Speciale Meraviglie a Pompei, l’evento tv è un’opera d’arte (e di téchne)
Alberto Angela torna a Pompei ma riesce a raccontarla in un modo ancora diverso: lo Speciale Meraviglie è τέχνη allo stato puro. E dopo il piano sequenza di due ore non resta che la diretta…
Diciamolo subito: lo Speciale Meraviglie che ci ha portato a visitare le nuove scoperte di Pompei è un capolavoro di arte e tecnica. Potremmo dire di Arte narrativa e di Tecnica cinematografica, ma faremmo un torto alla cultura classica: tecnica è arte nel mondo classico e quel che è andato in onda ieri sera su Rai 1 è l’essenza stessa del concetto di ars latina e di τέχνη greca. Mi spiego meglio: per ‘noi’ oggi Arte e Tecnica sono due cose distinte, ma nel mondo greco le téchnai erano proprio le arti così come le intendiamo adesso. Senza pretese di approfondimenti scientifici o di intenti divulgativi, la téchne rappresentava l’abilità, la capacità di realizzare manufatti, opere, a regola d’arte. E non si può certo dire che questo Speciale Meraviglie tutto realizzato in piano sequenza, con due ore ininterrotte di narrazione intrecciata a interviste, effetti speciali, testimonianze, non rientri appieno nel concetto di τέχνη classica, di opera artistica perché realizzata con una sapienza e una maestria da assoluto capolavoro. E se ci aggiungiamo che Τέχνη è la “personificazione divina dell’arte (…) rappresentata come una fanciulla alata che indica a Teti lo scudo preparatole da Efesto per Achille, in una pittura pompeiana (Casa di Sirico)” diciamo che il cerchio si chiude.
Un evento tv ‘sottostimato’?
Ho il timore che in molti – tra pubblico e ‘critica’ – non abbiano pienamente afferrato la portata di questo evento tv che ha portato sul piccolo schermo, in una prima serata di fine stagione, un racconto minuzioso, dettagliato, appassionante della vita dei pompeiani a ridosso dell’eruzione del 79 d.C realizzato in un unico piano sequenza lungo due ore, senza interruzioni pubblicitarie. Un trattamento che si riserva solo ai grandi eventi, ai contenuti davvero esclusivi.
Per qualcuno saranno ‘solo’ “due ore di Alberto Angela che parla e cammina“: vuol dire non avere nessuna idea di cosa sia una messa in scena. Di cosa sia l’arte in sé.
Nello stesso tempo, il fatto che molti non si siano (ancora?) resi conto di quello che questo Meraviglie ha rappresentato nella storia del racconto tv è un ulteriore elemento di merito per questo Speciale: nulla è più complesso della semplicità. E se si riesce a far sembrare ‘normale’ un racconto senza stacchi e senza pause (dicci, Alberto, hai bevuto piccoli sorsi d’acqua di nascosto mentre la camera indugiava su qualche dettaglio, vero?) allora vuol dire che l’impresa è perfettamente riuscita.
Di “schiaffi e carezze”: la costruzione narrativa di un capolavoro
Mi verrebbe da dire che sono due gli assi portanti di queste due straordinarie – ma non irripetibili, conoscendo Angela e la sua squadra delle Meraviglie – ore di racconto: la forza stessa di Pompei, capace di “schiaffi e carezze” perché a ogni meraviglia artistica fa da contraltare la costante presenza della morte, e lo ‘svelamento’ dell’inedito che passa sì per i luoghi mai visti della città (o pronti a riaprire, come la casa dei Vettii), ma soprattutto per il lavoro che c’è dietro al recupero, testimoniato dal lavoro degli archeologi. E in cui entra, ovviamente, anche il racconto dell’impresa tv.
Per ore abbiamo sentito la voce di Alberto Angela raccontare la vita quotidiana degli antichi abitanti di Pompei, la disgrazia in cui era caduta a causa dei frequenti terremoti che precedettero l’eruzione del Vesuvio, le trasformazioni di un luogo che ancora oggi è vivo perché continua a parlare di sé; e infatti, nello stesso tempo e davvero senza soluzione di continuità, Angela ci ha fatto vedere le voci (con un ossimoro che lui stesso ha evidenziato in puntata) dei pompeiani che continuano a raccontarsi, visitando, per noi e con noi, i cantieri aperti. Insulae ancora sepolte dai lapilli di 2000 anni che progressivamente vengono alla luce grazie al certosino lavoro di spennellamento degli archeologi, di recupero dei restauratori, di consolidamento degli ingegneri: anche questa è τέχνη allo stato puro. Ed è anche emozione allo stato puro. Poter vedere, dopo 2000 anni, la mano di un bimbo ricalcata a carboncino su una parete di casa accanto ai gladiatori disegnati forse dallo stesso bambino su quel muro vuol dire anche sentire le urla della mamma o della tata; e poco distante si distingue la mandibola di un essere umano, unico resto di un corpo distrutto dal flusso piroclastico che investì la città: mai prima d’ora il pubblico tv era stato testimone di questo ‘dietro le quinte’ del racconto pompeiano. Proprio il blocco realizzato nel cantiere esprime, a mio avviso, in maniera piena la chiave narrativa scelta per questo ennesimo viaggio a Pompei. Ma Alberto Angela riesce a raccontarla in modi sempre diversi.
