Gli ascolti tv di A Riveder le Stelle soddisfano la Rai. Questa anomala Prima della Scala 2020, iniziata alle 16.45, ha registrato nella presentazione di 8′ con Bruno Vespa e Milly Carlucci 2.116.000 telespettatori col 15,97% di share, mentre l’evento in onda dalle 16.56 alle 19.51 ha ottenuto 2.608.000 telespettatori, 14,65%.
Un dato che in termini assoluti registra un lieve calo rispetto alla Prima della Scala del 2019 che con l’attesa Tosca (too much) di Livermore – aperta da un lunghissimo applauso a Mattarella nell’anno difficile della crisi di governo – raccolse una media di 2.856.000 telespettatori per uno share del 15%. Siamo sul podio degli ascolti per una Prima della Scala in diretta Rai: in termini assoluti si posiziona alle spalle della Madama Butterfly di Puccini presentata nel 2016, prima opera in diretta su Rai 1 dopo gli anni live su Rai 5, che ottenne una media di 2.644.000 telespettatori, per il 13,48% di share tra le 17.45 e le 21.00, ma sullo share lo supera.
Rai soddisfatta anche dai dati di RaiPlay che ha fatto registrare 16.000 spettatori nel minuto medio (dati Auditel Digital) ed oltre 100.000 complessivi durante il live. Nel dettaglio, A riveder le stelle è stato visto su RaiPlay da 111.000 spettatori durante il live, con un +104% rispetto alla Prima del 2019, mentre l’on demand ha fatto registrare 82.000 spettatori e 135.000 visualizzazioni, con un incremento dell’85% rispetto allo scorso anno.
Prima Scala 2020 – A riveder le stelle è un puro evento tele-scenico: seene e spazio teatrale fagocitano il resto (ma funziona)
La Prima della Scala 2020 è stata principalmente un evento televisivo e da questo punto di vista può dirsi riuscito. Questo in estrema sintesi.
Andando più nel dettaglio direi “Scenografia (e il resto scompare)”: se mi si concede la citazione pop (del resto l’opera era la quintessenza del popolare) direi che l’elemento dominante di questa Non-Prima della Scala 2020 è dato dalle scene e dalle luci, dall’impianto scenico di Giò Forma alle scenografie digitali di D-Wok, insieme alla bellezza del teatro ‘scompaginato’. L’orchestra in platea, protagonista dell’apertura e di inquadrature che ne esaltano la maestosità, dà un sapore diverso a questo spettacolo nato per la televisione. E si vede. Ed è già una cosa.
Va però detto che poi l’orchestra quasi scompare, fagocitata dal palcoscenico che torna a essere il fulcro di tutto. Una cosa normale in teatro ma in questo caso c’è di più: questo evento nasce esclusivamente per la tv, se ne è consapevoli e lo si fa vedere. Viene costruito con l’idea che a colpire debbano essere le immagini più che il resto: e se questa non era l’idea originaria, allora qualcosa è sfuggito di mano, ma per il piacere degli occhi. Il vagone del Don Carlo, la citazione preraffaelita per la Turandot, l’uso di Vettriano sulla Lucia di Lammermoor sono tra le trovate più interessanti e visivamente ‘coinvolgenti’ tra le tante proposte per accompagnare le arie in programma. Altre certo discutibili, come gli asteroidi sul Nessun Dorma, clou e gran finale della parte lirica. Ma la sensazione generale di attenzione per la resa televisiva resta alta per tutto lo spettacolo, anche se la regia in quanto tale è stata davvero minima, fagocitata anch’essa dalla scena. Non si riesce, invece, a ‘zittire’ Roberto Bolle in una coreografia contemporanea di grande impatto, così come il passo a due dello Schiaccianoci: là dove la scena deve silenziarsi, parlano i corpi e le interpretazioni, lasciate invece sullo sfondo nelle parte più quisitamente lirica: le voci dei protagonisti, sia pur potenti, diventano quasi un ‘sottofondo’ all’immagine.
