Se solo dieci anni fa qualcuno avesse osato ipotizzare uno scenario simile, sarebbe stato etichettato come ‘pazzo’. Michele Santoro torna a Mediaset e lo fa scegliendo il canale, Rete4, che storicamente è sempre stato considerato il più filo-berlusconiano di tutti. “Se all’epoca ti avessi visto qua avrei pensato ad un errore della mia vista, o ad un errore tuo”, fa notare Nicola Porro, che gli spalanca le porte di Quarta Repubblica.
Porro ad Annozero era di casa. Lui, penna del Giornale, andava nell’arena di Rai2 per difendere il centrodestra. Una sorta di uno contro tutti che stavolta si capovolge. Anzi no, perché il covid ha svuotato gli studi televisivi e anche perché dopo due lustri nessuno è più come allora.
“Siamo cambiati noi o sei cambiato tu?”, chiede il conduttore. La risposta probabilmente sta in una terza opzione: è cambiata l’Italia. Allora si era berlusconiani o anti-berlusconiani, bianchi o neri. Non esistevano sfumature. E in questo dualismo esasperato hanno sguazzato tutti. Santoro, che grazie alle battaglie contro il Caimano imbastì puntate memorabili; il centrodestra, che inevitabilmente trovò ampie praterie sul fronte opposto. Alessandro Sallusti, candidamente, lo ammette: “Quando facevi quelle trasmissioni, i giornali di centrodestra vendevano di più. Eri talmente divisivo che il giorno dopo compravano i nostri giornali per leggere le nostre critiche. Vivevamo di santorismo. Era un bene per la democrazia, sapevamo di cosa parlare”.
L’evento degli eventi – tenete conto che Santoro non riappariva a Mediaset dal 1999, quando chiuse la parentesi di Moby Dick – si depotenzia però fin da subito. Santoro a Quarta Repubblica diventa infatti una celebrazione di ‘come eravamo’, del ‘si stava meglio quando si stava peggio’. Un passatismo tanto tenero quanto surreale.
“Non abbiamo più un cavolo di niente. Non abbiamo la passione, gli odori di quel periodo. C’erano le stragi, ma c’era anche un Paese che voleva cambiare. Ora siamo qui che aspettiamo il vaccino. ‘vacciniamoci e poi ci penseremo’”.
Persino Berlusconi viene in qualche modo ‘riabilitato’:
Per quanto possa pensare criticamente a quel periodo, una volta c’era Berlusconi in campo che combatteva in difesa dei suoi interessi e di una sua visione politica del Paese, e c’eravamo noi che contrastavamo Berlusconi. Quando questo dualismo – che era una democrazia malata secondo il mio punto di vista – è finito, non ci è rimasto più niente. Quelli che dovevano fare da pungolo, i Cinque Stelle, sono andati al potere senza avere la cultura e i partiti di fronte a loro si sono sgretolati. La statura di Berlusconi è fuori discussione. Ma nello stesso tempo sono fuori discussione i suoi giganteschi conflitti d’interesse.
Chi si aspettava l’incendio si trova davanti ad un mini-falò. E per aizzare il fuoco non basta nemmeno la riproposizione dell’epico scontro col Cavaliere a Servizio Pubblico nel 2013. Uno show, culminato con la spolverata della sedia di Travaglio. “Pensavo che quella fosse la fine, invece gli regalò una simpatia che era in contrasto con un gesto che era una forma di disprezzo verso chi si trovava di fronte. E’ una scena che fa una grandissima equazione tra due mattatori: Sordi e Berlusconi. Solo che Sordi ci ha regalato con la commedia una critica dell’italiano, mentre Berlusconi ne ha esaltato i difetti. Comunque la pensiate, non vedrete più queste cose, sono scene irripetibili. I protagonisti sono diventati tutti minori, tranne Draghi. La nostra era una democrazia malata. Oggi siamo molto più in crisi di allora”.
La percezione è quella di un Santoro che rifiuta di ‘aggiornarsi’. Nella sua mente non esiste ‘refresh’ e ci si domanda se nel 2021 la sua indiscussa capacità narrativa sarebbe in grado di stare dietro alle evoluzioni – e involuzioni – della politica. Per molti l’appannamento di Santoro è coinciso col declino del berlusconismo. Porro glielo fa notare ed è proprio qui che Santoro regala l’ormai inaspettata zampata: “Io ero già abbastanza popolare prima che scendesse in campo Berlusconi”.