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Quarto Grado, Simone Toscano a Blogo: “Il limite da non superare? Il rispetto per i casi, per il pubblico e per noi stessi”

L’intervista di Blogo a Simone Toscano, giornalista, inviato di Quarto Grado e ora anche scrittore.

pubblicato 14 Aprile 2015 aggiornato 2 Settembre 2020 16:18

Siamo abituati a vederlo ogni venerdì sera su Rete 4, nei suoi servizi da studio per Quarto Grado o in collegamento da qualche parte d’Italia in cui si sono consumati delitti atroci. Eppure Simone Toscano, giovane giornalista Mediaset, è tanto altro e molto di più. Lo incontro in occasione della promozione del suo primo libro, Il Creasogni, edito dalle Edizioni Ultra, dal 25 marzo nelle librerie, e il suo romanzo è anche l’occasione per parlare del suo lavoro di giornalista televisivo, del programma che tanto ama “perché mi sento parte di una squadra”, e di qual è il modo in cui la cronaca andrebbe trattata in tv. Sembrerebbero due mondi completamente distinti, visto che il suo romanzo è una fiaba delicata, con un lieto fine e tanti buoni sentimenti, ma non è così. Perché è proprio il suo lavoro da giornalista di cronaca che lo ha portato a trovare in se stesso la voglia di mettersi in gioco con qualcosa di diverso, di esplorare il mondo della fantasia che permette di sognare e credere che sì, un mondo migliore possa esistere per tutti. E che anche il mestiere del giornalista si possa fare bene, “tornando a casa e potendosi guardare allo specchio, perché certe domande non le ho fatte e non le farò mai”.

Hai scritto un romanzo, un libro che è una favola ricca di significanti reconditi. Che libro è Il Creasogni?

È vero, la chiave allegorica del mio libro è ampia. Quando mi chiedono che libro ho scritto, la risposta che mi viene da dare è “Una favola”, ma poi aggiungo “per adulti”. Io faccio un paragone – che non è ovviamente proprio calzante – ma è quello con ‘Il piccolo principe’, che apparentemente è una favoletta, scritta con parole semplici, con un vocabolario limitato, sembrerebbe scritta per bambini, ma è in realtà un libro per adulti, di quei libri che più passano gli anni e più lo apprezzi. Così è Il Creasogni.

In effetti la prima cosa che viene da chiederti è “Che libro hai scritto?”. Perché di solito chi fa la tua professione spesso scrive di cronaca. Tu invece hai sorpreso tutti con un romanzo.

Sì, è vero. Anche se poi il mio lavoro ha inciso sul libro. Perché quando si fa un lavoro apparentemente molto duro, come quello della cronaca giudiziaria, c’è bisogno di un apporto di maggiore sensibilità rispetto ad altri argomenti. Perché è facile mancare di rispetto, è facile offendere. E per bilanciare il male di cui si parla c’è bisogno del bene, per non essere risucchiato dalla negatività, dalle storie di cui parliamo. Quando sei a contatto con la sofferenza della gente, sei portato veramente tanto a sperare che le cose possano andare bene.

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Se non avessi letto il tuo libro, ti avrei sicuramente chiesto se tra tutti i casi trattati a Quarto Grado ce n’è uno che ti ha particolarmente coinvolto. In realtà nei ringraziamenti del Creasogni citi la famiglia Salamone, che ha perso la figlia Valentina.

Il caso Salamone è un caso a cui sono particolarmente legato, perché lo abbiamo mediaticamente “scoperto” noi di Quarto Grado e io me ne sono occupato in prima persona. Nessuna grande televisione, prima di allora, ne aveva mai parlato. Spesso lo prendo come esempio, quando si parla degli aspetti negativi della televisione, perché questo è proprio un caso in cui la tv ha dato una mano. Si trattava di un caso lasciato in un cassetto come un suicidio, che noi di Quarto Grado, dopo averlo attentamente studiato, abbiamo trattato trovando delle testimonianze e dei dati che erano stati tralasciati, e che dimostravano chiaramente che in realtà si era davanti a un delitto. La televisione, quindi, ha questo lato positivo: quando accende i riflettori su una storia, la gente inizia a rendersene conto, e così se ne è resa conto anche la Procura di Catania, che ha ripreso in mano l’indagine e ora è alla ricerca di un colpevole. È un soddisfazione, ora, che tutte le trasmissioni e i giornali nazionali ne parlino, perché c’è una famiglia che attende e merita giustizia, e noi li abbiamo aiutati.

Parlando degli aspetti negativi della tv che citavi prima, tu credi che nel tuo lavoro ci sia un limite che non va mai superato?

Il limite credo che sia assolutamente quello del rispetto, un rispetto triplice: il rispetto dei protagonisti della vicenda, quindi dell’intervistato e di tutte le persone coinvolte, compreso il presunto colpevole; il rispetto nei confronti del telespettatore, perché noi abbiamo una responsabilità sociale; e infine il rispetto che il giornalista deve avere per se stesso, cosa non secondaria, perché quando torno a casa io voglio potermi guardare nello specchio e sapere che certe domande non le ho fatte e non le farò mai. Il rischio dello scivolone, della buccia di banana su cui cadere, può capitare a tutti e quel giorno tutti ti punteranno il dito contro e si dimenticheranno di tutte le volte che sei stato attento. Fa parte del gioco. Il problema quindi non è chi vai a intervistare, ma come conduci l’intervista. A Quarto Grado c’è un rispetto fortissimo per la sensibilità di tutti i personaggi coinvolti. Sono tante le cose che non mandiamo in onda, notizie che teniamo nel cassetto, perché magari riguardano la persona, ma non hanno incidenza nelle indagini.

