalista e inviata di Uno mattina ora, de La Vita in diretta negli anni passati. In realtà, nel passato e nelle esperienze della giornalista, ci sono anche Mediaset e La7, come inviata dei Tg e inoltre la carta stampata, con Repubblica. La contatto mentre si divide tra i due grandi casi del momento: il processo a carico di Massimo Bossetti, giunto ormai a sentenza, e il terribile delitto di Maria Ungureanu, la bimba di 10 anni di San Salvatore Telesino (Benevento) trovata morta in una piscina. La Griggi con il suo lavoro attraversa l’Italia, da Nord a Sud, ma sempre con l’eleganza, la professionalità e la precisione che caratterizzano i suoi servizi e abbiamo imparato ad apprezzare nel corso degli anni. Per lei i casi di cronaca nera del nostro Paese non hanno segreti: studia le carte processuali, partecipa alle udienze dei processi, intervista protagonisti e inquirenti, ha sempre la valigia pronta ed è sempre sul pezzo per informarci su quanto accade nelle aule di giustizia e nelle famiglia lacerate da delitti orribili. Oggi però ci racconta la passione per questo lavoro così difficile ma anche così affascinante, che la porta ogni giorno nelle case degli italiani.
Come hai iniziato a muovere i primi passi in questo lavoro, in particolare quello di inviato?
Sono stata tanti anni fino al 2008 a La Repubblica a Genova, scrivevo di cronaca e poi seguivo il calcio la Sampdoria e il Genoa, partite, ritiri, trasferte. Dal 1998 tv private locali liguri, conducevo tg, rubriche. Poi è arrivato il primo servizio importante, anche dal punto di vista emotivo, il G8 a Genova, per strada.
Cosa aggiungeresti o toglieresti a un programma di cronaca e attualità se fossi autore?
Toglierei forse gli ospiti ‘fuori programma’, con tutto il rispetto. Quelli che non seguono i casi, i processi da vicino e non possono ‘sentire’ davvero la storia e i suoi rivoli, sapere cosa voglia dire vivere sui marciapiedi, aspettare ore sospettati, parenti, udienze, girare in posti che non si conosce, sbagliare strade, parlare con la gente, montare sul posto – alla fine di tutto – in auto o in un, bar velocemente. Quindi, farei andare tutto piu a braccio, dando più spazio alle dirette con i protagonisti del caso e non a logiche di studio bislacche.
Quali sono per te le tre regole per essere un buon inviato?
Intraprendenza gentile, intuito, pazienza. Consentimi di dire, però, che occorre una fissazione, un’ostinazione e un’abnegazione vagamente folle e una passione instancabile. Ma è necessaria anche educazione con gli operatori e montatori, veri angeli. A tutto questo, aggiungi un po’ di fortuna, e soprattutto un paio di scarpe da tennis e una penna che non scrive!
C’è un limite che non deve essere superato?
Ce n’è più di uno. Non sopporto la volgarità dell’insistenza sciatta e la foga dei toni aggressivi enfatizzati di un linguaggio banale, pulp per creare finto pathos. Non bisognerebbe scampanellare cento volte e sarebbe opportuno cercare di rispettare più possibile anche il più bruto indisponente per sforzarsi di capire anche il suo punto di vista.
Quanto è importante la sintonia con il conduttore?
Parecchio. Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto feeling con i conduttori delle trasmissioni per cui ho lavorato. La Venier addirittura mi faceva i complimenti in diretta per l’eloquio garbato e rassicurante anche mentre raccontavo le disgrazie peggiori. Una storyteller un po’ diversa, insomma, termine che ho letto piace a Campo dall’Orto. Di Mare, a Uno Mattina, mi dice sempre che non sono mai scontata nei miei servizi. Liorni, poi, ascolta sempre con attenzione.
Quanto margine di liberta ha un inviato?
Nel mio caso, molta. Si fidano ciecamente. Non si dovrebbe fare, ma quando non ho troupe spesso cerco di girare qualcosa anche con il cellulare. In alcune occasioni, con questo fai da te, mi sento pure un po’ scapestrata e abbandonata a me stessa, ma se non devo scappare subito per altre destinazioni non rinuncio a raccogliere testimonianze dirette per non perdere contatto con il pezzo.
Come si regola un inviato se dissente rispetto a una scelta editoriale?
Cerco di far valere la mia opinione, il mio punto di vista, per l’importanza che può avere. Certe volte, però, allibisco in silenzio. Non sono assunta, quindi è ancor piu complicato, e ci sono poi tantissimi autori. A Uno mattina vorrei che i tempi dedicati alla cronaca fossero piu lunghi, le dirette pure, anzichè dare spazio statico a ospiti su sgabelli. Ma non lo cambio certo io un format consolidato, ottimo per molte cose, da tanti anni. Anzi, è già tanto che io sia l’unica inviata di cronaca (TGR a parte), e li ringrazio. Per quanto riguarda la cronaca, uno dei limiti di Uno mattina è che non ha la cifra sequel. Io resterei su una vicenda fino alla fine, ma capita che anche nella fase più calda venga dirottata altrove magari, o il giorno dopo non sia prevista la cronaca. Gli apprezzamenti della gente e addetti ai lavori ripagano però di questi avvilimenti.