Se il principio della centralità dell’immagine, vista la natura squisitamente televisiva del ‘progetto’, appare decisamente marcato, sfugge l’idea narrativa complessiva senza l’accompagnamento e la guida del programma di sala. Per chi è meno addentro all’opera, però, un certo sottotesto politico emerge proprio da alcune scelte sceniche e da alcuni raccordi di scena: che l’impianto sia legato al ‘dopoguerra’, alla resistenza, alla lotta appare dalle arie scelte e da certe scelte scenografiche. Penso alla Casa Bianca distrutta e in fiamme sul Credo di Otello (seguita da Massimo Popolizio che recita Odio gli indifferenti di Gramsci), la scrivania ‘a stelle e strisce0 di Francesco Meli in Forse la soglia attinse… dalla Turandot, Domingo circondato da microfoni e da volti che hanno lottato per il bene comune, la stessa apertura con la Solano in tuta da operaia con scopettone che intona Fratelli d’Italia: gli elementi per una lettura dei contenuti politici, intesi come sociali, comunitari e non partitici, ci sono tutti. Se poi fossero sfuggiti, ci pensa la chiosa di Davide Livermore a chiarirli, collegando la riapertura della Scala dopo la Seconda Guerra Mondiale a questo evento anomalo che però, come allora, vuole sottolineare la necessità dell’arte come strumento principe della rinascita individuale e soprattutto collettiva.
“L’arte, ci rende migliori, dà il senso della nostra umanità. Anche oggi ripartiamo da qua, dall’arte, dal teatro alla Scala. Solo con l’arte si può pensare tutti insieme di ritornare a riveder le stelle”
esorta Livermore, portavoce di un mondo zittito dalla Pandemia e soprattutto dalle misure anti-Covid. E in attesa di capire bene che cosa intende fare il Governo per farlo sopravvivere.
Si chiude con un elemento di ottimismo, sottolinea Vespa nella chiusura televisiva dello spettacolo, con il “Tutto cangia, il ciel s’abbella” dal Guglielmo Tell di Rossini. La mia persinalissima formazione televisiva ha invece percepito in questa scelta non tanto la dimensione narrativa dell’apertura alla speranza, quanto un ulteriore omaggio alla natura televisiva di questo spettacolo con le note che segnavano l’apertura e la chiusura delle trasmissioni della Rai monopolista. Sarò considerata eretica e liricamente laica, me ne rendo conto. Intanto le emozioni sono arrivate più che altro dalla parte visiva: voci splendide, partiture perfette in uno spettacolo interamente registrato e post-prodotto che ovviamente porta al minimo il coinvolgimento e la partecipazione emotiva anche dei melomani più incalliti. Resta un programma registrato, con i suoi vantaggi televisivi e suoi svantaggi sul piano dell’emozione vissuta: del resto non è una Prima della Scala e non può esservi paragonata sotto nessun punto di vista. Ma è stato uno spettacolo ragionato, ben sponsorizzato e dal forte valore simbolico, che Livermore ha voluto sottolineare nella scelta musicale e anche nella resa visiva. Una sorta di appello perché non ci si dimentichi di cosa è, fa, rappresenta l’arte, tutte le arti che qui si sono volute rappresentare, dalla danza al cinema, dalla letteratura alla musica, dalle figurative (tv compresa) al canto. E anche le arti ‘politiche’, quelle rivolte al bene della collettività.
Ad maiora.
Prima Scala 2020 – A riveder le stelle, la diretta tv su Rai 1
La Prima della Scala 2020 è di sicuro una ‘prima’ per il massimo scaligero: da 70 anni, infatti, il 7 dicembre ha significato l’inaugurazione della stagione lirica con un grande titolo operistico in un maestoso e trionfale allestimento musicale e registico. Questa volta, invece, si è cercato di fare di necessità virtù, con un progetto (come viene chiamato a ogni pie’ sospinto) voluto da Davide Livermore “che vuole trasformare un momento di dolore in un momento di rinascita nella bellezza, quella che ci salverà“.
Milly Carlucci e Bruno Vespa, che conducono il pomeriggio televisivo, non fanno che sottolineare la portata artistica e simbolica di questa Prima “affatto sottotono” come dice Milly. Il programma di sala spazia tra 15 titoli d’opera che coprono circa 100 anni di musica e scelti sulla base delle voci partecipanti: una selezione che richiede all’orchestra e al suo direttore Riccardo Chailly una versatilità e una preparazione ancor più minuziosa del solito. La necessità di mantenere il distanziamento riscrive poi lo spazio teatrale con una rivoluzione che vede l’Orchestra completamente in platea e il coro sui palchi. Altra eccezionalità, il direttore d’orchestra dà sempre le spalle ai cantanti. Un allestimento ancor diverso da quello pur suggestivo e simbolico de Il Barbiere di Siviglia di Martone, che ha mantenuto la centralità del Golfo Mistico (con i maestri e il direttore in maschera nera) e ha fatto del resto del teatro una sola grande scena che ha coinvolto anche il dietro le quinte. Ed è proprio l’allesimento teatrale a fare di questa Prima della Scala un evento davvero unico e (si spera) non ripetuto.
