Pino Strabioli a Blogo: “Farei il DopoFestival. Sala A di Via Asiago a Rispoli? D’accordo con Fiorello”
Pino Strabioli torna in tv con In Arte, poi a febbraio toccherà al nuovo ciclo di Grazie dei fiori: “Andremo in seconda serata e non ci occuperemo più di Sanremo per scelta della rete. Il DopoFestival? Lo farei. D’accordo con Fiorello per l’intitolazione della Sala A a Rispoli”
“Cerco sempre di scegliere le persone da intervistare, mi devono interessare”. Perché per Pino Strabioli, in questi casi, vale soprattutto il rapporto che si riesce ad instaurare con il proprio interlocutore: “Enzo Biagi diceva che chi intervista dovrebbe preparare una sola domanda, la prima. Una volta fatta quella dovrebbe mettersi all’ascolto”.
Di nuovo in onda su Rai 3 con In Arte, il conduttore torna a dedicarsi alle protagoniste della musica italiana con due appuntamenti dedicati rispettivamente ad Ornella Vanoni, domenica 1 dicembre, e Gianna Nannini una settimana dopo.
Un percorso avviato con Patty Pravo e proseguito con Mina, che vedrà Strabioli cimentarsi con le insidie di una collocazione in prime time. “Non ho la smania di essere in prima serata – racconta a TvBlog – l’importante per me è fare delle cose che amo. Inoltre non sopporto l’ansia degli ascolti. Se non ce l’hai te la fanno venire, come se il tuo progetto dipendesse solo dai numeri”.
Un’ulteriore sfida, come quella affrontata tempo fa con il mondo della musica. “Non mi ero mai occupato di questo settore prima di Grazie dei Fiori, per me è stata una scoperta. Ho capito che raccontare la musica e i cantanti crea un rapporto intenso e diretto coi telespettatori”.
Determinante è anche la curiosità dell’intervistatore.
“Verissimo. A funzionare in Grazie dei fiori sono gli aneddoti, la ricerca della chicca. Il pubblico di questo ti ringrazia. Spero di riuscirci pure con queste due puntate di In Arte”.
A proposito di Grazie dei fiori, è previsto un nuovo ciclo?
“Tornerà a febbraio, in seconda serata. Con me ci sarà sempre Gino Castaldo. Realizzeremo sei ritratti di sei grandi artisti del passato, tra cui Gabriella Ferri, Franco Califano e Luigi Tenco. In ogni appuntamento avremo un ospite diverso che ci accompagnerà nel racconto”.
Quindi il programma non sarà più legato al Festival di Sanremo.
“No, è stata una scelta editoriale della rete”.
Nel corso degli anni hai abbandonato i programmi dal cast corale per passare ai faccia a faccia. Un caso o una precisa volontà?
“Probabilmente è una mia esigenza personale. Anche a teatro sono passato da spettacoli con tanti colleghi in scena a show con 2-3 persone. A me piace molto ascoltare, guardare negli occhi le persone e farmi raccontare una storia”.
Nell’ottica di un Sanremo 2020 celebrativo e legato alla tradizione, ti piacerebbe essere coinvolto in un ipotetico Dopo Festival?
“Chiediamolo ad Amadeus (ride, ndr). Perché no! Se me l’avessi chiesto tre o quattro anni fa ti avrei detto di no, oggi invece sì, forse lo farei. Non perché mi senta più pronto di altri, ma perché mi piace stare in quella giostra, in quel baraccone. Ma non posso essere io a bussare alla porta”.
L’utilizzo delle teche e degli archivi è un valore aggiunto per la riuscita di una trasmissione o a volte può trasformarsi in un limite?
“Dipende da come li utilizzi. A me non entusiasma l’uso malinconico di certi filmati, la teoria dello ‘stavamo meglio una volta’ non mi piace, anche perché non è nemmeno vero. Se se ne fa un buon uso sono favorevole. Le mie sono produzioni molto piccole e che costano molto poco. Quando costruisci un programma di cento minuti in prima serata devi per forza pescare dal repertorio. A mio avviso raccontare una storia è come sfogliare un album dei ricordi”.
Se dovessi definire la cultura in televisione, in quali campi la individueresti?
“Se per cultura intendiamo l’approfondimento e la divulgazione abbiamo degli esempi chiari come Piero e Alberto Angela o Corrado Augias. Per quel che mi riguarda, per anni ho condotto un programma dedicato al teatro, credo possa essere definito culturale. Allo stesso tempo esiste una televisione davvero brutta, che toglie cultura a chi la guarda. Parlo della tv urlata, becera, dove ci si accavalla mentre si parla, dove si mostrano delle mostruosità. Forse non ha nemmeno la pretesa di essere culturale. Io ho la fortuna di lavorare nella terza rete, dove c’è grande cura del linguaggio e di quello che si fa. Forse si dovrebbe avere un po’ più di coraggio, fregarsene degli ascolti”.
A Viva RaiPlay Fiorello ha lanciato la campagna per l’intitolazione della Sala A di via Asiago a Luciano Rispoli. Ti trova d’accordo?
“Io cavalco qualsiasi battaglia che rispecchi il rispetto della memoria. Rispoli è stato un volto importante per la Rai. E’ stato promotore di una tv garbata, educata e di divulgazione. Era una persona di altri tempi, molto simpatica. Certo, così come la Dear è stata intitolata a Fabrizio Frizzi, lo stesso si può fare con Rispoli”.
Un altro simbolo della televisione elegante è stato Paolo Limiti, figura alla quale vieni spesso accostato. Per quale motivo, secondo te?
“Molti me lo dicono, forse il perché sta nel fatto che condividevamo questo rispetto e amore per il passato. Nei miei programmi vado alla ricerca delle curiosità. La cultura è anche incuriosire e scavare nella memoria”.