Questo tipo di lavoro porta spesso a stare lontani da casa, quanto è difficile conciliare carriera e vita privata?
È complicato, vivo in tutta Italia, in treno e in hotel – tipo Titta di Girolamo ne Le conseguenze dell’amore – sei giorni su sette. Per via del mio lavoro ho amici ovunque in Italia, da Ragusa a Benevento, da Padova a Pordenone, fino a Bergamo; vieni adottata un po’ da tutti, dai titolari dei bed and breakfast, dai legali, dai colleghi locali, e io poi mi affeziono. Spesso, però, ti ritrovi a cenare da sola. Non sono sposata e quindi, quando finisco di lavorare mi importa solo tornare dai miei genitori a Genova.
Che consiglio daresti a un giovane che vuole intraprendere questo lavoro?
Non state alla scrivania a guardare internet, andate per strada, a osservare, chiedere anche senza l’impressione di farlo. E ascoltare. E’ una dote farsi raccontare, anche quello che non direbbero ad altri. Mettere a proprio agio l’intervistato con spontaneità, un filo di complice semplicità. E se non c’è tempo o modo, se sono riluttanti davanti alla camera, basta un attimo per ‘rubare’ al volo la parola giusta. Leggere e ‘copiare’ dai quotidiani. Non aspettatevi contratti giusti. Infine, iniziate con la carta stampata se possibile: chi fa quello può fare bene anche la tv, ma non viceversa.
Come si gestisce al meglio un problema tecnico del collegamento?
Se è una cosa che si può risolvere in diretta ( ad esempio l’eco della propria voce fastidiosissima nelle orecchie) si dice e si cerca di superarla. Provvederanno dalla regia a Roma. Per il resto è tutto in mano alla linea, e ai fantastici ragazzi dei cosiddetti zainetti operatori montatori, unici veri colleghi on the road.
L’inviato deve mantenersi equidistante o può lasciare trapelare il proprio punto di vista?
Deve avere la giusta distanza e non diventare un fan. Può anche far capire che le cose stanno diversamente, e sono più smerigliate e ingarbugliate con sinonimi, ragionamenti, letture di atti, verbali. Basta una frase giusta – nel gergo degli inquirenti – per mostrare che non sono chiacchiere de relato e non serve il gossip. Poi, una volta un collega mi ha detto che sono un po’ la Kofi Annan della nera: intendeva dire che sono una negoziatrice, che con nonchalance farei confessare il colpevole, senza che neppure se ne accorga. E, spesso, cerco di far andare d’accordo posizioni anche inconciliabili.
C’è un caso di cronaca, nel tuo lavoro, che ti ha coinvolto parricolarmente?
Il caso della Costa Concordia. Ce l’ho nel cuore. Un inverno sullo scoglio della Gabbianara, con il maestrale a spettinare il mare, mi sono sentita anche io un po’ diversamente naufraga, con il povero Kevin in attesa del fratello, e addetti ai lavori in un’isola, che c’era nonostante tutto. Per un altro motivo, invece, ti dico il servizio sul crollo della Torre Piloti al porto di Genova, sia per la enorme tragedia accaduta, ma anche perché era mancata mia nonna quel giorno ed ero uno straccio. Infine, il processo Bossetti: 45 udienze, ne ho saltate solo alcune perché ero altrove, ma sono andata anche a titolo personale, perché è stato un dibattimento unico e si è instaurato persino un clima di amicizia tra gli aficionados, colleghi, periti, legali, supporter.
Esiste e come si gestisce la competizione sul campo ad esempio tra inviati Rai e Mediaset?
Con tanti colleghi mediaset siamo amici, c’è stima reciproca non fasulla. L’importante è essere corretti sempre con tutti, capire il lavoro e le esigenze degli altri, anche così vieni apprezzato. Senza doppiogiochismi e arroganza. Ci si aiuta dove si può. E ci si apprezza per quel che si riesce a fare magari per primo. Ai Tg ogni tanto capita di dare qualche intervista e confrontarci con le altre trasmissioni rai. La verità è che ce ne sono troppe, anche doppioni, e quindi è quasi più facile che si creino sciocche invidie. Mediaset ottimizza, non sperpera, ti conosce e premia. Io personalmente vado d’accordo con tutti gli inviati “giradisgrazie” come me di ogni rete. Ci si sente uniti soprattutto dalla passione per questo lavoro nomade, bellissimo e faticoso, che rende i legami molto forti proprio tra colleghi.