Niente toilettes sgargianti, niente jet set internazionale per i corridoi del teatro, come sottolinea con un certo rammarico Bruno Vespa che non rinuncia allo smoking, mentre la Carlucci opta per un elegante e sobrio tailleur nero: e si conferma la tendenza retorica e barocca di Vespa vs l’asciuttezza pragmatica del generale Carlucci.
Fa una certa impressione veder scorrere nella lista dei compositori Puccini, Rossini, Verdi e Davide “Boosta” DiLeo…
L’inizio con la Solano che canta, recitando, l’Inno d’Italia che tradizionalmente apre la serata,vestita da inserviente della Scala è un mix ben riuscito di omaggio ai lavoratori e alla magia dell’inno, continuato poi dal Coro (mascherinato) e dall’Orchestra.
Tutto registrato, inevitabilmente, il che toglie l’emozione della Prima. Per introdurre la musica si scelgono le parole di Ezio Bosso a Propaganda Live, nell’intervista concessa lo scorso anno. Una bella scelta. Ma gli intermezzi recitati sono veramente inutili, retorici, pesanti: quel che si vuole dalla Prima della Scala è la musica, è l’opera, la voce, l’emozione della lirica, non questi frammezzi, per quanto si capisca abbiano una funzione ‘scenico-narrativa’, a ‘giustificare’ il cambio scena e soprattutto il cambio opera.
E poi via, spazio alla bellezza di un teatro che appare in tutta la sua maestosità grazie all’illuminazione di Giò Forma e alla musica.
Rompe il ghiaccio Luca Salsi con Cortigiani, vil razza dannata, dal Rigoletto di Verdi.
AVittorio Grigòlo è affidata La Donna è Mobile, dal Rigoletto di Verdi.
Che bella anche la scena del Don Carlo: gli effetti del digitale sulla lirica…
Dal Don Carlo arrivano anche Per me è giunto il dì supremo… Io morrò, col baritono Ludovic Tezièr e subito dopo Elīna Garanča in O don fatale.
Dopo l’apertura con Verdi si passa alla Lucia di Lammermoor di Donizetti che avrebbe dovuto aprire la stagione ‘regolare’ 2020-2021 della Scala. La soprano Lisetta Oropesa canta Regnava il silenzio. E la citazione di Jack Vettriano è stupenda.
Tu? Tu? Piccolo iddio! de La Madama Butterfly (Puccini) per la soprano Kristine Opolais.
Popolizio racconta il rapporto tra cinema e lirica: e Il Barbiere di Siviglia di Martone può dare lezioni. “L’opera e il cinema sono luoghi in cui gli spettatori possono sospendere la loro incrdulità e lasciarsi andare alla meraviglia” dice Popolizio. E nella Cinecittà dei Peplum è ambientato il Don Pasquale di Donizetti con Quel guardo il cavaliere e So anch’io la virtù magica cantate dalla soprano Rosa Feola.
Con questo tipo di scene l’orchestra scompare, ma le scene sono di grande potenza. Si è voluto fare un evento televisivo e lo si sta facendo. Sempre Donizetti con Una furtiva lagrima da Elisir d’amore, sempre in questa scena da Dopoguerra, cantata dal tenore Juan Diego Florez.
L’orchestra torna a farsi vedere per accompagnare l‘Adagio dal Grand Pas de Deux de Lo Schiaccianoci, nella coreografia di Nureyev eseguito dal primo ballerino della Scala Timofej Andrijashenko e da NIcoletta Manni. Ma hanno montato un braccio in teatro?
Arriva Aleksandra Kurzak per Signore, ascolta! dalla Turandot di Puccini. A far da sfondo ispirazioni preraffaelite.
E via la sveglia con il Preludio della Carmen di Bizet. Mascherine bianche per i maestri d’orchestra. L’amour est un oiseau rebelle con Marianne Crebassa e La fleur que tu m’avais jetée con Piotr Beczala completno la scelta per la Carmen. E poi si torna a Verdi con Un ballo in maschera, con la soprano Eleonora Buratto in Morrò, ma prima in grazia, quindi col baritono George Petean in Eri tu e infine col tenore Francesco Meli in Forse la soglia attinse… in un allestimento ‘politico’.
