Prison Break – Seconda Stagione
Prima della pausa che priverà i fan di Prison Break di nuove puntate della seconda, straordinaria stagione fino a gennaio, (e visto che il sottoscritto è finalmente riuscito a pareggiare la programmazione americana) sembra giusto dedicare un post riassuntivo che permetta ai fan di Michael Scofield di fare quattro chiacchiere anche qui. Inutile dire che
Prima della pausa che priverà i fan di Prison Break di nuove puntate della seconda, straordinaria stagione fino a gennaio, (e visto che il sottoscritto è finalmente riuscito a pareggiare la programmazione americana) sembra giusto dedicare un post riassuntivo che permetta ai fan di Michael Scofield di fare quattro chiacchiere anche qui.
Inutile dire che quanto segue è spoiler per chiunque stia seguendo la prima stagione, in dirittura d’arrivo su Italia1.
Continuate, dunque, a vostro rischio e pericolo.
La seconda stagione di Prison Break inizia esattamente dove eravamo rimasti. La fuga è riuscita, ma non come Michael l’aveva pianificata. Appare evidente fin dal primo istante che avere otto fuggiaschi in giro per gli Stati Uniti d’America (Fox River’s Eight) è produttivamente e narrativamente parlando un’operazione rischiosissima.
La posta si alza – e se c’è una cosa che riesce bene al team produttivo di Prison Break è proprio alzare la posta – perché il carcere si trasforma in tutta la nazione, una nazione corrotta e avvelenata dal Complotto (quello con la C maiuscola, se ci fosse ancora bisogno di evidenziarlo).
Naturalmente c’è bisogno di un obiettivo comune per riunire i fuggiaschi, e l’obiettivo è una somma niente male: i famosi 5 milioni di dollari sotterrati in un punto (im)precisato nello Utah.
Anche se il rischio di cadere nell’inverosimile (vedi la mano di T-Bag che tanta polemica ha suscitato fra i fan increduli, e che invece, soprattutto per come si risolve nell’undicesima puntata) è dietro l’angolo, la sensazione – a differenza di quel che sta accadendo in Lost, per esempio – è che la materia narrativa sia pienamente sotto controllo. Splendido, in episodio 12, il flashback che in qualche modo spiega la spiccata attitudine di Michael per l’analisi degli oggetti nelle loro caratteristiche strutturali e per il desiderio di fuga.
C’è davvero tutto, in questa seconda stagione di Prison Break. C’è l’amore, c’è il concetto – che, fateci caso, è caro a tutta una fetta di successo della lunga serialità americana – della mancanza di salvezza e di perdono, della macchia anche nell’animo di quelli che un tempo sarebbero stati eroi immacolati. C’è il controllo, la fuga, questa narrazione che si piega e si ripiega su se stessa come un origami, e poi c’è la grande lotta fra i due antagonisti più smart che si potessero immaginare, ci sono personaggi a tutto tondo, è il trionfo del multistrand. Ci accontentiamo, per ora, di parlarne così, in attesa del secondo blocco di episodi che ci condurranno verso il season ending, e della edizione italiana, sperando di farvi cosa gradita e di fornire qualche spunto di discussione agli appassionati.