Tu sei nella squadra di Quarto Grado da cinque anni, fin dalla prima puntata. Nell’ultimo anno c’è stato un successo crescente nella trasmissione, con ascolti più alti rispetto agli anni precedenti. Ti sei chiesto il motivo di questo gradimento, e soprattutto qualcosa è cambiato nel corso degli anni nella struttura del programma?

L’impostazione strutturale della trasmissione nel corso degli anni è rimasta identica, con piccoli aggiustamenti nel linguaggio televisivo, ma si tratta di aspetti più tecnici. L’impostazione di massima è rimasta la stessa, cercare di raccontare dei gialli in maniera semplice, semplice nel senso di rendere i passaggi più complicati, anche quelli giudiziari e scientifici, in maniera divulgativa, in modo che possano arrivare a tutti. E dall’altra cerchiamo di dare un contributo alle indagini, attenendoci sempre in maniera rigorosa a dei documenti. Non diamo mai una notizia come indiscrezione, come voce di paese, cerchiamo sempre di verificare le notizie e trovare un riscontro scritto o una fonte autorevole. Questo credo che abbia contribuito al gradimento del pubblico, che dovrebbe aver apprezzato la nostra serietà, o almeno è quello che spero.

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Prima parlavamo della difficoltà emotiva che a volte si può provare facendo questo tipo di lavoro. Tu non senti a volte il bisogno di dedicarti ad altro?

Io sono a Mediaset ormai da dieci anni, e in questi dieci anni ho fatto veramente tutto, quasi tutte le produzioni e programmi passati sulle reti. Per me questo lavoro è proprio una passione e l’ho sempre affrontato come un percorso di crescita, amando tutto quello che ho fatto. In questi cinque anni di Quarto Grado, poi, ho fatto anche altro: c’è stata una parentesi di due anni in cui sono tornato all’Agenzia e ho lavorato come inviato dei Tg della rete, e in cui ho avuto anche la conduzione di Tgcom 24. Quindi ho variato tantissimo, facendo anche i doppi turni, perché volevo mantenere l’impegno a Quarto Grado, a cui sono legatissimo, anche perché mi sento parte di una squadra. Questa sete di fare altro, quindi, è stata già appagata. Poi ho altri sfoghi: ho un blog su Tgcom, (Un giornalista nella rete), ogni tanto scrivo sull’ Huffington Post, quindi ho modo di svagarmi. Poi spero che il progetto di Quarto Grado vada avanti e spero di farne parte sempre.

C’è un giornalista a cui ti ispiri facendo questo lavoro o che ammiri in modo particolare?

Ce ne sono tanti e per tanti aspetti. Sicuramente ti dico Enrico Mentana, perché ho iniziato a sognare di fare il giornalista quando lui è arrivato al TG5. Avevo 11 anni e mi ha colpito: aveva un linguaggio giovane, moderno, ma attendibile, sicuramente nuovo rispetto al Tg1. Ed è stato allora che mi sono detto “Voglio fare questo lavoro”.

Ma ti dico anche, facendo riferimento alla mia squadra di Quarto Grado, che ci sono almeno tre fuoriclasse: da Siria Magri, la responsabile del programma, che studia tutte le carte dei singoli casi con una dedizione straordinaria, a Rosa Teruzzi, responsabile per tanti anni di Verissimo, che cura lo stile, e infine Gianluigi Nuzzi, che arriva da un’esperienza completamente diversa, si è rimesso in gioco in tv, portando quella sua esperienza nel programma. E di nomi te ne potrei fare davvero tanti altri.

Cosa consiglieresti a un giovane che vuole fare il tuo lavoro?

La prima cosa è di non ascoltare tutti quelli che ti dicono “Lascia perdere, la professione non è più la stessa, tanto vanno avanti solo i raccomandati”. Non è vero. Io dico sempre di non crederci. Se uno ha la passione, non ci sono limiti ai sogni. L’importante è impegnarsi tanto, studiare, avere un obiettivo da raggiungere con entusiasmo e gioia, non con cinismo. Io sono fortunato perché lavoro per una grande azienda, ma la bellezza di questo lavoro si può assaporare in tante realtà. La passione del giornalismo si può inseguire in tanti modi. Servono impegno, sacrificio e un pizzico di fortuna.

Per chiudere e salutarci: ora sei impegnato nella promozione del tuo libro, quindi sei preso dall’eccitazione del momento, di vederlo tra le tue mani. Ma pensi già di scrivere ancora?

Ora mi sto godendo questo momento, ma visto che per me scrivere è una passione spero di farlo ancora. Sono felice di non essere partito a testa bassa, chiuso nel mio mondo del giornalismo e della cronaca, ma di aver iniziato con un romanzo. Certo, penso che poi arriverà anche altro, proprio perché per il mio lavoro sento la necessità di raccontare delle storie che ho incontrato e anche il percorso che ho fatto, in una professione che è sempre in evoluzione e cambierà sempre di più. La vita spero sia lunga, e a quel punto vedrò se scrivere un altro romanzo o un libro di inchiesta giornalistica.

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