Si passa al Werther di Jules Massenet con Benjanin Bernheim in Pourquoi me réveiller.
Danza contemporanea sulle note di Davide “Boosta” DiLeo ed Erik Satie con Roberto Bolle in Waves.
Vabbè, Gymnopédie si Satie e Roberto Bolle: vi piace vincere facile.
Si continua a danzare con una ‘Verdi suite’, una prima rappresentazione assoluta col corpo di ballo della Scala e musiche di Giuseppe Verdi.
Il baritono Carlos Avarez si dedica a un Credo da Otello in uno scenario apocalittico con la Casa Bianca in fiamme… La mandiamo a dire leggera.
E subito dopo Massimo Popolizio che recita Odio gli indifferenti di Antonio Gramsci.
Rivedere Placido Domingo è un piacere: per lui Nemico della patria dall’Andrea Chénier di Umberto Giordano.
E sullo sfondo appaiono i volti di uomini e donne che hanno combattuto per cambiare il mondo, un pantheon che va da Gandhi a Falcone e Borsellino…
Sempre dall’Andrea Chenier La Mamma Morta cantata dalla soprano Sonya Yoncheva.
Si va verso il gran finale: al tenore Roberto Alagna va E lucean le stelle, da Tosca di Puccini.
Marina Rebeka canta Un bel dì, vedremo da Madama Butterfly, sempre di Puccini.
Nessun Dorma dalla Turandot con Piotr Beczala: il finale è vicino.
Davide Livermore ricorda la riapertura della Scala dopo la guerra, l11 maggio 1946:
“Quella fu una festa di popolo, oltre il dolore di una giovane generazione mandata in guerra, perché la musica va oltre il dolore, oltre le divisioni politiche”. E quello di Livermore è un discorso politico, di unità: “Questo fa l’arte, ci rende migliore, dà il senso della nostra umanità. Anche oggi ripartiamo da qua, dall’arte, dal teatro alla Scala. Solo con l’arte si può pensare tutti insieme di ritornare a riveder le stelle”.
Bello il discorso di Livermore, che accompagna l’epilogo di questo spettacolo musicale pensato per la tv. E non credo sia un caso si chiuda con “Tutto cangia, il ciel s’abbella” dal Guglielmo Tell di Rossini che è poi anche la sigla che era usata per l’inizio delle trasmissioni Rai. Vabbè, mi è partito il brivido.
Ma davvero applausi per questo finale, mentre scorrono le immagini di Milano. Ma perché questa coda con Bruno Vespa e Milly Carlucci? Era perfetto con il Guglielmo Tell. Ma c’è lo spiegone finale. E si chiude alle 19.51.
Prima Scala 2020 – A riveder le stelle, un evento solo televisivo su Rai 1: anticipazioni e programma
Il Teatro alla Scala non rinuncia alla sua tradizionale Prima del Cartellone Lirico per Sant’Ambrogio: doveva esserci la Lucia di Lammermoor, ma il Covid non ha voluto. E così la Prima della Scala 2020 diventa un appuntamento speciale, ideato e costruito esclusivamente per la tv, in onda lunedì 7 dicembre dalle 17.00 in diretta su Rai 1 e live anche su RaiPlay e su Radio3. Un modo per rinnovare la tradizione della Prima della Scala in Rai, ormai più che decennale, e per dare un segno di vitalità non solo della lirica, ma del settore teatrale, messo a dura prova da un lockdown che dura da marzo.
Non vedremo quindi un’opera integrale in diretta dalla Scala, ma un ‘recital’ con ben 23 voci della lirica mondiale accompagnate dall’Orchestra e il Coro del Teatro, con la direzione musicale di Riccardo Chailly e la regia di Davide Livermore. Due ore e 45′ di programma, al via dalle 16.45 per l’anteprima tv.
La parte televisiva ritrova alla conduzione Milly Carlucci per il quinto anno consecutivo: senza pubblico, senza foyer, senza mises, senza anima mondana il racconto sarà essenzialmente concentrato sulle esibizioni e sulla storia del teatro, della lirica e delle arti, ma anche delle maestranze, dalla sartoria al trucco, findamentale per la riuscita di un allestimento teatrale, ancor di più operistico. Non essendo tra gli invitati, sarà Bruno Vespa ad affiancare Milly Carlucci: del resto già negli scorsi anni era un ospite fisso dello spazio tv tra un atto e un altro.
