Questa televisione che diventa radio e questa radio che diventa televisione
Il fenomeno di due media, radio e televisione, che si fondono sempre di più diventando quasi un mezzo unico di trasmissione di contenuti e programmi
C’era una volta la televisione che faceva la televisione e c’era la radio che faceva la radio. La televisione andava in onda in orari molto precisi, da mezzogiorno alle due e dalle cinque a mezzanotte e poi c’era la radio, che andava in onda ventiquattro ore su ventiquattro, con notiziari, radio drammi, programmi di intrattenimento, alcuni storici come Alto gradimento e Bandiera gialla. Stiamo parlando degli anni sessanta, settanta e parte degli anni ottanta e parliamo per lo più della televisione di Stato. C’erano poi le mitiche “radio libere”, quelle di quartiere, di città, di regione e le televisioni libere, che andavano a riempire gli spazi vuoti lasciati dalla Rai nelle varie fasce orarie, segnatamente quelle del mattino e del pomeriggio. Poi con il tempo e con le nuove leggi che obbligavano le televisioni a mandare in onda programmi in una certa percentuale nell’intera giornata, la Rai è stata in qualche modo “obbligata” ad estendere la sua programmazione, sia al mattino, che al pomeriggio, fino ad occupare anche la fascia notturna.
L’esigenza quindi di riempire sempre più spazi ha reso necessaria una programmazione orizzontale con occupazione delle varie fasce orarie, come detto sopratutto quella del mattino e del pomeriggio, di programmi che accompagnassero il telespettatore nelle varie ore della giornata e della settimana, sopratutto nei giorni feriali dal lunedì al venerdì. Ecco quindi la nascita di programmi, segnatamente talk show, che sono proliferati fra il mattino ed il pomeriggio, dando sostanzialmente una connotazione radiofonica alla televisione. Programmi come Unomattina, Storie italiane, Oggi è un altro giorno, ma anche gli stessi E’ sempre mezzogiorno e Vita in diretta, sono programmi figli di questo nuovo “diktat” e che acquisiscono quindi sempre di più nel tempo connotazioni squisitamente radiofoniche, creando un flusso televisivo la cui fruizione può tranquillamente avvenire anche senza avere gli occhi puntati sul piccolo schermo.
Paradossalmente, di contro, abbiamo la radio che ormai sempre più spesso, sia per quel che riguarda le radio private che le reti pubbliche, attraverso il mezzo della “radiovisione” mandano in video i loro programmi e anzi, in alcuni casi le stesse trasmissioni vengono praticamente adattate al video, dando loro una connotazione cross-mediale. Se il fenomeno della radiovisione, che ha in RTL 102,5 il suo esempio più eclatante e di successo, ma ormai cooptato anche da tantissime altre emittenti, vede semplicemente alcune telecamere fisse che inquadrano a turno gli speaker, a volte pure assonnati e arruffati intenti a condurre il programma di turno e trasmesso su canali televisivi acconci per questa cosa, c’è anche appunto un fenomeno parallelo sopra accennato.
Ci riferiamo appunto all’adattamento alla forma televisiva di trasmissioni nate in radio. Facciamo alcuni esempi che riguardano la Rai. Radio due social club, il programma condotto da Luca Barbarossa e Andrea Peroni, che va in onda appunto su Radio 2 e contemporaneamente su Rai2 e poi su Rai play, ha acquisito ormai una dimensione televisiva, attraverso una regia dedicata, un palcoscenico e l’artista che si esibisce insieme ad una band ripreso da più telecamere. Poi c’è l’attuale Happy family condotto dai gemelli di Guidonia con l’ottima Ema Stokholma, che occupa la stessa fascia oraria del programma di Barbarossa e con la medesima realizzazione radio-televisiva di cui sopra.
Assistiamo dunque negli ultimi anni ad un fenomeno per cui la radio diventa sempre di più televisione e la televisione che diventa sempre più radio, in un processo di amalgamazione dei due media sempre più evidente, processo in qualche modo amplificato dallo sviluppo della fruizione di questi contenuti grazie a smartphone, computer, palmari e tablet che rende il loro approccio più semplice. Tutto questo è un bene? E’ un male? Mah, forse semplicemente è un processo naturale ed irreversibile richiesto dalla modernità. Sta di fatto che forse il DNA dei due media, della radio e della televisione, sta ormai irrimediabilmente mutando.