Un talk di sei puntate in prima serata su Rai3. Così Raffaella Carrà, che a giugno prossimo compirà la bellezza di 76 anni, torna in televisione da protagonista dopo alcuni anni di assenza (nel 2015 il fallimento a Forte forte forte, prima e dopo l’esperienza da giurata a The Voice). A raccontare comincia tu, prodotto da Rai3 in collaborazione con Ballandi Arts, ispirato al format spagnolo Mi Casa Es La Tuya, firmato con l’inseparabile Sergio Iapino e con Mario Paloschi, avrà come ospiti Sophia Loren, Maria De Filippi, Leonardo Bonucci, Riccardo Muti e Paolo Sorrentino. Nella puntata di esordio, giovedì 4 aprile, Fiorello:
Perché un talk show e non un varietà come ci si poteva aspettare?
Non avevo l’impellenza di tornare a fare la televisione. Stefano Coletta, direttore straordinario di Rai3, si è intestardito a volermi nella sua rete, che io ho frequentato solo come autrice per il programma condotto da Alessandro Greco Il gran concerto che aveva l’intenzione di lanciare la musica classica tra i più giovani. Il direttore mi ha presentato varie possibilità, ma non mi convincevano. Alla fine è arrivato A raccontare comincia tu, che mi ha sollecitato una curiosità diversa.
Quali sono le sue emozioni alla vigilia?
Sono molto ansiosa. Incontro personaggi famosi – e questo aiuta molto – diversi tra loro; è un interscambio, una chiacchierata, cercando di capire alcune fasi della loro vita, certe loro intimità, cose che non si conoscono. Fiorello è l’ospite della prima puntata. Un solo ospite per tutta la puntata di un’ora e mezza. Capisce? Ne non ne ho altri! Il rischio di annoiare il pubblico è abbastanza forte… anche se con Fiore il pubblico non si annoia mai. È un programma anomalo.
Sarà un programma totalmente di parole o ci saranno anche alcuni numeri di spettacolo?
Totalmente di parole. E questa è una incognita. Avremo dei brevi filmati per sottolineare quello che diciamo con l’ospite. Prima dell’incontro leggo 200-300 pagine di notizie che la mia redazione prepara e assorbo le cose che mi colpiscono di più soprattutto a livello umano; per il resto, non c’è nulla di preparato. Non sono vere e proprie interviste, con domande e risposte, ma è un interscambio di momenti, idee, cose… è difficile da spiegare…
Dopo queste sei puntate, ne arriveranno altre per un nuovo ciclo del programma?
Per adesso, no. Devono essere e saranno sei puntate. Non è semplice tenere alta l’attenzione del pubblico per un’ora e mezza con una persona.
Questione ascolti.
Il giovedì sera è pieno di controprogrammazione. Mi consola che il direttore Coletta mi abbia detto ‘speriamo che vada bene, ma degli ascolti questa volta non mi interessa tanto’. Su Rai1, soprattutto se sei abituata a fare il top, vogliono sempre il top. Qui, invece, la storia è diversa. Nuova, curiosa. Speriamo che vada bene.
Tra gli ospiti annunciati ci sarà Maria De Filippi. Si dice che in passato tra di voi ci siano stati attriti.
Non c’è mai stato nessuno screzio. Nulla. La incontrai 20 anni fa ai Telegatti, ma non ho mai avuto contatti con lei, ognuno ha fatto le proprie cose. Io ho fatto concerti in giro per il mondo. Le dico di più: se io avessi avuto una figlia, a 16 anni, poteva chiamarsi Maria (ride, Ndr).
Effettivamente si è molto parlato di C’è posta per te come di un format figlio di Carramba…
Le emozioni possono essere simili, ma Carramba aveva una direttiva molto precisa e unica: il ricongiungimento di due persone della stessa famiglia che non si vedevano da moltissimi anni, mentre a C’è posta per te ci sono storie diverse. Carramba, dove le sorprese erano tutte vere, era il racconto di come gli italiani negli anni ’50 e ’60 vivessero una vita molto complicata emigrando in America e in Australia. Adesso sta accadendo il contrario, con i migranti che sbarcano in Europa e Italia: se le persone che arrivano sono corrette vanno accolte in maniera umana, se vengono in Italia di nascosto per vendere la droga e per rubare, è meglio che tornino da dove sono partiti.
Rai3 è troppo poco per Raffaella Carrà?
No, il contrario. Rai3 è troppo alta per me (ride, Ndr). È una rete vista anche da persone con una cultura media, ma storicamente chi guarda Rai3 è preparato e intellettuale. Ci entrerò in punta di piedi, non so se mi accetteranno.
