Pino Strabioli a Tvblog: “Non tornavo su Rai1 da dieci anni, ma si può ancora osare”
Il Caffè di RaiUno, la cronaca e la cultura in tv, l’accostamento con Paolo Limiti: l’intervista a Pino Strabioli.
Un passato punk, un presente da conduttore elegante in tv. Quest’estate, quando sono uscite le foto dell’adolescenza di Pino Strabioli, tanti si sono stupiti. Ma ora lui a Tvblog spiega così quei trascorsi così curiosi: “Sono sempre stato alla ricerca di una diversità. Sono cresciuto ad Orvieto e ho sempre avuto una voglia di fuga, non a caso ho scelto di fare l’attore. Da ragazzo volevo farmi notare e l’unico modo era seguire quei trend. Ma ero punk solo nell’estetica: non ho mai fatto le notti brave“. Ora, assieme a Roberta Ammendola, è alla conduzione de Il Caffè di RaiUno, in onda ogni sabato mattina sulla prima rete nazionale alle 7.05. “La chiamata per Il Caffè di RaiUno è stata sorprendente. Non facevo programmi su Rai1 da una decina di anni, forse anche di più. Con questo programma c’è stata l’occasione di sperimentare, come aver avuto la possibilità di intervistare Drusilla Foer alle otto del mattino sulla prima rete nazionale. Non era mai apparsa su Rai1, è stata una piccola scommessa perché lei è un personaggio particolare e unico. Con lei abbiamo parlato di educazione, gentilezza, accoglienza. Si può e si deve osare“. Il programma si occupa di scrittura, teatro, eventi dal vivo: tutto quello che fa cultura (compreso un segmento sulle buone notizie).
Come mai non veniva chiamato da circa 10 anni da RaiUno?
“Conducevo UnoMattina e, non so quale direttore, non mi confermò. Solo dopo sono approdato a RaiTre con Cominciamo Bene Prima, che è andato avanti dieci anni. Lì, a Rai3, ho fatto un percorso soddisfacente: continuo a considerarla la rete che forse più mi somiglia. Grazie a Rai3 ho potuto fare gli speciali su Paolo Poli e Carla Fracci, i quattro In Arte, Grazie Dei Fiori. Le considero delle piccole medaglie, conquistando fasce orarie diverse e prestigiose”.
Più che un conduttore, molti la definiscono un “narratore”. Lei si rivede in questa definizione?
“Mi ci ritrovo. Anche adesso in questa veste da conduttore con Roberta Ammendola cerco di ritagliarmi degli spazi di narrazione. Fondamentalmente sono un ascoltatore. Certo, l’interlocutore mi deve interessare, altrimenti non ci riesco. Mi piace condurre una storia, qui ci riconosco una matrice teatrale. “Signori e signori, ecco a voi” non sarei capace a farlo”.
In un salotto come Il Caffè di RaiUno, quindi, ci si trova bene?
“Benissimo. Ho ritrovato quel pubblico che avevo lasciato con UnoMattina. Lì capisci com’è strana la platea televisiva. Ci sono persone che mi incontrano e mi dicono ‘Finalmente è tornato in televisione’, perché non mi vedevano su Rai3. Altre mi dicono ‘Ma perché ha smesso di fare la televisione?’, perché non mi vedono su Rai1 (ride, ndr). Al netto di tutto, a me questo tipo di narrazione piace: gli ospiti sono attori e scrittori, quindi sto nel mio. D’accordo con gli autori, poi, ho voluto aggiungere uno spazio dedicato alla memoria”.
Proprio questo suo legame con il passato e il ricordo per molti è considerato l’erede di Paolo Limiti.
“Questo mi fa molto piacere. Credo molto nella narrazione della memoria. Paolo era ancora più esperto di me: lui aveva anche una cultura musicale, mentre la mia va più verso il teatro e il cinema”.
Lei crede nella funzione pedagogica della televisione?
“Sono convinto che la tv debba incuriosire. Per cui sì, dev’essere pedagogica. Sono cambiati i linguaggi e i livelli d’attenzione rispetto al passato. Se andiamo a vedere un programma degli anni Settanta o Ottanta, ci annoiamo dopo 20 minuti. Cambiando il linguaggio, però, la tv deve continuare a educare e a far scoprire cose nuove. Non credo nella televisione che si accanisce sulla cronaca, quella proprio non mi piace. L’informazione deve avere sempre un equilibrio, non deve mai sfociare nel morboso”.
Si può fare cultura in tv?
“Tutto è cultura: noi siamo cultura. Non credo nella televisione di quello che siede in cattedra, che ti annoia e fa sfoggio della sua erudizione. Non va bene l’erudizione in tv ma la divulgazione. Gli ascolti, però, non dovrebbero diventare un nodo scorsoio che ti portano verso l’impiccagione”.
Com’è fare un programma in epoca Covid?
“Rispetto alla mia televisione, non cambia granché: non ho bisogno del pubblico, per esempio. Al Caffè abbiamo tre ospiti diversi in ogni puntata, tutti con il distanziamento. Non ne potevo più della televisione con Skype, non era più fattibile: saltava tutto”.
Quest’estate il suo nome era stato vicino a quello de La Vita in Diretta Estate. Le risulta?
“Ho letto il mio nome, ma Stefano Coletta non mi ha mai chiamato per dirmelo. Quando il direttore mi ha chiamato, mi ha proposto Il Caffè di Rai1 e così è stato. Mi sarebbe piaciuto? Non lo so. Un conduttore non va bene per tutte le stagioni. Io posso fare delle cose, Andrea Delogu ne può fare altre, Serena Bortone altre, Milly Carlucci altre ancora. Non so se sarei capace a trattare la cronaca, per esempio…”.
Quali sono i progetti con Rai3, invece?
“Ho avuto un incontro con Franco Di Mare. Torneremo con Insonnia insieme a Maurizio Costanzo. Nella seconda parte di stagione mi auguro di poter rifare In Arte. Mi mancano Loredana Bertè, Riccardo Cocciante e tanti altri… Tornerò a bussare alla porta del direttore (ride, ndr)”.
È alla soglia dei 30 anni di carriera in televisione, avvenuto nel 1992 con Fabio Fazio: si contesta qualcosa?
“Ho uno strano rapporto con il tempo. Non mi rendo molto conto, e poi io non festeggio mai neanche i compleanni. Non soffrendo di frustrazioni, penso di aver fatto delle scelte giuste e di essere stato fortunato negli incontri. Semmai festeggerò questo anniversario augurandomi di non essere costretto ad accettare cose che non mi piacerebbe fare”.
Nella puntata de Il Caffè di RaiUno in onda sabato 19 settembre alle 7.05 ci saranno Melissa Panarello, autrice del libro “Cuori Arcani”, Giancarlo Governi che ricorderà, a 100 anni dalla scomparsa, Alberto Sordi e Paola Saluzzi che ci racconterà la sua infanzia.