Pubblicità in tv, tutti contro i maxi sconti Rai
Rai sconta i listini pubblicitari per stuzzicare gli investitori: una manovra eccessiva secondo i concorrenti, che pensano a un ricorso all’Agcom e al Ministero del Tesoro.
Il mercato pubblicitario è in contrazione: la pandemia sta mettendo a dura prova il comparto economico e industriale, riducendo la disponibilità degli investitori, e nel contempo ha rimandato i grandi eventi mediali e pubblicitari previsi per il 2020 come le Olimpiadi di Tokyo – per le quali si inizia a dubitare anche di un recupero nel 2021 – e, per restare nel nostro continente – i campionati Europei di Calcio. Nel quotidiano, inoltre, la programmazione tv ha dovuto mettere in stand-by le produzioni di primavera (si pensi a Ballando con le Stelle), chiudere le porte al pubblico e di conseguenza ripiegare su repliche e libraries. Restano in diretta i programmi di approfondimento, ma stando ai risultati di ieri – martedì 28 aprile 2020 – appare evidente come si senta il bisogno di evasione leggera.
La questione degli investimenti pubblicitari è ovviamente di vitale importanza per il mercato televisivo: con un Paese chiuso in casa, il crollo degli introiti dei settori automobilistico, cosmetico e moda di queste settimane si ripercuote direttamente sulla pubblicità. Stando così le cose, si pensa a una contrazione degli investimenti pubblicitari del 10-15% nell’anno. E gli spot motivanti non possono certo compensare.
In questo contesto la Rai sembra contraddistinguersi per una politica sui prezzi particolarmente aggressiva, che ha già scatenato le ire dei concorrenti. Lo racconta in maniera dettagliata Andrea Montanari su Milano Finanza di oggi, spiegando la strategia che Rai Pubblicità sta adottando per ingolosire gli investitori e garantirsi pubblicità. In pratica sta applicando maxi sconti sui listini, ‘svendendo’ gli spazi pregiati del daytime e del prime time: una mossa – detta dumping – che ha irritato i concorrenti, su tutti Mediaset, Sky, Discovery e La7 pronti a passare alle ‘vie di fatto’.
In realtà la strategia della Rai non è proprio nuova, né strettamente legata al Coronavirus: come spiega Montanari, la Commissione di Vigilanza Rai aveva già bloccato una analoga strategia di dumping nel 2017, mentre nel 2018 il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, aveva ribadito la questione dei super-sconti Rai in un convegno dell’Agcom. E’ quindi evidente che in una situazione di generale contrazione degli investimenti, una politica aggressiva sui prezzi da parte della Rai – che stando a quanto riportato da MF può contare su 1,2 mld dal canone, cifra comunque non sufficiente a gestire il bouquet Rai, ma in ogni caso non a disposizione degli altri – la reazione della concorrenza sul dumping Rai sia ben lontana dalle forme di un ‘gentlemen agreement’.
A rendere la situazione ancor più incandescente la decisione presa in questi giorni dal Tar del Lazio, che era stato chiamato a esprimersi su un provvedimento preso dall’Agcom proprio in materia di dumping pubblicitario Rai. Nel febbraio 2019 infatti Agcom aveva dato il via a una verifica sul comportamento della Rai arrivata a conclusione nel febbraio 2020, con un provvedimento che diffidava la Rai dal continuare a mettere in atto comportamenti ‘inadeguati’ e ad assicurare “il rispetto dei principi di non discriminazione e di trasparenza nella conclusione dei contratti di diffusione pubblicitaria, anche al fine di consentire all’Autorità di verificare il corretto utilizzo delle risorse pubbliche destinate al finanziamento delle attività e della programmazione di servizio pubblico“.
Il provvedimento Agcom, inoltre, imponeva alla Rai di ornire, entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento,
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una proposta di listino che dia ragionevole evidenza delle modalità di costruzione dei prezzi di vendita degli spazi pubblicitari e delle riduzioni di prezzo (c.d. sconti) effettivamente praticati nel rispetto del vincolo di destinazione del canone al servizio pubblico;
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produrre uno schema di relazione, da inviare periodicamente all’Autorità, sugli spazi pubblicitari venduti che indichi i prezzi originari di listino e i relativi ricavi teorici “a prezzo pieno”, lo sconto massimo applicabile e i corrispondenti ricavi effettivi conseguiti (differenziando per canale o struttura/centro di costo competente) con conseguente allocazione;
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individuare misure e formulare proposte, anche di natura organizzativa, finalizzate a garantire che le strategie commerciali adottate nella raccolta delle risorse pubblicitarie non risultino di pregiudizio al migliore svolgimento dei pubblici servizi concessi e concorrano alla equilibrata gestione aziendale. Tali misure dovranno consentire un monitoraggio periodico da parte dell’Autorità.
Insomma, si chiedeva conto alla Rai di chiarire prezzi e sconti, in modo anche da garantire trasparenza sulla raccolta e la gestione degli introiti pubblicitari.
Ma la Rai ha impugnato il provvedimento presso il Tar del Lazio che dal canto suo l’ha sospeso, dichiarando che la situazione contingente avrebbe reso particolarmente “gravosi gli adempimenti richiesti”. Un temporeggiamento ‘causa Coronavirus’ che non è piaciuto ad Agcom, pronta a rivolgersi al Consiglio di Stato, mentre i singoli competitor stanno pensando a un’azione nei confronti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e verso il Ministero del Tesoro. La partita della pubblicità sarà lunga e difficile.