Piedone – Uno sbirro a Napoli, recensione: il “what if” di Gomorra che guarda a un pubblico più vasto
Salvatore Esposito, ormai uomo Sky a tutti gli effetti, si fa perfetto portavoce di una storia che riporta la pay tv a Napoli, pulendola dalle tinte dark di Gomorra e avvicinandosi a un pubblico più ampio
Fonte: Eduardo Castaldo
Da giovane criminale a cui spetta la pesante eredità della gestione degli affari di famiglia a giovane ispettore di Polizia che combatte le ingiustizie a suon di mosse da wrestler: per Salvatore Esposito va detto che Piedone-Uno sbirro a Napoli rappresenta un vero e proprio sliding door, di cui Sky si fa felice conduttore.
Piedone – Uno sbirro a Napoli, la recensione
Vuoi per l’ambientazione (non sono le vele di Scampia, ma Napoli si mostra ancora nei suoi vicoli più popolari e lontani dai luoghi più blasonati), vuoi per il suo interprete protagonista, a vedere Piedone non si pensa tanto alla saga cinematografica con Bud Spencer di cui la serie vuole essere un omaggio, ma proprio a Gomorra-La serie.
Sky Italia non ha mai cercato un erede della saga dei Savastano (piuttosto, sta lavorando per espanderla, con il già annunciato prequel sulla gioventù del capoclan), ma con Piedone-Uno sbirro a Napoli vuole in qualche modo tornare a respirare seppur in parte le atmosfera da crime di strada, seppur con i dovuti aggiustamenti.
L’Ispettore Palmieri di Esposito si muove in una città dove la criminalità è fatta di omicidi più vicini ai casi di puntata di una qualsiasi altra fiction poliziesca generalista piuttosto che all’analisi spietata del lavoro della malavita organizzata; calano drasticamente le scene in cui sono necessari i sottotitoli in italiano; la rassegnazione di un micromondo in cui la sorte di ciascun personaggio sembra segnata lascia spazio alla speranza che la conoscenza, il confronto e l’inclusione possono portare nella vita di tutti.
Con Piedone-Uno sbirro a Napoli Sky prosegue nella sua azzeccatissima operazione legata a prodotti ampiamente riconoscibili da un pubblico sempre meno elitario (ma continua a realizzare perle per pochi, vedi Dostoevskij), pur non rinunciando al tocco pay che permette di giocare con i generi e cercare un elemento distintivo di cui solo un abbonato può godere.
Nel caso della serie ispirata ai film di Bud Spencer, si è infatti cercato di lasciare aperte molte porte anche a un pubblico differente, meno interessato a trame complicate o a scelte produttive e di regia audaci: Piedone appartiene insomma a quella Sky che vuole sporcarsi meno le mani, perché gli abbonati sono sempre più preziosi e vanno convinti a restare anche con storie dalle maglie più allargate, ma non per questo più superficiali o mediocri.
Portavoce di questa mission è un Salvatore Esposito la cui carriera è una vera e propria gioia per chi lo segue da quella prima puntata di Gomorra-La serie. Il ragazzo ne ha fatta di strada, e si merita ogni singolo traguardo raggiunto: da attore della serie più dark italiana a interprete di film comedy per famiglie, passando per testimonial della stessa Sky e affiancando a tutto questo un’interessante carriera all’estero e la scrittura di tre libri.
Ora, l’esperienza di Piedone, che lo riporta in quella Napoli dove tutto è iniziato e lo vede diventare, per assurdo, protagonista di un “what if” di Gomorra: perché se Genny Savastano fosse stato salvato prima di intraprendere la strada sbagliata, siamo certi che sarebbe diventato come l’Ispettore Palmieri.