Non ha mai pensato ad un grande evento televisivo su Rai1 per celebrare la sua carriera?
No, non voglio le celebrazioni. Sto bene così. Ho avuto dalla vita molto più di quanto immaginassi. Ho girato per mezzo mondo facendo concerti straordinari, ho avuto accoglienze imprevedibili. Le celebrazioni sanno di morte, non mi piacciono.
Va bene, ma negli ultimi anni ha avvertito che lo spazio televisivo per lei si riducesse?
L’unica domanda che mi sono fatta in tutti questi anni è: come mai Carramba, che è stato un successo pazzesco economico, di pubblico e di audience, non mi è mai più stato richiesto?
Peraltro in un momento in cui la tv recupera titoli storici come La Corrida e Portobello, per fare solo due esempi.
Esatto.
Qual è la risposta?
Non ce l’ho, non gliela so dare. Di sicuro non vado io a proporre di fare qualcosa in televisione. Non l’ho mai fatto. Sono sempre stata molto fortunata; anche in questo caso è stato il direttore Coletta a cercarmi. E questo mi infonde un senso di fiducia da parte del mio editore e mi fa partire con grande carica. Per carità, se uno propone un programma di successo non c’è niente di male, ma a me non è mai accaduto. Sono stata abituata così.
Ha mai pensato ad un ruolo da dirigente televisivo?
Per carità di Dio, lei mi vuole morta? (ride, Ndr). La parola che fa da apri pagina del mio vocabolario è libertà. Io devo essere libera. Se mi impegno a fare un lavoro, lo faccio, ma se voglio, parto. Mi piace tanto viaggiare, scoprire cose nuove, non per forza televisive. Non sono malata di televisione. Forse, anche per la mia età, sono vogliosa di vita. E di godermi i miei nipoti.
Per molti anni lei è stata la regina…
Non dica ‘regina’, io sono democratica! (ride, Ndr)
Ah. Ci riprovo, allora: per molti anni lei ha condotto varietà di grande successo al sabato sera. Da qualche tempo la Rai fa molta fatica, salvo rarissime eccezioni, in quella fascia proprio con i varietà. Qual è l’errore, qual è il problema?
Nessun errore, è una scelta. Il varietà, penso a Milleluci o a Buonasera Raffaella, prevede una spesa che la Rai oggi fa per Sanremo, prevede balletti, costumi, scenografie e tempi di preparazione che oggi le televisioni non hanno. Le tv oggi vanno sul sicuro ripetendo lo stesso programma per un certo numero di puntate ogni anno. Ai tempi di Carramba, chiesi all’allora direttore di Rai1 Brando Giordani ‘facciamo dieci puntate all’anno, non di più, così possiamo andare avanti per dieci, perché gli appuntamenti al pubblico piacciono’. Ma all’epoca c’era il problema della Lotteria italiana, il direttore non sapeva come abbinarla, quindi da settembre facevamo Carramba che fortuna e da gennaio Carramba che sorpresa. Così per 5 anni… distruttivi, ma memorabili. Basti pensare che la parola carrambata resiste.
Ha citato Sanremo. Ad oggi c’è ancora da scegliere il direttore artistico del Festival del prossimo anno. Ha idee?
Io? Ma lei mi fa domande complicatissime, ma anche molto facili (ride, Ndr): Baglioni lo sa fare benissimo. Se non lo vuole più fare perché si può avere un po’ di paura a rifarlo per la terza volta, lo può rifare Fazio oppure Conti oppure persone che hanno capito come costruire il Festival da giugno a febbraio. Io lo feci nel 2001 perché ero obbligata. Ma ebbi solo un mese di tempo, perché prima avevo Carramba. E in un mese non si può fare nulla. L’unico ricordo bello di Sanremo è che le canzoni scelte da Sergio Bardotti sono state le più belle degli ultimi anni.
Insomma, per lei Sanremo non fu una esperienza memorabile?
Per carità. Esperienza non memorabile. Un frullatore. Mi chiedevo: ‘Ma cos’è tutto ‘sto casino?’. Ero stanca, venivo da Carramba.
L’ultima fiction in cui ha recitato risale a quasi 22 anni fa, Mamma per caso. Se le proponessero di tornare a recitare, cosa risponderebbe?
Come vola il tempo! Mi proposero un sequel di Mamma per caso, ma il copione era talmente brutto che risposi di no. La tv mi ha sempre usata per gli show più che per fare l’attrice. E non mi dispiace perché fare una fiction significa lavorare 14 ore al giorno per fare la stessa scena 30 volte. Che palle, ragazzi! Gli attori sono eroi!