Nella cronaca giudiziaria a volte è facile correre il rischio di mancare di rispetto alle persone coinvolte nelle vicende. Come si riesce a non cadere in fallo?
Spesso molto è già scritto nelle ordinanze di custodia cautelare, negli interrogatori. Non ci si inventa nulla. Vale comunque la regola della prudenza e del rispetto sempre, senza aggressività spiccia. Ma con giri di parole, pause, l’aggettivo ad hoc. Sarà che arrivo dalla carta stampata, ma si può ottenere di più in modo piu soft, con carteggi verbali. I tempi – è vero – spesso sono stretti, soprattutto se si creano tonnare di microfoni arrapati e inseguimenti, ma anche in velocità un sorriso e un po’ di classe valgono un servizio.
Quanto pesa emotivamente trovarsi quotidianamente a contatto con storie terribili?
I casi te lo porti dietro e dentro. Ci penso e ripenso, soprattutto ad alcuni, ma sai che il prossimo darà comunque emozioni. Molti poi ti chiamano, con alcuni parenti di vittime, scomparsi, avvocati periti, si diventa davvero anche amici. E senza tornaconti, sono una nostalgica passionale nel lavoro. Mi spiace andarmene da certi posti e persone, davvero, ma so che il mio lavoro deve andare avanti. Ti faccio però un esempio recente: sono giorni che penso al silenzio surreale di quell’aula stipata di Bergamo e alla baraonda del dopo. Un’immagine che difficilmente mi toglierò dalla testa.
Uno dei tuoi servizi è diventato virale, quello con il tentativo di intervistare michele mossero e la secchiata d’ acqua che tu e l’operatore avete subito. Come andarono le cose?
Io non avevo mai seguito la vicenda, non ero un'”avetranologa” della prima ora. Intanto ti dico subito che il video è stato tagliato. Era la vigilia dell’appello, mi sono presentata con gentilezza, gli ho chiesto scusa, precisando che non ci conoscevamo. So che certe domande hanno il limite della banalita, ma gli ho chiesto dell’indomani. Michele a quel punto riconosce il cameraman. Questi ultimi sono tutti esterni rai, cambiano ogni volta, ma lui lo riconosce come quello che mille volte era andato a cercarlo per altri talk. Per questo ci ha fatto un gavettone. Lì per lì siamo scoppiati a ridere. La sua macchina da presa per fortuna non ha riportato danni.
Una donna trova più difficoltà rispetto a un uomo nel lavoro di inviata di cronaca? Ti è mai capitato di avere paura?
No, paura mai, temo solo i cani spesso in case e villette, ma alla fine si fidano anche loro di me. Per fortuna tendo a suscitare tenerezza, non so perché, mi metto davvero sullo stesso piano. E sdrammatizzo. Ma sono la competenza e l’umanità che guardano di più, dal procuratore alla famiglia colpita. Soprattutto se non hai dietro il passpartout di una trasmissione forte monotematica tipo Chi l’ha visto o l’ appeal di Quarto Grado. Quindi quel che ottengo è perché si fidano di me. Parecchie volte molti avvocati mai stati in diretta hanno fatto con me il battesimo del collegamento, mi vengono in mente l’avvocato Scrofani e Pelillo, tanto per citarne due low profile. O anche il famoso cacciatore di Santa Croce Camerina fece la primissima diretta con me, il giorno dell’arresto di Veronica.
Hai lavorato come invita in vari programmi Rai e Mediaset. Tra questi ce n’è uno di cui conservi un ricordo particolare?
Il tg Mediaset all’agenzia a Roma, con colleghi splendidi, idem a La7 dove feci per la prima edizione del tg di Mentana nel 2010 la “gheddafina” infiltrata quando Gheddafi venne a Roma. Poi mi scoprirono, non so bleffare bene. Ma dal La vita in diretta ai tempi di Toaff partì la vera rumba…
Cosa sogni o immagini per il tuo futuro professionale?
Purtroppo non si può sognare nulla. Tantissime volte gli stessi amici o parenti di persone in carcere mi chiedono se voglio andare a parlare con i loro cari. Mi è successo ad esempio con Varani – nella vicenda Annibali – ma non ho sponsor. Come utopia, però, mi piacerebbe condurre una trasmissione di cronaca nera e psicologia, senza tacchi 12, per strada o attorno a un tavolo tipo domenica sportiva di Garanzini con fuori onda di avvocati e colleghi, e i protagonisti di tante sventure. Stile Daria Bignardi charmant o Giovanna Botteri, una vera giornalista che trasmette emozioni già solo per come parla e che non legge mai. La chiamerei “Senso di colpa”: li abbiamo un po’ tutti, sono la prima ad averne. Una come me – un po’ naïf, sensibile e che non sa fingere – credo possa essere apprezzata.