La Pompei 3D di Alberto Angela
Il tratto distintivo di Alberto Angela a Pompei è sempre stato la tridimensionalità: lo riscontrammo anche quando lo vedemmo girare di notte per le strade della città facendone rivivere le abitudini e il quotidiano in uno Stanotte a… che resta uno dei migliori del ciclo. La tridimensionalità è ancora più potente in questo speciale Meraviglie, anche grazie al piano sequenza: una delle intenzioni della vigilia era quella di dare al pubblico tv la sensazione di stare in giro con Angela e i suoi ospiti, di visitare con lui i luoghi inaccessibili ai più, di guardare da vicino quel che normalmente si supera con superficialità passeggiando per ore sotto il sole cocente o sotto la pioggia, senza riparo, di Pompei. E il fiatone è connaturato a questo tipo di visita. Camminare sul lastricato di Pompei da turista è già faticoso; non oso pensare cosa sia farlo parlando ininterrottamente per due ore, mantenendo la concentrazione e sapendo che non c’è uno ‘stop’ a salvarti dalle cadute…
Ancor di più onore e gloria ai cameramen – e ai tecnici – che hanno percorso quelle strade a marcia indietro. L’altro ingrediente fondamentale della tridimensionalità è stato il racconto del lavoro di scavo: come in un palinsesto antico, la stratificazione delle storie personali, della vita, della morte, del quotidiano e dell’eccezionalità della distruzione emergono in tutta la loro profondità. Alberto Angela è riuscito così a raccontare Pompei, uno dei luoghi più studiati e narrati del mondo, in un modo del tutto inedito.
Pompei è bella, certo, ma sono stata rapita da tre cose…
Due sono i termini che Angela ha pronunciato più spesso: il primo è l’aggettivo “commovente”, riferendosi alla bellezza delle opere recuperate ma soprattutto alla possibilità unica di far rivivere storie e persone rimaste cristallizzate nei millenni; il secondo è il verbo “inquadrare”, anche nella forma sostantivale “inquadramento”, usato per lo più con valore di ‘contestualizzazione’. Ebbene, sia stato un caso dovuto al flusso o sia stata una scelta testuale meditata nella lunga preparazione, questi due termini rappresentano la quintessenza stessa di questo Speciale: il lavoro di ripresa e di racconto che rendono questo Meraviglie un caso di studio per chiunque lavori su – e ami – la tv.
Per quanto Pompei e le sue Meraviglie siano ipnotiche, nelle due ore dello speciale non sono riuscita a pensare ad altro che a tre cose, strettamente correlate tra di loro:
- la (sovrumana) capacità affabulatoria di Alberto Angela, che riesce a tenere il filo del racconto per due ore senza anacoluti o cambi di progettazione tematica e che provvede anche a tenere dritta la barra del ritmo tv: nelle interazioni con gli ospiti – di per sé gia brevissime per evitare errori da parte di chi poteva facilmente farsi prendere dall’emozione – Angela non ha esitato a intervenire per riordinare il racconto o per ridare slancio a un parlato calante. Se non è maestria questa…
- la bellezza della scrittura: non è certo una novità per i prodotti di Alberto Angela e della sua squadra, ma forse in questa occasione – complice l’impossibilità di gobbi e di ciak ripetuti – si è potuta apprezzare ancora di più la ‘scaletta’ narrativa della puntata. Degli ‘assi portanti’, almeno per quel che nella mia interpretazione, abbiamo parlato prima, ma qui evidenzierei anche quel tocco tutto ‘angeliano’ di costruire paragoni sempre efficaci, estremamente popolari, ma mai cringe. La “Beverly Hills” di Pompei, la “Via dell’Abbondanza” che diventa “il Corso”, il commento con gli amici al bar dopo lo spettacolo dei gladiatori o il locale per bere qualcosa dopo il concerto, le diverse anfore di vino provenienti da diverse aree del Mediterraneo che diventano quel che oggi potremmo trovare in una enoteca: è tutto assolutamente contemporaneo ed è il miglior modo per far capire a tutti che non siamo diversi né dagli altri, né da quelli che siamo stati. In fondo il mondo classico non è lontano da noi. E poi quel richiamo continuo ai dettagli, in una circolarità di racconto che è tipica di Angela: la mano che spunta dai lapilli – prima che fosse recuperato tutto lo scheletro di qualcuno che era morto cercando rifugio dall’eruzione nell’androne di una domus – diventa quella dipinta dal bambino sul muro di casa e ancora quella di Elle che cerca l’aiuto del fratello Frisso per non annegare nell’affresco ritrovato nella Casa di Leda lo scorso febbraio, che a sua volta diventa quella di un migrante che oggi cerca salvezza, giusto per fare un esempio.Ma l’espressione che resta indelebile è quella che vien fuori, quasi incontrollata, quando Angela racconta del giro di influenze e collusioni tra banchieri e imprenditori per definire chi dovesse essere eletto: niente di nuovo sotto il cielo… 3. Ultima, ma di certo non ultima, la tecnica di ripresa: sono rimasta per due ore maniacalmente attaccata allo schermo per capire dove fossero eventuali ‘stacchi digitali’, come era possibile passare da un crane a una ripresa a mano, dove Alberto Angela si era potuto rinfrescare, da dove poteva scendere il cameraman per esplorare i vari livelli di una domus. Ero ipnotizzata come un bimbo di fronte a una magia.
