Raffa è come il vento: la docuserie sulla Carrà e la Pelloni restituisce un’icona ancora più forte (che la Rai si è dimenticata)
Tra celebrazione e un timido sguardo alla vita privata, la docuserie di Daniele Lucchetti restituisce al pubblico una vita ricca di sorprese e di passione per il lavoro che contraddistingueva Raffaella Carrà. Ma che peccato che non ci abbia pensato la Rai
Da una parte Raffaella Carrà, la showgirl, cantante, ballerina e conduttrice diventata icona tra Italia e Spagna; dall’altra Raffaella Pelloni, romagnola, carattere forte, dal privato difeso con le unghie e con i denti, con quel rimpianto di non avere avuto figli. In mezzo, c’è Raffa: la docuserie in tre episodi disponibile su Disney+ da mercoledì 27 dicembre 2023 vuole essere il riassunto di una e dell’altra figura, svelando, dando conferme e cercando di mettere un po’ di Carrà e di Pelloni laddove non arrivano le parole.
La recensione di Raffa su Disney+
Raffa e il vento del cambiamento
Si parte, infatti, dall’infanzia e dagli esordi di Raffaella (chiamata Lella dalla madre) e dalla fatica di affermarsi come ballerina e come attrice. Poi, il grande successo che arriva grazie alla tv di Stato italiana, il trasferimento in Spagna, il “progetto Carrà” che assume connotati internazionali ed il ritorno in Italia. Qui, ancora una volta, è la Rai a consacrarla nella nuova fase della sua carriera, quella in cui Raffaella si scopre anche conduttrice capace di empatizzare con la gente comune e di essere più di una diva.
Ogni episodio, ad ogni modo, si sofferma sul tema del cambiamento: Carrà vuole cambiare spesso, è in cerca sempre di nuove idee o di nuove sfide, anche e soprattutto quando raggiunge il successo. Raffaella cambia, e cambiando lei costringe anche la televisione e in generale il mondo dello spettacolo a cambiare, portando rivoluzioni di cui ancora oggi parliamo. Il Tuca-tuca, i balletti sensuali ma non volgari, la conduzione, la capacità di conquistare anche l’estero: Raffaella Carrà, racconta il documentario, fa del cambiamento la chiave di svolta della sua carriera e, forse un po’ inconsapevolmente, anche del nostro Paese.
Proprio come una folata di vento che ti travolge, ti scombina e ti cambia rispetto a come eri prima. E proprio il vento, in alcune scene, diventa metafora perfetta di ciò che Luchetti vuole raccontare. Gli abiti iconici di Carrà, in varie location, dalla metropoli alla città di mare, sono immobili, a testimonianza di un passato che non c’è più. Ma a ridare loro vita è, appunto, il vento, forte, impetuoso, che li muove e li fa danzare come solo la loro legittima proprietaria faceva quando li indossava.
Nessuno scoop, nessun lato oscuro
La scelta fatta in fase di scrittura da Cristiana Farina (che ha scritto il documentario con Carlo Altinier, Salvatore Coppolino, Barbara Boncompagni e Salvo Guercio, questi ultimi due anche tra gli intervistati) è stata categoricamente quella di raccontare Raffaella Carrà senza dover per forza indagare in retroscena oscuri, qualora ce ne fossero stati.
Raffa vive un po’ di celebrazione, ma anche di ricordo. Sono questi gli elementi che permettono al motore della memoria degli intervistati di lavorare e di offrire al pubblico anedotti e commenti su chi fosse Raffaella Carrà ed, all’occorrenza, chi fosse Raffaella Pelloni.
Della carriera, poco spazio viene lasciato ai flop, alle polemiche o ai momenti di crisi. Fatta eccezione per la vicenda dei cachet milionari e delle critiche che ne seguirono, la storia professionale di Carrà viene raccontata con lo sguardo della determinazione di una donna che sa dove vuole arrivare, ma che sa anche che, per riuscirsi, dovrà scendere a compromessi con il suo doppio, ovvero con Pelloni.
Gli uomini avuti, i figli mancati
L’unica concessione che il doc fa alla vita privata di Carrà sta nei due suoi amori più noti, Gianni Boncompagni e Sergio Japino. Due relazioni raccontate, anche in questo caso, senza cercare la notizia esclusiva, ma sempre legandole indissolubilmente alla sua carriera. D’altra parte, Raffa vuole proprio sottolineare come la scelta di diventare non una donna di spettacolo, ma “La” donna dello spettacolo italiano abbia avuto delle inevitabili ripercussioni anche nella sua vita privata.
La storia con Boncompagni, di cui si fa portavoce la figlia Barbara, si focalizza sulla passione di entrambi per il lavoro, ma al tempo stesso sulle difficoltà di stare uno dietro i ritmi dell’altra. La relazione con Japino, d’altro canto, porta nuove consapevolezze sull’instancabilità di Raffaella Carrà. E le poche immagini di Japino, senza commenti, girate all’Argentario sono in realtà carichissime di significato per la loro relazione.
E poi c’è il capitolo sui figli mai avuti: desiderati, rimandati e non arrivati. Un filo che scorre soprattutto nel secondo e terzo episodio, senza nascondere in questo caso un’amarezza negli occhi di Carrà che, nelle interviste che costellando la serie, ammette a se stessa di sentirne la mancanza.
Una storia unica: ma dov’è la Rai?
Al netto dei vari argomenti toccati nei tre episodi e di quelli che non sono stati sfiorati, Raffa è un percorso di formazione per una donna che si è vista travolgere da un successo che sì cercava, ma non in maniera così ossessiva come numerose altre sue colleghe di allora e di oggi. E forse anche per questo, è una storia che insegna a saper essere grati di quello che si conquista giorno dopo giorno.
Icona LGBTQ+, femminista senza saperlo, professionista della tv che amava ideare i programmi ma non le prove costumi, Raffaella Carrà resta unica, e Raffa ce lo ricorda. Una storia, la sua, che susciterà inevitabilmente altro materiale: altri documentari, film, fiction e via dicendo.
Chissà, forse un giorno anche la Rai si deciderà ad omaggiare Raffaella come si deve e non solo con gli speciali (seppure egregiamente realizzati) di Techetechetè. Ma quando lo far, sarà comunque troppo tardi, e questo resta un gran peccato per un’azienda che a Raffaellca Carrà deve alcune delle sua pagine più importanti.