Il titolo scelto è A riveder le stelle, un augurio e una speranza perché si riesca a uscire dall’incubo Covid con l’ultimo verso de L’Inferno, nel 700esimo anniversario della morte di Dante Alighieri.
Prima della Scala 2020, A riveder le stelle: cosa vedremo
Come dicevamo, si alterneranno sul palco 23 voci liriche che porteranno nelle case degli italiani estratti di opere di Giuseppe Verdi, Gaetano Donizetti, Giacomo Puccini, Georges Bizet, Francesco Cilea, Jules Massenet, Richard Wagner e Gioachino Rossini. I vari momenti saranno intervallati e collegati da testi recitati da diversi attori ospiti. Il programma integrale dell’evento è sul sito del Teatro (e ha tanta pubblicità).
In questa unione di arti, non manca certo la danza, cara alla Scala. Nella parte dedicata al balletto, con le musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij e Davide Di Leo e la direzione dell’orchestra di Michele Gamba, si esibiranno l’étoile Roberto Bolle, i primi ballerini Timofej Andrijashenko, Martina Arduino, Claudio Coviello, Nicoletta Manni e Virna Toppi e i solisti Marco Agostino e Nicola Del Freo. Le coreografie sono di Manuel Legris, Rudolf Nureyev e Massimiliano Volpini.
Senza pubblico in teatro, si è pensato anche a una diversa scenografia: l’Orchestra viene sistemata al centro della platea, anche per garantire quello spazio tra i maestri che il golfo mistico non permetterebbe, così come gli artisti si esibiranno non solo sul palcoscenico, ma anche dai palchi e dai diversi spazi del teatro. L’impianto scenico è firmato da Giò Forma con Davide Livermore, le luci da Marco Filibeck e le scenografia digitali da D-Wok.
Rilievo particolare anche ai costumi: un accordo tra il Teatro alla Scala e la Camera della Moda fa sì che alcuni dei più prestigiosi stilisti italiani vestano gli artisti in palcoscenico, con il coordinamento del costumista Gianluca Falaschi.
Prima della Scala 2020, A riveder le stelle: le voci
Protagonisti sul palco Ildar Abdrazakov, Roberto Alagna, Carlos Álvarez, Piotr Beczala, Benjanin Bernheim, Eleonora Buratto, Marianne Crebassa, Plácido Domingo, Rosa Feola, Juan Diego Flórez, Elīna Garanča, Vittorio Grigolo, Jonas Kaufmann, Aleksandra Kurzak, Francesco Meli, Camilla Nylund, Kristine Opolais, Lisette Oropesa, George Petean, Marina Rebeka, Luca Salsi, Andreas Schager, Ludovic Tézier e Sonya Yoncheva.
Prima della Scala 2020, la produzione
La serata è realizzata dal Centro di Produzione Tv Rai di Milano e si avvale di un gruppo di registi televisivi coordinati da Stefania Grimaldi. L’impianto tecnico è sicuramente meno imponente di quanto visto per le dirette della Prima della Scala degli altri anni, ma si avvale comunque di dieci telecamere e soprattutto di 50 microfoni, con diverse aree del teatro da coprire. Come detto, la trasmissione su Rai1 è presentata per il quinto anno consecutivo da Milly Carlucci, con il commento di Bruno Vespa, per la prima volta in veste di ‘commentatore fisso’ e non ospite dal Foyer.
Prima della Scala 2020, come seguirla in tv
A riveder le stelle viene trasmesso in diretta in Italia su RAI 1, RAI 1 HD e su RAI Play, mentre in radio su Rai Radio 3. Diretta tv anche per la Francia (e altri Paesi di lingua francese) e la Germania (e Paesi germanofoni) su Arte Concert, in Repubblica Ceca in onda su Ceska Televize, nelle Americhe, Australia, Africa, Spagna, Portogallo, Nord Europa, Turchia, Albania, Svezia su Medici TV. Trasmissione in differita in Italia su RAI 5, in Francia su Arte TV, in Repubblica di Corea su Il Media, in Slovenia su RTV Slovenija, in Russia su TV Kultura, in Ungheria su MTVA, in Serbia su RTS, in Cina su CCTV e in Giappone.
Prima della Scala 2020, Second Screen
Al consueto hashtag #PrimaScala si aggiungono quest’anno #WeAreLaScala e #Ilmio7Dicembre. Informazioni dettagliate come sempre sul sito del Teatro alla Scala e sui suoi profili social.