Ode alla squadra che fece l’impresa (e ora non resta che la diretta)
Per chi studia e ama la tv, l’anteprima dello Speciale Meraviglie, la sua conclusione e il backstage con cui si è chiusa la puntata sono i momenti più emozionanti, quelli davvero eccezionali, quelli che più di tutti testimoniano lo sforzo produttivo di queste due ore. La ripresa circolare dell’inizio, nell’Odeion – da cui tutto ha poi origine -, unita all’esultanza delle oltre 50 persone che hanno lavorato perché la bellezza prendesse forma sono state un giusto, e non solo doveroso, riconoscimento alla squadra che ha fatto l’impresa. L’esultanza del fonico di presa diretta al “Ce l’abbiamo fatta!” liberatorio è commovente: si pensa alle riprese, certo, ma se non si sente quel che viene detto è tutto inutile.
Tre cameramen che si sono alternati alle riprese dandosi il cambio nel momento delle riprese fisse, tre crane posizionati in diversi punti di Pompei per permettere le riprese aeree grazie a un sistema di sganciamenti rapidi e di tecnologie ad altissima stabilizzazione, tecnici luci posizionati nei diversi set per permettere le riprese migliori: il breve filmato di backstage ha dato giusto una scorsa rapidissima a quel che ha implicato questo lavoro. E per la prima volta niente droni: quel che è uno dei marchi di fabbrica del racconto di Alberto Angela (e di cui abbiamo tessuto le lodi in più occasioni) qui ha lasciato il posto alla ripresa ‘vecchio’ stampo. Un’altra eccezione di questo speciale. E un infinito plauso a tutta la squadra del CpTV di Napoli e al regista, Gabriele Cipollitti.
A rendere tutto fluido, oltre alla professionalità in campo e alla disponibilità – da sottolineare – della sovrintendenza di Pompei – anche 15 giorni di prove e di sopralluoghi: ogni passaggio è stato studiato, pensato, disegnato e soprattutto eseguito. Una vera e propria coreografia tra parole, immagini ed effetti. Non si è rinunciato neanche agli inserti fictional o agli effetti speciali, aggiunti in post produzione e integrati nel racconto senza stacchi ma attraverso schermi posizionati in punti strategici. Le prove, lo studio, la quintessenza della Meraviglia. Ora non resta che la diretta…
La lezione (non intenzionale?) delle Meraviglie di Angela
Come sempre, ogni appuntamento con Alberto Angela, così come con il padre – di cui ricordiamo ancora la magnifica lettera di commiato dai suoi telespettatori – è intessuto di impegno civile e politico. Non che sia una volontà manifesta, né un obiettivo esplicito, ma è connaturata al lavoro stesso e al modo con cui viene portato a termine, improntato alla professionalità e alla preparazione. Quanto di più lontano ci possa essere dalla presunzione dell’ignoranza e dal pressappochismo dilagante.
In questi speciali, come in quest’ultimo, si parla di razzismo, di accoglienza, di politica, di malaffare, di economia… La conoscenza è politica. La divulgazione è politica. La cultura è politica. Lo studio è ricchezza. La preparazione è bellezza. E le parole, insieme ai silenzi e alle espressioni, sono importanti, sempre. Sono questi, in fondo, gli insegnamenti più profondi dei prodotti di Alberto Angela & Co…